I dati del rapporto annuale Milex illustrati da FrancescoVignarca, di Rete Disarmo. «Quello delle spese militari è l'unico settore inItalia che non vive tagli, neanche in caso di crisi»
Per l’anno 2017 l’Italia destina circa 23,3 miliardi di euro alle spese militari, pari a oltre 64 milioni di euro al giorno, 2,7 milioni di euro all’ora, 45 mila euro al minuto.
Rispetto al 2016 si registra un aumento di quasi l’1 per cento a valori correnti (-0,1 per cento a valori costanti) con un rapporto spese militari/PIL che rimane vicino all’1,4 per cento: in lieve calo rispetto alle stime di crescita del PIL del governo, invariato rispetto alle stime Istat, Bankitalia e Fondo Monetario Internazionale, in ogni caso al di sopra dell’1,1 per cento dichiarato dalla Difesa. È quanto emerge dal rapporto Milex 2017 (scaricabile in allegato) sulle spese militari italiane. Vita.it ha intervistato uno degli autori del rapporto, Francesco Vignarca.
Cosa si evince dai numeri che avete raccolto?
Rispetto al 2006 si registra un aumento di quasi il 21 per cento a valori correnti (che si traduce in un aumento di oltre il 4 per cento a valori costanti) e un aumento nella rapporto spese militari/PIL dall’1,2 per cento del 2006 all’1,4 per cento del 2017. L’andamento storico (figura 4) evidenzia una netta crescita fino alla recessione del 2009 con i governi Berlusconi III e Prodi II, un calo costante negli anni post-crisi del quarto governo Berlusconi, una nuova forte crescita nel 2013 con il governo Monti, una flessione con Letta e il primo anno del governo Renzi e un nuovo aumento negli ultimi due anni. Prendendo in considerazione l’ultimo decennio (2008-2017), le spese militari italiane fanno registrare un aumento del 2,2 per cento a valori correnti (che diventa un calo del 7,3 per cento a valori costanti) a parità di rapporto spese/PIL. Per semplificare, tenendo conto che il raffronto con gli altri anni si può fare solo a partire dal 2006 da quando abbiamo cominciato ad usare un metodo affidabile nel conteggio, possiamo dire che il trend non è in copiosa salita. Ma nel contempo risulta evidente che l’ambito della spesa militare è forse l’unico che non ha mai vissuto tagli, anche in tempo di crisi.
In cosa consiste questo nuovo metodo?
In primo luogo la scelta metodologica di base è stata quella di considerare le risorse destinate dallo Stato, in varie forme, alla spesa militare e non la spesa effettivamente sostenuta, quindi il budget assegnato, non la sua gestione di cassa. Questo perché si è scelto di dare risalto alla scelta politica piuttosto che alla dinamica contabile che rende difficile soppesare le spese effettivamente ascrivibili all’anno considerato. Si parte quindi dal dato governativo ufficiale, vale a dire dai bilanci di previsione del Ministero della Difesa approvati a fine anno con la Legge di Bilancio e dalla loro versione dettagliata e sviluppata nei mesi successivi, vale a dire i Documenti Programmatici Pluriennali (DPP) per la Difesa. Per quello che riguarda le spese extra bilancio abbiamo inserito nel conteggio il costo del personale militare a riposo, quello delle missioni militari all’estero e le spese militari dei contributi finanziari del Ministero dello Sviluppo Economico ai più onerosi programmi di acquisizione e ammodernamento di armamenti della Difesa (F-35 ad esempio). Abbiamo invece escluso il costo relativo alle funzioni di polizia e ordine pubblico svolte dall’arma dei Carabinieri, considerando solo il costo relativo alle spese per i Carabinieri destinati all’impiego in attività di natura specificamente militare
Il rapporto inizia con una citazione di Eisenhower sulla vigilanza «contro l’acquisizione di un’ingiustificata influenza da parte del complesso militare-industriale, sia palese che occulta». Perché?
Perché Il presidente degli Stati Uniti generale Dwight Eisenhower conosceva da vicino il potere di quello che lui definì il “complesso militare industriale” e la sua pericolosa capacità di influenzare le scelte economiche e anche politiche di una democrazia. Una democrazia è in pericolo se non riesce a controllare l’influenza “sia palese che occulta” della macchina industriale e militare di difesa, correndo il rischio di finire con l’esserne controllata. Una macchina che, se lasciata operare senza limiti e senza controlli, riesce a far prevalere i suoi interessi su quelli della collettività. Anche per in Italia per decenni non si è potuto discutere di questi temi perché erano sacri in quanto relativi alla difesa del Paese. Pian piano grazie al cielo le cose stanno cambiando.
Nel rapporto si portano alcuni esempi di problemi reali usati in modo strumentale per giustificare certi investimenti militari. Di che si tratta?
La lotta al terrorismo dopo un attentato dell’Isis, il controllo dell’immigrazione dopo l’affondamento di un barcone nel Mediterraneo, il contrasto alla criminalità dopo un grave fatto di cronaca nera. Tutte argomentazioni che, se obiettivamente analizzate, risultano non rispondenti alla realtà. Affermare che gli F-35 servono per combattere l’Isis non solo è falso, ma è deleterio in termini di sicurezza nazionale perché andare a bombardare città e villaggi in Paesi islamici non fa altro che aizzare l’odio della galassia jihadista. Sostenere che le nuove navi da guerra della Marina servono per soccorrere i profughi nel Mediterraneo o, peggio, per contrastare i flussi migratori, è falso. L’attività di soccorso in mare non richiede l’impiego di navi da guerra. L’impiego delle forze armate sul territorio nazionale in funzione di contrasto della criminalità rappresenta, infine, un’esplicita operazione di immagine e propaganda, per il semplice fatto che i militari che pattugliano strade, stazioni e aeroporti con blindati e armi da guerra non possono intervenire per contrastare una situazione di emergenza: possono farlo solo gli agenti di Polizia e i Carabinieri che li affiancano, addestrati e armati a questo scopo.
Un capitolo del rapporto lo avete destinato alla cyber difesa…
Sì perché a fronte degli ingentissimi investimenti in programmi militari di difesa tradizionale, ovvero riguardanti la difesa terrestre, navale, aerea e spaziale, ancora minima appare l’attenzione, anche finanziaria, riservata alla difesa del futuro, ovvero quella inerente al cyber-spazio, recentemente riconosciuto ufficialmente dalla NATO come il quinto dominio della conflittualità.