di Santo Della Volpe
La guerra,si sa, è più
facile dichiararla che chiuderla. Perché gli eserciti sono fatti per
andare avanti, avanzare, come i carri armati,appunto, passano e schiacciano.
Anche a Gaza,soprattutto a Gaza, nella carneficina di Gaza. Ma ora, come si può
chiudere questa tragedia che ha trasformato la striscia di Gaza in un
grande “imbuto” di distruzione umana? Quali i reali obbiettivi di
Tel Aviv e di Hamas? E, soprattutto, pensando al domani, cosa succederà dopo?
Parlarne ora non vuol dire avere la sfera da indovino; troppe gaffes si
sono già fatte a danno dei palestinesi, a partire dal ministro degli Esteri
Frattini che prima smentisce la partenza dell’operazione di terra israeliana
(puntualmente avvenuta) e poi si giustifica con parole ancora più
incredibili ed imbarazzanti per un ministro del G8 (per parole meno
gravi , in tempi non lontani,ci si sarebbe già dimessi).
Chiedersi quali sono i reali obiettivi dei due contendenti in campo
significa interrogarsi sulle reali intenzioni e possibilità di pace in Medio
Oriente. Perché comunque questa guerra ci sta nuovamente dimostrando che con
i missili Quassam da un lato e con i bombardamenti indiscriminati
dall’altro, non si va lontano. Ed ammesso che Israele ottenga una momentanea
vittoria militare, è molto probabile che si ritrovi presto nell’incubo di
attentati,missili e kamikaze.
Ed allora bisogna chiedersi quali obbiettivi abbia questa
guerra che sta facendo molte vittime anche “politiche”.
La prima vittima è il dialogo Israele-palestinese sul quale aveva puntato le
su carte Abu Mazen. Anche se Israele dovesse vincere militarmente, Al Fatah
non potrebbe rientrare a Gaza sul sangue di 800-900 vittime palestinesi,non
potrà mai accettare di varcare le frontiere dietro i carri armati israeliani
che hanno sparato sulle scuole e sulle case. Né,si è visto, la popolazione
di Gaza,pressata da guerra e morte, si è ribellata ad Hamas,che pure stava
trasformando , durante la ultima tregua estiva del 2008, la sua passata
vittoria elettorale in un vero e proprio regime,suscitando quindi risentimenti
e reazioni negative tra la popolazione palestinese. La guerra ha cucito le
bocche agli oppositori interni,Hamas ha trovato il modo di cucirne per sempre
altre, le bombe israeliano infine hanno ricompattato i palestinesi di
Gaza che, almeno per ora, sembrano esser tornati con Hamas. Bel
risultato di Olmert…
Chi governerà allora Gaza, se l’esercito israeliano ,finito il
“lavoro”, torna fuori dalla striscia?Ed ancora; ma l’esercito di Tel
Aviv vorrà tornare indietro o il ministro della difesa Barak ha intenzione di
rioccupare Gaza, spingendo la popolazione palestinese ad ammassarsi per paura
verso il confine con l’Egitto e poi buttandola fuori verso il Sinai?
Se questa fosse l’intenzione israeliana ,si tratterebbe di un calcolo
spaventoso perché costringerebbe l’Egitto alla reazione,chiudendo le
frontiere. Significherebbe giocare sulla pelle di migliaia e migliaia di
persone che già vivevano da profughi in casa propria e che si troverebbero
ammassati in tendopoli allucinanti sul confine. Ma significherebbe anche
costringere Mubarak a reagire politicamente interrompendo ogni
dialogo con Israele, mettendo il leader egiziano tra i due fuochi dei Fratelli
Musulmani all’interno, di Hamas (per di più praticamente in casa) e
facendo tornare i rapporti con Israele al tempo precedente Sadat; costringendo
poi anche la Giordania a reagire,chiudendo ogni dialogo possibile con il
governo di Tel Aviv. Senza contare che a quel punto, senza soluzione
politica, anche la Siria alzerebbe i toni,appoggiando Hezbollah in Libano e
rompendo anche lì quel filo di speranza di trattativa di pace che si
stava faticosamente costruendo con la mediazione della Turchia (ora
decisamente accantonata).
Per questo l’Egitto oggi vuole intensificare l’azione diplomatica
per giungere ad una pace a Gaza che ponga come condizione il ritiro di Israele
nei vecchi confini di un mese fa, in cambio della chiusura dei tunnel che
facevano della frontiera del Sinai un vero colabrodo.Ma senza quei tunnel a
Gaza nei mesi scorsi non avrebbero mangiato,visto l’embargo israeliano. E
quindi una tregua prima ed una pace dopo, da firmare il più presto
possibile,prima che l’offensiva di terra diventi una occupazione della
striscia deve avere delle condizioni.
La pace deve avere innanzitutto persone chi parlino ad un
tavolo,anche attraverso dei mediatori accettati dalle due parti, e dei
garanti: perché alla frontiera di terra e mare passino farina e
pecore,ma non armi e missili. Perché palestinesi ed israeliani si convincano
che devono convivere senza tentare ,ciascuno con i propri mezzi, di
distruggersi. Già,ma chi devono essere questi mediatori e garanti? Sulla
mediazione Mubarak sembra l’unico in grado di fare qualcosa,
mentre l’ONU ha fatto (poco) ma ha prodotto una base politica
internazionale. Ma Mubarak stesso ha pochi giorni e margini sempre più
ristretti dopo che anche la Francia sembra esser tornata nei suoi confini
politico istituzionali,senza aver raggiunto una intesa.E mentre i paesi
arabi,dopo l’inutile riunione della Lega Araba, non sembrano voler spendere
molte forze, neanche alzando la voce. Margini e tempi stretti,quindi per
l’Egitto.
E poi, visto che l’UE ha dimostrato solo attivismo,quello francese, o
impossibilità di farsi ascoltare (Blair) se non inconsistenza (Berlusconi e
Frattini, capaci solo a telefonare….),non resta che aspettare Obama,che
deve fare qualcosa perché non può permettersi di arrivare alla Casa Bianca e
“bucare” la prima occasione di impegno, trovando troppi fronti aperti in
politica internazionale (già ha l’Iraq da sbrogliare…).Sapendo che gli
Usa sono gli unici in grado di fermare la guerra. Ed è per
questo,forse, che Olmert vuole chiudere la sua partita prima del 20
gennaio,prima cioè del giorno del giuramento del presidente americano.
Comunque sia però la partita del dopo resta aperta: Israele non
torna indietro senza la garanzia che nessun missile venga lanciato il giorno
dopo sui coloni oltre il confine di Gaza, né può permettersi di lasciare il
suo esercito a occupare la Striscia sottoponendo i suoi soldati a rischi
quotidiani di attentati e conseguenti rappresaglie che la indebolirebbero
all’interno (e nel consesso internazionale). Dunque ci vorrebbe una
posizione forte, unitaria, di Europea ed Stati Uniti, per
costringere Hamas e Israele ad accettare dei garanti ed una forza di
interposizione che impedisca ad Hamas di sparare missili e ad
Israele di affamare ed impoverire la striscia di Gaza impedendone lo sviluppo.
E soprattutto che rimetta la politica al centro dello scontro, facendo cioè
della politica il luogo della battaglia,figurata ma vera, sulle prospettive
della convivenza tra israeliani e palestinesi.
Italia,dove sei? Perché come per il Libano non si comincia a mediare e
fare proposte di dialogo e soluzione, se necessario mettendoci sotto l’Onu a
proporre una forza multinazionale che ,ad esempio, sorvegli i confini del
Sinai, pattugli il mare di Gaza impedendo il contrabbando di armi, garantisca
i palestinesi che il cibo ,l’energia elettrica, i beni essenziali arrivino a
Gaza,che si crei una economia per il futuro dei giovani? Dov’è finita la
politica italiana in Medio Oriente? Perché Berlusconi invece di parlare
per ore ,spesso inutilmente,in Sardegna o per telefono,non fa il presidente
del Consiglio di una potenza mondiale come l’Italia proponendo soluzioni a
questa guerra?
La pace si costruisce,ora,subito,fermando la guerra con prospettive durature.E
se non lo fa il governo,lo devono fare le associazioni,le Ong, la società
civile e le associazione per la pace: si chieda politica di pace e
sviluppo.
Bruciare le bandiere israeliane per le Tv è da imbecilli: dire solo
“abbiamo ragione noi” è da imbelli e favorisce solo la guerra.
Un’altra via è possibile; ma ora e subito.
DA
ASSISI IL NOSTRO APPELLO PER LA PACE- di Leoluca Orlando* /FOSFORO
BIANCO, A GAZA COME A FALLUJA? - di Stefano Corradino
/ L'UMBRIA,
CAPITALE DI PACE - di Giuseppe Giulietti