Dal
nostro inviato
Visto da lontano sembra uno
di quei presidi dei lavoratori che perdono il posto in Italia. Cartelli e tè
per riscaldare i dimostranti, solo che la tenda è una immensa bandiera
palestinese, proprio nel centro di Nablus, in Cisgiordania.
L'operazione Piombo Fuso va avanti, travolgendo come un'onda anomala le vite
dei civili palestinesi, le divisioni tra Fatah e Hamas, la coscienza d'Israele
e quella dell'impotente comunità internazionale.
"Staremo qui fino a quando questo orrore non avrà fine. I politici non vogliono esporsi troppo, tutti presi come sono a trattare tra di loro. Ma noi siamo qui per gridare la rabbia del popolo palestinese, massacrato nell'indifferenza generale". Parla come un fiume in piena Adwa, una delle portavoce del Comitato Civile di Resistenza, un cartello composto da esponenti della società civile palestinese che si batte contro l'occupazione. Capelli al vento e kefiah al collo, Adwa urla slogan al megafono, che vengono ripetuti da tutti i presenti: uomini e donne, vecchi e bambini. non sono molti, ma si fanno sentire. "Siamo qui dal primo giorno dell'attacco: marciamo per strada per ricordare a tutti i palestinesi quello che accade. Per ricordarlo a tutti", spiega Adwa, mettendosi alla testa del corteo che sfila per le strade della città. Un manichino avvolto in una bandiera palestinese colorata di rosso sangue resta nella piazza del presidio, in compagnia di una bandiera del Venezuela, omaggi del popolo palestinese al presidente Chavez, che ha espulso l'ambasciatore israeliano. "Sai quel'è il dramma dell'Intifada che é cominciata nel 2000? Il ruolo marginale delle donne. Nella prima Intifada hanno vinto con la fantasia, ma loro con le armi non c'entrano nulla", spiega Majdi, un piccoletto con due occhi azzurri come il mare. "La prima volta che sono stato in carcere avevo 13 anni", racconta, "e da allora ho passato un totale di quattro anni in prigione. Ma non ho mai usato un'arma. Sono un sindacalista, ho sempre pensato che la nostra lotta per l'indipendenza si combatte nella società civile, non con le armi. Ho lasciato la politica. Credevo nella sinistra, ma ormai hanno lasciato il campo al duopolio Hamas - Fatah. Si sono dedicati più alle divisioni interne che a costruire il futuro. Con le idee. Forse qualcuno mi prenderà per pazzo...ma credo che della situazione attuale sia responsabile anche la sinistra palestinese. Smarrita nei giochi di potere e orfana di un vero grande leader come George Abbas. I partiti temono la società civile, perché non ne hanno il controllo. E questi sono i risultati". taremo qui fino a quando questo orrore non avrà fine. i divisi, la coscienza d'us, in Cisgiordania.
Il
corteo del Comitato avanza, tra bandiere palestinesi e cori, mentre una
pioggerellina sottile si trasforma rapidamente in una pioggia battente. Il
contesto rende ancora più malinconico questo corteo, l'unico consentito in
città, come se fosse innocuo. Quelli di Fatah e di Hamas stanno tappati in
casa, visto che nei giorni scorsi si sono sparati. Nablus non è una città
come le altre della Cisgiordania. Hamas qui ha in mano il consiglio comunale
e, durante la Seconda Intifada, una vittima su cinque veniva da Nablus. Una
realtà tosta, insomma. Eppure mentre a Gaza succede l'inferno, qui l'unica
nota di protesta é il corteo del Comitato. Che succede a Nablus?
"Mi creda, non esiste un solo palestinese che non sia indignato per
quello che succede. Ma la gente non ne può più", racconta Mahmoud,
responsabile dell'associazione Yafa, una di quelle realtà che cerca di dare
un senso alla vita del campo profughi di Balata, alle porte di Nablus. Una
babele di case sgangherate e fili elettrici, dove vivono assiepate 25mila
persone. "Dopo il processo di Oslo in molti credevano nella pace, ma la
delusione é stata enorme. Israele conosce solo il linguaggio della violenza e
i nostri leader pensano solo a loro stessi. Cosa accade? Accade che Hamas
lancia qualche razzo, sapendo che non otterrà mai nulla, ma fornendo il
pretesto agli israeliani per massacrarci - racconta Mahmoud - Hamas si
preoccupa solo della sua visibilità, perché ritengono le vittime degli
attacchi un prezzo da pagare alla rivoluzione. Fatah, dal canto suo, si
preoccupa solo di mantenere il ruolo internazionale, come se si potesse
trattare con tutto quello che succede. Di fronte a tutto questo ci sentiamo
soli. Io non credo che il problema sia o meno la Terza Intifada. La gente è
delusa e depressa. Dalle intifade come dagli accordi di pace ha ottenuto solo
massacri, espropriazioni, galera e check-point. Non ha lavoro e non ha da dar
da mangiare ai propri figli". Mentre Mahmoud parla i suoi occhi fuggono
verso la televisione. Sintonizzata su al-Jazeera, che trasmette il drammatico
racconto di un bimbo che ha perso la vista a Gaza a causa di un'esplosione.
"Vede cosa succede...non riesco neanche più a guardare la tv", dice
Mahmoud, senza vergognarsi di una lacrima, "la sconfitta più grande é
che abbiamo perso la speranza. E finiamo per guardare altrove".
Mai come in questo momento la classe politica palestinese sembra lontana dal suo popolo. Resta ancora qualche leader rispettato, come Husam Khader. Fisico tozzo, taglio a spazzola, Khader é uno dei punti di riferimento di Fatah in Cisgiordania. Le strade di Nablus sono il suo palscoscenico: non muove un passo senza che qualcuno lo omaggi. E' il leader dei ‘prigionieri politici', quel popolo di 11mila palestinesi che sono nelle carceri d'Israele. Come Marwan Barghouti, forse l'ultimo vero leader rimasto, Khader viene ritenuto fuori dai giochi di potere e di partito. Appena uscito dal carcere, grazie allo scambio dei detenuti con Israele, Khader è uno di quelli che potrebbe guidare la Terza Intifada. Da sempre voce critica all'interno di Fatah, é noto per aver avuto il coraggio di urlare in faccia ad Arafat di essere il capo dei corrotti. "Vede, la sollevazione popolare non si ottiene spingendo un pulsante", risponde serafico Khader. "Ad oggi non saprei garantirle la presa che i proclami possono avere sui palestinesi, stanchi e delusi. Israele continua a sbagliare e non si rende conto che ottiene l'effetto opposto. Questa ignominia della quale si stanno macchiando a Gaza genererà una nuova leva di martiri. Questo é tutto. La disperazione della gente, la delusione verso il processo di pace porterà sempre più i giovanissimi a prendere le armi. E le dirò di più: ci sono due scenari possibili. Se Hamas riesce a non farsi distruggere, come Hezbollah in Libano nel 2006, ne uscirà enormemente rafforzata. Comincerà l'era di Hamas, che prenderà per sempre il posto di Fatah nella gestione del potere e della vita dei palestinesi. Se Hamas, invece, viene spazzata via...beh...allora si aprirà la strada ad al-Qaeda. Ha capito bene, proprio ad al-Qaeda. Le violenze subite, le immagini dei massacri saranno un ripetitore di odio tra i più giovani. le vecchie generazioni sono esauste, ma i ragazzini rinfacceranno loro di aver creduto alle promesse di pace della comunità internazionale e di Israele. Questa rabbia, questa disillusione premierà il fondamentalismo". E Fatah come tenta di opporsi a tutto questo? Tenendo in vita un presidente che non ha più il rispetto del suo popolo? "Non sono d'accordo con il suo giudizio. Mahmoud Abbas sta solo tentando di evitare che lo scontro si generalizzi a tutti i Territori Occupati. Anche la Costituzione prevede che, scaduto il mandato, come ha sottolineato Hamas, il presidente resta in carica se permane uno stato di emergenza. E questo cos'è? Io credo che Abbas sia un ombrello politico, sotto il quale i palestinesi debbono ritrovare l'unità. Solo dopo penseremo alle elezioni. Intanto Fatah, se vuole sopravvivere, deve fare pulizia al suo interno. Se perderemo questa battaglia sarà la fine del partito che ha messo il suo nome sugli accordi di Oslo. E non si tratta di perdere solo la faccia, ma molto di più".
Christian Elia