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Prchè io boicotto |
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- Alberto
Piccinini
Naomi
Klein:
perchè io boicotto
“La strategia più efficace per fermare un’occupazione sempre più
sanguinosa è far sì che Israele diventi il bersaglio della stessa specie
di movimento globale che fermò l’apartheid in Sudafrica”. Lo scrive
Naomi Klein su The Nation (http://www.thenation.com/doc/20090126/klein?rel=hp_currently)
ricordando come alcuni gruppi palestinesi da anni chiedono di condurre
iniziative di boicottaggio e di disinvestimento contro Israele, simili a
quelle che furono applicate al Sudafrica negli anni dell’apartheid.
(http://www.bdsmovement.net/). L’intervento della Klein arriva mentre qui
da noi le polemiche, gli imbarazzi, la confusione tra antisemitismo,
antisionismo, critica al governo di Israele, si uniscono alla preoccupante
difficoltà della sinistra di mobilitarsi contro il massacro a Gaza.
Alla causa del boicottaggio economico contro Israele – ricorda Klein
– hanno aderito in questi giorni circa 500 artisti e studiosi israeliani. Questi
“hanno inviato una lettera agli ambasciatori stranieri chiedendo di
sollecitare ai loro governi misure restrittive e sanzioni”. “Il
boicottaggio al Sudafrica – continua citando la lettera – fu effettivo.
Ma Israele viene trattato coi guanti bianchi. Questo sostegno internazionale
deve cessare”. “Molti noi – riflette ancora Klein – non riescono
ancora ad abbracciare questa causa. Le ragioni sono complesse, emotive e
comprensibili. Ma semplicemente non valgono abbastanza. Le sanzioni
economiche sono l’arma più efficace nell’arsenale della non
violenza”.
Naomi Klein passa poi ad analizzare e a confutare quattro obiezioni
possibile al boicottaggio economico di Israele. La prima: “Le misure
punitive allontanerebbero invece che persuadere Israele”. L’”impegno
costruttivo” che il mondo adotta nei confronti di Israele – osserva qui
la Klein – è tragicamente fallito”. Infatti nell’ultimo periodo
“Israele ha goduto di una forte crescita delle sue relazioni diplomatiche,
culturali e commerciali con una varietà di alleati”. “E’ in questo
contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra, con
la certezza che non avrebbero dovuto affrontare significative reazioni.”
Seconda obiezione: “Israele non è il Sudafrica”. Naomi Klein cita a
questo proposito il parere di Ronnie Kastrils, un politico sudafricano.
Questi ha osservato che “l’architettura di segregazione vista
all’opera nella West Bank e a Gaza è infinitamente peggiore di quella
dell’apartheid”. “Il boicottaggio – aggiunge l’autrice canadese
– non è un dogma, è una tattica: in un paese così piccolo e così
dipendente dal commercio può funzionare”.
Terza obiezione: “Il boicottaggio restringerebbe la comunicazione e noi
abbiamo bisogno di più dialogo”. Naomi Klein cita a questo
proposito un’esperienza personale: racconta di aver smesso di pubblicare i
suoi libri in Israele con la casa editrice Babel e di aver scelto al suo
posto la più piccola e indipendente Andalus, “una casa editrice
militante, profondamente convolta nel movimento contro l’occupazione, la
sola casa editrice israeliana che traduce testi arabi in ebraico. “Il
nostro piccolo piano di pubblicazione – racconta ancora Klein – ha
richiesto decine di telefonate, scambi di email e sms tra Tel Aviv, Ramallah,
Toronto, Parigi e Gaza City. Voglio dire, appena inizia una strategia di
boicottaggio il dialogo cresce in maniera fortissima. L’argomento secondo
il quale il boicottaggio produce una separazione è specioso data la
disponibilità di tecnologia a basso costo che abbiamo tra le mani”.
L’ultima obiezione analizzata da Naomi Klein è questa: “Non sapete che
molti di questi giocattoli tecnologici provengono proprio dai centri di
ricerca israeliani, all’avanguardia mondiale dell’informatica”? La
Klein, a questo proposito, cita il caso di Richard Ramsey, responsabile di
una compagnia inglese specializzata in tecnologia per internet. Dopo
l’inizio dell’assalto a Gaza, Ramsey ha rotto i rapporti con la
compagnia israeliana MobileMax con questa email: “A causa dell’azione
del governo israeliano degli ultimi giorni non ci riteniamo più nella
posizione di fare affari con voi né con nessuna altra compagnia
israeliana”. “Ramsey – spiega la Klein – ha dichiarato che la sua
non è stata una decisione politica; semplicemente non voleva rischiare di
perdere clienti”. E conclude Klein :“E’ stata questa sorta di freddo
calcolo affaristico che ha portato molte industrie a rompere i rapporti con
Sudafrica, vent’anni fa. E precisamente questo calcolo rappresenta la
nostra più realistica speranza di rendere alla Palestina quella giustizia
che le è stata così lungamente negata”.
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