Mi sembra ingiusto e mi sembra strano tacere
solo perché sarebbe più facile tacere. Parlo di Bologna, della strage della
stazione, della sentenza.
Quella sentenza (dopo tante sentenze) che condanna come colpevoli Mambro e Fioravanti. E parlo della cerimonia burrascosa, delle dichiarazioni del presidente della Camera Fini, delle polemiche e tensioni di questi giorni.
Molti lettori di questo giornale sanno che dai primi anni Novanta ho detto e scritto la mia persuasione sulla innocenza di Mambro e Fioravanti (cioè per il solo delitto, fra i tanti loro imputati, che essi respingono). Mantengo quella persuasione anche adesso, anche oggi, e lo faccio, in probabile dissenso con molti lettori, anche dopo che l’Unità in questi giorni ha scelto, secondo la sua storia, di confermare tutti i punti, giudiziari e politici di quella vicenda, non solo nella cronaca ma anche con un lucido intervento di Gianfranco Pasquino.
Devo tentare di dimostrare ancora una volta perché sono, allo stesso tempo, dalla parte delle vittime e della immensa e non guarita ferita che Bologna ha patito il 2 agosto 1980, e dalla parte di Francesca Mambro e di Valerio Fioravanti, che continuo a ritenere estranei da quello spaventoso evento, nonostante tutti gli altri eventi delittuosi di cui sono stati volontari iniziatori e protagonisti.
E spero di farlo, affrontando un nodo così intricato e pesante, con chiarezza e semplicità.
1. Eventi spaventosi, irrimediabili e pieni di sangue e di dolore, come la strage di Bologna, chiedono e cercano l’unica risposta civile che è la giustizia: indagare, condannare e con fermezza e certezza. Purtroppo, mentre la tragedia è riuscita nel suo pieno di morte, indagini e processi (ce ne sono stati tanti, e tante sentenze prima della condanna definitiva) sono apparsi segnati da deviazioni, ostacoli, false testimonianze, ritrattazioni, improvvise entrate in scena di nuove voci, cancellazione, per tante ragioni, di molte di esse.
2. Chi ha letto e riletto gli atti sa che un solo filo, soggettivo e di origine non chiara, porta dal tragico fatto ai “colpevoli” . Ma una volta raggiunta una visione finale, dopo tanti tentativi andati a vuoto, è sembrato a molti, con un atteggiamento del tutto comprensibile e umanamente condivisibile, di avere finalmente un punto di riferimento e di appoggio tanto forte quanto la strage: la sentenza definitiva. E di avere una ferma ragione per credere in quella versione e nella sicura colpa dei condannati.
3. Innumerevoli fatti della storia insegnano che vicende gravi e oscure che segnano e devastano la vita di un Paese, restano gravi e oscure anche durante i processi e nonostante l’impegno appassionato di investigatori e di giudici. Basta evocare i nomi di Lee Harvey Osvald e di Earl Ray James (presunti assassini di John Kennedy e di Martin Luther King, ritenuti in seguito innocenti persino dalle famiglie del presidente e del leader nero assassinati) per rendersi conto che è tipico di alcuni delitti di vasta portata politica di portare con sé anche gli esiti giudiziari, in modo che gli ostacoli di una ricerca di verità divengano insormontabili.
4. Evidentemente ciò che sta più a cuore a chi ordisce simili delitti, segnati non solo dall’orrore del momento, ma da conseguenze che continuano nel tempo, è di raggiungere il punto in cui una sentenza possa essere usata come una pietra tombale. Identificando definitivamente un colpevole troncherà per sempre ogni altra ricerca sui fatti e potrà mettere qualcun altro, organizzazione o persona, al sicuro.
5. Anche in base all’esperienza americana, sono fra coloro che hanno visto nella sentenza finale Mambro-Fioravanti una verità, non la verità. E si sono sentiti a disagio quando l’hanno vista diventare unica, assoluta bandiera, con il rischio che la manifestazione del dubbio fosse interpretata come dissacrazione di quella bandiera.
Eppure il dubbio era - ed è - più che mai fondato nel racconto e nelle immagini spaventose del 2 agosto. Non era uno scostarsi dalle vittime e dai loro cari, ma una invocazione a non smettere, a non fermarsi. Qualcosa o qualcuno potrebbe essersi messo al riparo dietro quella fragile sentenza.
6. Ho detto varie volte, e ripeto, conoscendo il rischio di fraintendimento di ciò che dico, che tutto ciò che sappiamo di Mambro e Fioravanti non li colloca in nessun modo fra gli abili e oscuri sicari, decisi a restare ignoti, di un simile spaventoso evento. Quando dico “sappiamo” non intendo notizie o informazioni che non ho. Intendo “noi” i giudici, “noi” i giornalisti, “noi” i cittadini che dei due condannati, quando erano giovani ed erano terroristi, sappiamo tutto e hanno detto tutto, senza che mai sia risultato un solo dettaglio dei loro delitti, nascosto o depistato o alterato.
7. Non è solo il profilo psicologico o il “modo di operare”, criterio così caro ai criminologi, a orientare. Non è solo la sequenza dei fatti che, senza testimonianze tarde e strane e tipicamente rivolte a coprire qualcosa o ben altro, non porta a quella stazione e a quel treno i due già notissimi protagonisti del terrore. Ma è il rapporto vistoso, clamoroso, fra tutta la loro vita di giovani fuorilegge politici che uccidono di persona, rischiando e quasi trovando la morte, e il mestiere oscuro e segreto della bomba nascosta su un treno. Quando qualcuno di noi ha detto «non Mambro, non Fioravanti» tutto il peso emotivo si è spostato sull’innocentismo. Ma il vero senso di quella affermazione, che va ripetuta anche oggi, era: «vi chiediamo per l’orrore di quel giorno, per la memoria delle vittime, per il dolore spaventoso dei sopravvissuti, continuate a cercare».
8. Non so niente di ciò che il presidente Fini ha ritenuto di dichiarare. Nella sua posizione non è, credo, la cosa giusta da fare. Come non lo è, sono certo, il porre avanti il problema se la strage fosse o no di destra. Le stragi italiane, benché tutt’ora impunite, sono apparse tutte di destra anche agli investigatori più scettici e meno politicizzati. Però ciò di cui stiamo discutendo è molto più grave e rende frivolo il precipitarsi a correggere l’etichetta sui faldoni. Nel nome delle vittime, di una città dilaniata, di un Paese che si è cercato (allora invano) di spingere nella più cupa emergenza, restano, inevase, le domande più terribili: chi è stato? Perché?
Quella sentenza (dopo tante sentenze) che condanna come colpevoli Mambro e Fioravanti. E parlo della cerimonia burrascosa, delle dichiarazioni del presidente della Camera Fini, delle polemiche e tensioni di questi giorni.
Molti lettori di questo giornale sanno che dai primi anni Novanta ho detto e scritto la mia persuasione sulla innocenza di Mambro e Fioravanti (cioè per il solo delitto, fra i tanti loro imputati, che essi respingono). Mantengo quella persuasione anche adesso, anche oggi, e lo faccio, in probabile dissenso con molti lettori, anche dopo che l’Unità in questi giorni ha scelto, secondo la sua storia, di confermare tutti i punti, giudiziari e politici di quella vicenda, non solo nella cronaca ma anche con un lucido intervento di Gianfranco Pasquino.
Devo tentare di dimostrare ancora una volta perché sono, allo stesso tempo, dalla parte delle vittime e della immensa e non guarita ferita che Bologna ha patito il 2 agosto 1980, e dalla parte di Francesca Mambro e di Valerio Fioravanti, che continuo a ritenere estranei da quello spaventoso evento, nonostante tutti gli altri eventi delittuosi di cui sono stati volontari iniziatori e protagonisti.
E spero di farlo, affrontando un nodo così intricato e pesante, con chiarezza e semplicità.
1. Eventi spaventosi, irrimediabili e pieni di sangue e di dolore, come la strage di Bologna, chiedono e cercano l’unica risposta civile che è la giustizia: indagare, condannare e con fermezza e certezza. Purtroppo, mentre la tragedia è riuscita nel suo pieno di morte, indagini e processi (ce ne sono stati tanti, e tante sentenze prima della condanna definitiva) sono apparsi segnati da deviazioni, ostacoli, false testimonianze, ritrattazioni, improvvise entrate in scena di nuove voci, cancellazione, per tante ragioni, di molte di esse.
2. Chi ha letto e riletto gli atti sa che un solo filo, soggettivo e di origine non chiara, porta dal tragico fatto ai “colpevoli” . Ma una volta raggiunta una visione finale, dopo tanti tentativi andati a vuoto, è sembrato a molti, con un atteggiamento del tutto comprensibile e umanamente condivisibile, di avere finalmente un punto di riferimento e di appoggio tanto forte quanto la strage: la sentenza definitiva. E di avere una ferma ragione per credere in quella versione e nella sicura colpa dei condannati.
3. Innumerevoli fatti della storia insegnano che vicende gravi e oscure che segnano e devastano la vita di un Paese, restano gravi e oscure anche durante i processi e nonostante l’impegno appassionato di investigatori e di giudici. Basta evocare i nomi di Lee Harvey Osvald e di Earl Ray James (presunti assassini di John Kennedy e di Martin Luther King, ritenuti in seguito innocenti persino dalle famiglie del presidente e del leader nero assassinati) per rendersi conto che è tipico di alcuni delitti di vasta portata politica di portare con sé anche gli esiti giudiziari, in modo che gli ostacoli di una ricerca di verità divengano insormontabili.
4. Evidentemente ciò che sta più a cuore a chi ordisce simili delitti, segnati non solo dall’orrore del momento, ma da conseguenze che continuano nel tempo, è di raggiungere il punto in cui una sentenza possa essere usata come una pietra tombale. Identificando definitivamente un colpevole troncherà per sempre ogni altra ricerca sui fatti e potrà mettere qualcun altro, organizzazione o persona, al sicuro.
5. Anche in base all’esperienza americana, sono fra coloro che hanno visto nella sentenza finale Mambro-Fioravanti una verità, non la verità. E si sono sentiti a disagio quando l’hanno vista diventare unica, assoluta bandiera, con il rischio che la manifestazione del dubbio fosse interpretata come dissacrazione di quella bandiera.
Eppure il dubbio era - ed è - più che mai fondato nel racconto e nelle immagini spaventose del 2 agosto. Non era uno scostarsi dalle vittime e dai loro cari, ma una invocazione a non smettere, a non fermarsi. Qualcosa o qualcuno potrebbe essersi messo al riparo dietro quella fragile sentenza.
6. Ho detto varie volte, e ripeto, conoscendo il rischio di fraintendimento di ciò che dico, che tutto ciò che sappiamo di Mambro e Fioravanti non li colloca in nessun modo fra gli abili e oscuri sicari, decisi a restare ignoti, di un simile spaventoso evento. Quando dico “sappiamo” non intendo notizie o informazioni che non ho. Intendo “noi” i giudici, “noi” i giornalisti, “noi” i cittadini che dei due condannati, quando erano giovani ed erano terroristi, sappiamo tutto e hanno detto tutto, senza che mai sia risultato un solo dettaglio dei loro delitti, nascosto o depistato o alterato.
7. Non è solo il profilo psicologico o il “modo di operare”, criterio così caro ai criminologi, a orientare. Non è solo la sequenza dei fatti che, senza testimonianze tarde e strane e tipicamente rivolte a coprire qualcosa o ben altro, non porta a quella stazione e a quel treno i due già notissimi protagonisti del terrore. Ma è il rapporto vistoso, clamoroso, fra tutta la loro vita di giovani fuorilegge politici che uccidono di persona, rischiando e quasi trovando la morte, e il mestiere oscuro e segreto della bomba nascosta su un treno. Quando qualcuno di noi ha detto «non Mambro, non Fioravanti» tutto il peso emotivo si è spostato sull’innocentismo. Ma il vero senso di quella affermazione, che va ripetuta anche oggi, era: «vi chiediamo per l’orrore di quel giorno, per la memoria delle vittime, per il dolore spaventoso dei sopravvissuti, continuate a cercare».
8. Non so niente di ciò che il presidente Fini ha ritenuto di dichiarare. Nella sua posizione non è, credo, la cosa giusta da fare. Come non lo è, sono certo, il porre avanti il problema se la strage fosse o no di destra. Le stragi italiane, benché tutt’ora impunite, sono apparse tutte di destra anche agli investigatori più scettici e meno politicizzati. Però ciò di cui stiamo discutendo è molto più grave e rende frivolo il precipitarsi a correggere l’etichetta sui faldoni. Nel nome delle vittime, di una città dilaniata, di un Paese che si è cercato (allora invano) di spingere nella più cupa emergenza, restano, inevase, le domande più terribili: chi è stato? Perché?
furiocolombo@unita.it