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2 AGOSTO 1980. LA STRAGE DI BOLOGNA
 

Loris Mazzetti

Il 2 agosto del 1980 era un sabato, il primo sabato di agosto, iniziavano per la maggior parte degli italiani le vacanze. A Bologna le strade erano semivuote, su tanti negozi era appeso il cartello: “chiuso per ferie”. Per tante persone i problemi della vita quotidiana venivano messi da parte. A settembre si sarebbe di nuovo parlato dell’inflazione al 22%, della Fiat che era ricorsa alla cassa integrazione e dei tre sindacati che minacciavano un autunno di scioperi. In quel periodo teneva banco sui giornali e nei bar lo scandalo del calcio scommesse dove erano coinvolti alcuni campioni molto amati come Savoldi, Albertosi e Paolino Rossi. Erano soprattutto gli “anni di piombo” e il 1980 aveva visto una lunga scia di sangue che era iniziata fin da gennaio con l’omicidio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, un delitto di stampo mafioso anche se gli inquirenti non escludevano il movente politico: Mattarella era l’uomo del dialogo tra Dc e Pci. A Milano le Brigate Rosse avevano massacrato tre poliziotti della Digos, mentre a Genova Prima Linea in un agguato aveva freddato il tenente colonnello dei carabinieri Emanuele Tuttobene e l’agente Antonio Cosu. La violenza delle Br era inarrestabile prima uccisero a Roma il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Vittorio Bachelet, poi di nuovo a Milano Walter Tobagi giornalista del Corriere della Sera, mentre i Nar colpirono a morte il sostituto procuratore della Repubblica Mario Amato che stava indagando sull’eversione nera. Il clima nel Paese era di terrore ma nonostante tutto si intuiva che qualche cosa stava cambiando: il Parlamento aveva varato la legge sul “pentitismo”, era stato arrestato Patrizio Peci, capo militare delle Br, che di fronte al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa cominciò a parlare ed erano stati arrestati brigatisti importanti come Roberto Sandalo e Marco Donat Catten, il figlio di Carlo vicesegretario della Dc.  Il 27 giugno alle 20 e 45 scomparve dai radar, sopra Ustica il DC 9 partito da Bologna per Palermo con 81 persone a bordo. Si disse che l’aereo era stato colpito da un meteorite, poi si parlò di collisione, infine di un missile vagante. Il fatto era avvolto dal più profondo mistero. Questo “incidente” contribuì ad aumentare la tensione e convinse tanti a scegliere il treno come mezzo per andare in villeggiatura.  Quella mattina di ventotto anni fa fuori sul piazzale della stazione un grande via vai di macchine che scaricavano famiglie e valigie, giovani con zaini stracolmi, baci e abbracci. All’interno la biglietteria aveva file lunghissime, le due sale d’aspetto erano piene di italiani e stranieri tutti con gli occhi puntati ai monitor per l’arrivo del treno o per la partenza della coincidenza.
Alle 10 e 25 una valigia lasciata nella sala d’aspetto di seconda classe, contenente circa venti chilogrammi di esplosivo militare Coupound B, esplode sbriciolando la sala d’aspetto, sfondando quella di prima classe, sventrando due vagoni del treno Ancona-Basilea come il bar ristorante. Una grande onda anomala di centinaia e centinaia di metri cubi di terra, travi, pensiline d’acciaio, rotaie, traversine, blocchi di cemento armato travolge bambini, donne, uomini, panini, bibite, carte da ufficio, sandali da mare, scarponi da montagna, riversandosi poi in più punti: verso la piazza della stazione, verso il primo binario, entrando nel sottopassaggio. In pochi secondi, 85 morti e 207 feriti di cui 70 con invalidità permanente.
Alla vigilia del ventottesimo anniversario l’ennesino tentativo di revisionismo. Con una lettera al ministro della Giustizia i deputati del Pdl Enzo Raisi, Italo Bocchino, Paola Frassinetti e Marcello De Angelis hanno espresso: «preoccupazioni in merito all'andamento delle nuove indagini promosse dalla procura di Bologna nel 2005, a seguito di importanti elementi di novità emersi durante i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l'attività di intelligence italiana». Il vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera Bocchino in un’intervista ha aggiunto: «Noi crediamo che non si siano approfondite tutte le piste possibili: riteniamo ci siano dei documenti che portino verso opzioni diverse rispetto a quelle vagliate dalla magistratura, e quindi a Carlos e ai palestinesi. C'è gente che vuole raccontare delle cose ai giudici e probabilmente c'è bisogno di maggiore attenzione da parte della procura competente».
Il 2 agosto 2008 è come allora il primo sabato del mese, Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione famigliari delle vittime, senza remore, con parole intense, chiare e precise ha così risposto dal palco davanti alla stazione: «Anni di indagini e processi hanno permesso di individuare le responsabilità di neofascisti, loggia massonica P2 e Servizi segreti, coinvolti a vari livelli nella strage e tutti alleati per occultarne i retroscena. Licio Gelli, gran maestro della P2, il faccendiere Francesco Pazienza, gli appartenenti al SISMI, generale Musumeci e colonnello Belmonte, sono stati condannati per depistaggio. Oggi sono tutti liberi. I neofascisti dei Nar, che hanno eseguito materialmente la strage, sono: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini; quest’ultimo condannato l’anno scorso, è l’unico in carcere
- avendo iniziato la detenzione dopo la condanna definitiva - e come i suoi sodali segue il copione di professare un’innocenza smentita da fatti e prove, mantenendo il silenzio sui mandanti e ispiratori politici della carneficina del 2 agosto 1980. Quella della menzogna e dell’omertà, d’altronde, è una strada che paga». 
Bolognesi non si limita solo a replicare, così come aveva già fatto prima di lui Torquato Secci, il primo presidente dell’Associazione scomparso alcuni anni fa, accompagnato dagli applausi della piazza ha sostenuto a gran voce: «L’attuale Parlamento deve inaugurare una nuova stagione politica finalizzata alla ricerca della verità, ove non vi sia più spazio per segreti e reticenze, anche per dare un senso alla legge n.124/2007 che recepisce, sia pure in parte, la proposta di legge di iniziativa popolare per “l’Abolizione del segreto di Stato nei delitti di strage e terrorismo”, presentata dalle associazioni delle vittime al Senato nel lontano 1984. Le leggi vanno applicate nella loro interezza, i decreti attuativi non debbono stravolgerne o limitarne l’esecuzione. E' importante che chi ha attentato alla vita democratica del Paese venga finalmente punito. Aprire gli armadi non deve essere solo uno slogan, a questo punto vi sono anche gli strumenti legislativi per farlo senza incertezze e reticenze. Pensiamo sia giunto il tempo per un giudizio anche politico sullo stragismo che determini l’allontanamento dalle istituzioni di chi lo ha favorito anche solo con la sua colpevole inerzia».
A rappresentare il governo il ministro dell’Attuazione del Programma
Gianfranco Rotondi che ha così risposto alla richiesta dell’Associazione dei famigliari: «Nessuno terrà chiusi gli armadi della vergogna se vi sono responsabilità nuove saranno illuminate».  Di fronte ad una folla che lo ha fischiato preferendo abbandonare la piazza invece di stare lì ad ascoltare, ha aggiunto che in democrazia tutte le opinioni «sono uguali ed hanno gli stessi diritti il democristiano come l’anti, il berlusconiano o l’anti, il comunista o l’anti, ma l'antifascismo non è una opinione, è una ragione costitutiva della nostra democrazia». Dimenticando che lui governa con gli eredi del Duce, che da sempre tentano di eliminare l’aggettivo “fascita” che segue la parola strage e che a capo del governo che lui rappresenta nella piazza c’è Silvio Berlusconi “fratello” della P2 tessera 1816.
Uno dei momenti più emozionati è stato quando alla fine del suo intervento Paolo Bolognesi ha rammentato la scomparsa del grande giornalista Enzo Biagi: «Vogliamo ricordarlo con le parole che egli usò per descrivere Francesca Mambro: “Forse nessuno è un mostro, neanche Himmler o Hitler, neanche Stalin; ma Francesca Mambro, volto quadrato, senza un segno di cosmetici, sguardo freddo e sorriso ironico, jeans, scarpe Clarks, ha qualcosa in sé di incomprensibile, di inafferrabile. L’aspetto e i modi spigolosi, il lucido disprezzo. E’ forse il personaggio più sconvolgente che ho incontrato in cinquant’anni di mestiere; e c’è dentro tutto: artisti, ladri, soldati, banditi, politici, campioni, puttane, quasi sante, grandi signore, mezze calzette, prelati, grandi truffatori, giocatori di ogni genere, roulette, carte, affari, pelle o reputazione del prossimo. Nessuno mi ha mai detto: “Non conosco la parola rimorso”; qualche tarlo, qualche pena, tutti ce l’avevano dentro”. Con poche parole Enzo Biagi, ex partigiano, persona per bene, ha saputo descrivere e cogliere perfettamente una personalità. Anche a lui va il nostro commosso ricordo e il nostro ringraziamento per esserci stato vicino in anni di dure battaglie».
Tante volte ho scritto di quel 2 agosto di ventotto anni fa, in questi anni
sono molte le persone che mi hanno raccontato di quel giorno, concludo con
il loro ricordo. Elisabetta Sanguin non ha dimenticato. Il 2 agosto del 1980 aveva 11anni e alle 10 e 25 si trovava con il padre Alberto nella biglietteria della stazione per vidimare i biglietti, insieme alla mamma avevano previsto di partire per le vacanze verso sera. Rimase gravemente ferita, il padre la portò svenuta all’ambulatorio della stazione e poi Elisabetta con la prima ambulanza fu trasportata all’Istituto Rizzoli. La mamma Anna Pizzirani appena fu avvertita la raggiunse. “Elisabetta”, ricorda la signora Anna, “si era ripresa ma era molto impaurita, per tutto il giorno nella stanza ci fu un grande viavai tra medici, poliziotti, magistrati, ogni tanto qualcuno le faceva una domanda e lei muta, aveva perso la parola. Poi alle nove di sera rimanemmo sole nella stanza. Elisabetta mi disse:  “Mamma cosa ho fatto di male che mi volevano ammazzare?”.

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