Per il terzo anno consecutivo sarà la Caletta Genovesi di Arbatax ad ospitare la rassegna “Cal’a Cinema 2011”, appuntamento ormai giunto alla terza edizione per gli appassionati di cinema sardo e non solo.
Il nome riconduce al luogo, gioca sull’espressione sarda cala a cinema (scendi al cinema)e invita gli abitanti a partecipare gratuitamente alla proiezione pubblica che si terrà il 28 29 30 luglio 2011.
Il programma della Rassegna di Cinema Indipendente Cal’a Cinema 2011 si apre il 28 luglio alle 21,30 con l’opera di Mario Piredda “Io sono qui” , a seguire Paolo Zucca racconta "Cuore di clown" e in conclusione Bepi Vigna presenta “Atteros”.Il secondo appuntamento del 29 luglio sarà dedicato al lungometraggio di Peter Marcias “I bambini della sua vita” mentre la terza ed ultima serata ospiterà Salvatore Mereu con la prima assoluta di “Tajabone”.
A presentare gli appuntamenti saranno l’artista Marcello Murru, una figura che sfugge qualsiasi etichetta, cara dalle origini alla rassegna, accompagnato dal noto giornalista televisivo e radiofonico Pierluigi Diaco.
“Io Sono Qui” di Mario Piredda. Propone un tema caldissimo in Ogliastra come nel resto della Penisola. La necessità di lavoro che costringe spesso a scelte obbligate. E’ la storia di un giovane che emigra per combattere una guerra che non lo riguarda, ma che per lui rappresenta un’occasione di impiego e guadagno. Sul vespino con l’amico Giovanni si spiega così: “Cosa ci faccio qua? Siamo sardi, siamo nati per emigrare! La Sardegna non ci offre un cazzo”. Giovanni lascia i suoi due più cari amici, con cui ha condiviso quel paesaggio arso dal sole e inaridito dalla mancanza di opportunità e parte per il Kossovo,si ritrova ad affrontare un nemico più insidioso degli altri soldati armati, un nemico interno e subdolo,la malattia.In questa guerra iniziata il 24 marzo 1999 le forze Nato sono intervenute con armi che hanno utilizzato proiettili rinforzati con uranio impoverito.Oggi tocca all’Ogliastra intera un confronto interno e deleterio ma assolutamente necessario,i morti ci sono già stati, ai vivi rimane il dolore e il dovere di sapere, il diritto sembra non essere riconosciuto.
“Cuore di Clown” di Paolo Zucca. Continua la collaborazione iniziata l’edizione precedente con Paolo Zucca.Torna ad Arbatax con la sua ironia a raccontarci una storia d’amore deliziosa, dal retrogusto melanconico tipico del mondo circense, ricca di rimandi fantastici e visioni oniriche, una favola e un universo narrativo al di fuori del tempo, pertanto sempre attuale; il regista sardo sceglie il dialetto pugliese per raccontare la sua favola, e certamente ci dovrà una spiegazione.
“Atteros” di Bepi Vigna è come cita il titolo originario un “breve viaggio nel modo dell’immigrazione” Essere extracomunitari in Italia, ciascuno portatore di una propria storia fatta di rinunce, sofferenze, sacrifici. Dall’Africa alla Bosnia, dalla Palestina, dal Pakistan e alla Cina, le testimonianze di chi, pur provenendo da differenti realta' politiche e sociali, e' testimone di valori e problemi che riguardano tutti gli uomini. Gli immigrati, oltre che a contribuire col lavoro al nostro sviluppo, rappresentano un occasione di arricchimento culturale e di confronto con la realta' del mondo che ci circonda.
“I bambini della sua vita”di Peter Marcias. Racconta di Alice,che ha ventidue anni e vive da poco tempo nella casa ereditata da sua nonna nel quartiere Castello di Cagliari. È persa e inquieta, investita da un vortice di ricordi sfocati della sua infanzia. Un giorno si reca in carcere a trovare un uomo col quale rievocherà le vicissitudini di Silvia, una ragazza tossicodipendente che entrava e usciva dalla vita di sua figlia. Rosaria, una nonna forte che ha rinunciato ad aiutare la propria figlia per crescere sua nipote. E infine di un amico di Silvia, il francese Julien, con la sua vita scandita da lettere e poesie, che nutriva per Alice un affetto quasi paterno. Ma Alice non è andata da Julien solo per fare un bilancio sulla sua famiglia, vuole sapere se lui è suo padre. Troverà inaspettatamente la forza di tornare alla sua vita e di sorridere, non dopo quella risposta, ma grazie a un ragazzo che come lei è legato al passato di Julien...
“Tajabone” di Salvatore Mereu. Salvatore Mereu torna dopo la prima edizione a verificare lo stato di salute della rassegna e racconta una storia della periferia di Cagliari, composta da otto piccoli racconti su altrettanti ragazzi che, nella finzione cinematografica, si chiamano Jennifer e Alberto, Jonathan e Kadim, Vanessa e Munira, Noemi e Brendon, nomi che indicano in parte la nuova composizione etnica delle scuole italiane, in parte quella globalizzazione che si riflette anche nella constatazione che, oggi, i dodicenni in Sardegna non si chiamano più Efisio o Gavino, ma portano i nomi dei divi di Hollywood e dei protagonisti delle sitcom d'oltreoceano.
La volontà dell’iniziativa anche per l’edizione 2011 resta il confronto tra la realtà locale e l’esterno, verificando gli elementi di unione ed esaltando le differenze: Arbatax nella sua intima natura di porto di mare da sempre concilia la tradizione locale sarda con quelle acquisite dall’esterno, attraverso la testimonianza delle genti diverse che l’hanno visitata e che spesso l’hanno scelta come nuova patria. Ha affrontato con decenni di anticipo il difficile fenomeno della convivenza tra popolazioni diverse, arricchendosi dalle influenze esterne pur mantenendo una propria identità.
Arbatax è un porto, ovvero un luogo di passaggio e d’incontro tra identità diverse, spazio in cui la differenza, giungendo da luoghi “altri” e lontani si fa occasione di scambio e d’incontro nell’esercizio di una pratica che in Sardegna conserva ancora la traccia del rito: l’ospitalità e l’accoglienza. Da questo nasce l’idea di consentire la fruizione gratuita delle serate, ai locali ed ai turisti.
L’unico impegno per lo spettatore rimane quello di portarsi la sedia, la sua sedia. Apparentemente una richiesta strana da parte dell’organizzazione,in verità un richiamo voluto al modo di vivere il cinema ad Arbatax fino a quarant’anni fa: allora la sala cinematografica era improvvisata, installata nella via Venezia, in cui, chiuso il traffico, si montava lo schermo ad un capo, il proiettore all’altro e le persone uscivano di casa con la propria seduta e sceglievano un posto in platea.
La sala cinematografica rimane estemporanea, le immagini guidano le emozioni, lo spettatore sceglie il suo punto di vista personale, lo occupa, incontra il vicino di casa, e di sedia, e lo spettacolo può iniziare.
Del resto, ad un incontro sono legate le origini di Arbatax: fu una colonia di pescatori che vennero dal mare, e precisamente da Ponza, ad insediarvisi, creando quindi il legame con l’entroterra e le sue genti.
Lo schermo cinematografico e le storie che vi si proiettano vogliono quindi essere simbolo del Mare Nostrum, il grande schermo su cui si affacciano le tradizioni narrative e culturali di tanti popoli lontani e diversi tra loro.
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