I sardi immuni alla mafia. E fuori pericolo in caso di arrivo nei carceri dell’isola di boss in regime di 41-bis. Questa la teoria esposta l’altro ieri a Nuoro dal numero uno del Dap Franco Ionta. E avallata dalla direttrice di Badu ’e Carros Patrizia Incollu (che ospita, unico 41-bis dell’isola, il super boss Antonio Iovine). Un’analisi autorevole quanto datata. Che non solo non convince ma, vista la «levatura» di Ionta (che è stato anche pm a Nuoro negli anni caldi della contaminazione terroristica e del «braciere» di Badu ’e Carros) lascia il sospetto che dietro la boutade del numero uno del Dap ci sia ben altro. E cioè l’intenzione (del resto palesata nel Ddl sicurezza e nel piano di riorganizzazione delle carceri curato dallo stesso Ionta) di preparare il terreno all’arrivo in Sardegna di qualche centinaio di 41-bis, attualmente sparsi in 12 supercarceri tra centro e nord Italia. Un «sospetto» bipartisan, espresso dal presidente della commissione diritti civili Silvestro Ladu (Pdl) e dal deputato Guido Melis (Pd). «Con tutta la stima che nutro per Ionta - spiega Melis - la sua tesi non mi convince. Certo il tema della tipicità della criminalità sarda è stato a lungo una bandiera della cultura progressista in Sardegna. Furono gli Antonio Pigliaru, i Gonario Pinna, i Giuseppe Melis Bassu e poi via via gli studiosi di seconda generazione a segnalare la peculiarità del banditismo sardo: bande aggregate di volta in volta intorno a un latitante, non stabili né padrone del territorio; passività (forse) delle popolazioni della zona pastorale, ma mai connivenza o omertà; assenza di quelle stabili gerarchie che caratterizzano la piramide mafiosa. Quella interpretazione era giusta, negli anni in cui venne enunciata. Ma oggi? Cosa sta accadendo, ad esempio, in città in fortissima crescita come Olbia? Che matrice ha la violenza di certe zone dell’Ogliastra? E come dobbiamo considerare gli allarmi di magistrati esperti come Fiordalisi a Lanusei o gli avvertimenti di una personalità non certamente incline a parlare a vanvera come il presidente della commissione Antimafia Pisanu?». «Insomma, mi stupisce che un conoscitore del tema come Franco Ionta - chiude Melis - sia tanto apodittico nell’escludere inquinamenti mafiosi in Sardegna. La mafia è presente in tutto il Nord, è arrivata a Duisburg. Perché mai noi sardi ne dovremmo restare immuni? A meno che, lo dico a mezza voce, non si voglia creare un clima, giustificare una politica carceraria, in netto contrasto tra l’altro con impegni presi anche di recente. A meno che, insomma, non si prepari un invio in massa nelle carceri sarde, vecchie e nuove, di mafiosi e camorristi ad alto rischio di contagio». «Le parole di Ionta - attacca Silvestro Ladu - non sono né tranquillizzanti né condivisibili. Negli anni ’80, ad esempio, la presenza del supercarcere a Nuoro ha condizionato in negativo l’ambiente esterno. E a quegli anni sono riconducibili la nascita di movimenti organizzati che non erano tipici della cultura barbaricina. Oggi poi sono sotto gli occhi di tutti gli «atteggiamenti» mafiosi che si registrano con sempre maggiore frequenza nelle zone costiere. Sottovalutare questo fenomeno potrebbe essere un grave errore. L’atteggiamento di Ionta, viste le sue conoscenze in materia, ci sorprende. Sembra voglia minimizzare il problema quasi per mettere le mani avanti. Preparando uno sbarco in massa in Sardegna dei 41 bis. Non lo permetteremo».
(Giovanni Bua - LA NUOVA SARDEGNA - MERCOLEDÌ, 23 FEBBRAIO 2011)