Il dibattito che si èsviluppato (nuovamente) in queste settimane sullo Statuto, sul come riscriverlo,sull’esigenza di una piena e compiuta indipendenza della Sardegna,sulla necessità del coinvolgimento di tutte le componenti della società,appare oggi come il solito balbettio di chi, per incapacità o per calcolo,intende raggirare il popolo sardo mostrando un falso interesse per i problemireali che soffocano l’isola. C’è da chiedersi come i partiti che mostranouna totale subalternità nei confronti di chi detiene il potere, trovino poi lasfrontatezza di presentarsi come antesignani dell’indipendenza dell’isola.
Tutti gli schieramenti che sostengono la Giunta condividono questa doppiezza:inneggiano all’indipendenza ma, al tempo stesso, omaggiano il lorocomune padrone. Dentro questa contraddizione c’è anche il PSd’Az,nonostante i recenti tentativi tesi a conquistare, all’interno dellacoalizione, una maggiore autonomia. Si consoliderà questa esigenza? Certo èche i suoi dirigenti, nelle ultime elezioni regionali, hanno dato vita ad unrapporto forte con Berlusconi e non sono riusciti a scioglierlo nemmeno quandouna Giunta screditata per i suoi legami con personaggi della P3 è entrata incrisi. Anzi ancora oggi si adoperano, pur rivendicando un ruolo più incisivoall’interno della Giunta, per una ricomposizione delle vecchie alleanze, manon lo fanno sulla base di una politica che affronti qualcuno dei problemirelativi all’occupazione; la loro rivendicazione più importante sembra esserela visibilità all’interno della Giunta, ossia qualche assessorato in più,come se la preoccupazione di chi ha perso il lavoro venisse meno se nella stanzadi comando i rappresentanti sardisti avessero maggiore peso!
Ancora oggi, a distanza di quasi due anni dalla caduta della Giunta Soru, c’èchi sostiene che l’alleanza con Berlusconi si è resa necessaria a causadell’autoritarismo dell’ex Presidente della Regione. Bella evoluzione nellapolitica delle alleanze! Eppure qualche alternativa il PSd’Az l’aveva eancora ce l’ha: può valorizzare l’ipotesi che le alleanze politiche possonoscaturire da un rafforzamento delle relazioni con la società civile,soprattutto quando si colgono e si assumono i bisogni degli strati sociali piùin difficoltà. E in Sardegna, purtroppo, questi non sono assenti.
Nel corso di questi mesi non passa giorno che le nostre città non venganoattraversate o dai lavoratori dell’industria messi in cassa integrazione, odagli allevatori e dai contadini, o dagli studenti e dagli insegnanti precari.Tutti rivendicano migliori condizioni di vita, soprattutto una maggiore stabilitàdel lavoro e un adeguamento delle retribuzioni perché possano coprire le spesedi tutto un mese. Tutte le manifestazioni si concludono davanti alle sedi delleistituzioni regionali dove i lavoratori chiedono di essere sentiti dairappresentanti della Giunta o del Consiglio e sollecitano interventi cherispondano alle loro rivendicazioni. Spesso questi lavoratori non trovanoun’accoglienza adeguata, il più delle volte la soluzione dei loro problemiviene rinviata e si crea così una frattura, una separazione tra politica esocietà civile. È la sconfitta della democrazia e l’esito delle ultimeelezioni provinciali ha messo in evidenza i pericoli di questo processo.
Viene meno così una concezione importante, presente nella Costituzione, e poiribadita in leggi successive, secondo cui le Regioni avrebbero dovuto essereenti di governo autonomo con un orientamento teso a legiferare e a programmare,nel tentativo di elaborare strategie in grado di attivare politiche di sviluppoe di coesione sociale. Questa prospettiva tarda a farsi strada e neanche lediscussioni più accese, sui temi più importanti, svolte tutte all’internodelle stanze del potere, riusciranno a correggere la tendenza attualmente incorso.
Riscoprire o rilanciare il rapporto tra istituzioni partiti e cittadini, al difuori di tentazioni plebiscitarie, è l’obiettivo più importante daconseguire; ma sono le componenti del centro sinistra che devono impegnarsimaggiormente per realizzarlo, agli altri schieramenti importa poco o niente. Edè altrettanto importante rilanciare, insieme alla lotta per l’occupazione,quella per la democrazia nei posti di lavoro. Marchionne recentemente ha dettoche chi si scandalizza del suo stipendio (400 volte maggiore del salario di unsuo dipendente) non sa che lavoro (lui Marchionne) è obbligato a svolgere!Forse è vero, ma deve essere anche vero che lui Marchionne deve sapere pocodella fatica di chi in fabbrica lavora senza tregua, senza consumare il pranzo,senza poter andare a far pipì quando ne ha bisogno, senza avere la possibilitàdi scioperare quando viene privato della libertà. È dalla lotta perl’affermazione di questi diritti che scaturisce la vera indipendenza, inSardegna e altrove.
Di: Marco Ligas Da Il ManifestoSardo del 16 Ottobre 2010