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Prima
di tutto, un grazie riconoscente ai nove giudici della Corte Costituzionale che
hanno detto basta all'impunità di uno soltanto. Stabilendo una volta per sempre
(speriamo) che nessuno in questo Paese può essere dichiarato, per legge,
superiore alla legge. Nessuno, nemmeno il padrone più potente e il premier più
arrogante. Probabilmente, la vera storia delle lusinghe, delle promesse e delle
minacce che i giudici della Consulta hanno dovuto sopportare non la conosceremo
mai. Mentre sulla disinvoltura di altri giudici sorpresi a cenare cordialmente
insieme a colui che dovevano giudicare sappiamo già tutto.
Attenzione però alle prime dichiarazioni di
Berlusconi e delle sue teste di cuoio. Se il premier dice che la Corte è “di
sinistra”, come i giornali, la magistratura e perfino lo stesso Napolitano,
che pure il lodo Alfano ha firmato. Se aggiunge: “mi fanno un baffo”,
mostrando il solito alto rispetto per le istituzioni. Se il pittbull Gasparri
afferma che da oggi quella stessa Corte “non è più un organismo di garanzia
ma politico”. Se Bossi chiama a raccolta la piazza ed evoca la guerra civile.
Se, insomma, la destra delle teste di cuoio scatena i suoi bassi istinti,
significa che giorni più aspri ci attendono. Sembra chiara l'intenzione di
spaccare e dividere l'Italia più di quanto non lo sia già chiamando tutti a un
referendum pro o contro Berlusconi. E non soltanto nelle urne, come sarebbe
legittimo. Il timore è che il continuo straparlare di golpe e di farabutti, che
le accuse di comportamenti “antinazionali” preludano a qualcosa che sta
maturando
nella testa di qualcuno e di cui
l'annunciata manifestazione “spontanea” di popolo potrebbe essere il
detonatore. Non illudiamoci. La senteza della Corte ha soltanto stabilito una
linea di demarcazione. Sappiamo cosa c'è di qua. l'Italia pronta a difendere
la sua costituzione
e il principio di uguaglianza. L'Italia
onesta che disprezza evasori e bancarottieri. L'Italia che non si nasconde
dietro gli scudi e i privilegi. L'Italia che chiama ladri i ladri. L'Italia che
non si fa intimidire. L'Italia che finalmente ha detto basta.
Art.
Antonio Padellaro
GODO
ALFANO GRAZIE UMBERTO
Di Marco Travaglio
In
questo momento di gioia irrefrenabile per i sinceri democratici, un pensiero di
gratitudine va al vero vincitore della giornata di ieri: Umberto Bossi. Il
vecchio Senatur, pur acciaccato, non tradisce mai. Da due giorni la Corte
costituzionale discuteva animatamente se la legge fosse uguale per tutti o solo
per qualcuno: un po' come se un convegno di matematici dibattesse su quanto fa
2+2 e qualcuno proponesse un onorevole compromesso a 3 e mezzo. Per salvare
capra e cavoli, Palazzo Grazioli e Quirinale. Al Tappone e Al Fano si eran pure
portati a cena due ermellini. Poi avevano sguinzagliato l'Avvocatura dello
Stato, pronta a coprirsi di ridicolo pur di difendere una legge
incostituzionale. Cicchitto s'era levato il cappuccio, spettinandosi i boccoli,
per organizzare una marcia su Roma pro-impunito. Littorio Feltri chiamava a
raccolta i lettori per una colletta ai bisognosi Fininvest. Il duo comico
Pecorella & Ghedini, i Gianni e Pinotto del diritto e soprattutto del
rovescio, collezionavano un'altra figura barbina sostenendo che l'Utilizzatore
Finale è un “primus super pares”: il più alto fra i bassi. Mancava solo
Giampi Tarantini, momentaneamente ristretto, nel collegio difensivo. Insomma il
pateracchio sembrava inevitabile.
Poi è entrato in scena Umberto B., che Dio
lo benedica. Ha chiamato alle armi il popolo padano, compresi galli, celti,
cimbri e teutoni. A quel punto anche qualche ponziopilato in ermellino s’è
guardato allo specchio: “Ma porc@#§%&$£! Possibile arrivare a 90 anni
di onorata carriera per farsi minacciare da uno che inneggia a Odino, brandisce
fuciletti a tappo e ampolle di acqua fetida, si pulisce il culo col Tricolore e
si crede Alberto da Giussano? Che diranno i nostri nipoti? Che scriveranno i
libri di storia? Che ce la siamo fatta sotto e abbiamo devastato la
Costituzione, rinnegando tutto quel che abbiamo studiato e insegnato per una
vita, per salvare le chiappe a un puttaniere corruttore che ne ha combinate di
tutti i colori e poi è andato in politica per farle pagare a noi?”.
L'urlo di battaglia dell'Umberto,
astutamente studiato a tavolino e piazzato lì nel momento del bisogno, ha fatto
pendere la bilancia dalla parte giusta. Ha dato coraggio ai pavidi e li ha
spinti al colpo di reni. Altro che Pd: i diversamente concordi non avevano
voluto nemmeno firmare il referendum. Ma là dove non poterono i pidini, potè
l'Umberto. E' lui il Gran Visir che congiura contro il premier, evocato da
Calderoli. Oggi come nell'ottobre del '93, quando fu decisivo per abrogare
l'autorizzazione a procedere. Castelli, Maroni e Bossi tuonarono a una voce
contro l’“inaccettabile degenerazione dell’immunità parlamentare…
trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio”, con “conseguenze
aberranti”, trascinandosi dietro Fini, Gasparri e La Russa che aggiunsero
sdegnati: “L’uso dell’immunità è visto dai cittadini e dai giudici come
uno strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia”. Nel '94 il
replay, quando Bossi, sempre in tandem con Fini, costrinse il Cainano a ritirare
il decreto Biondi che scarcerava corrotti e corruttori. Poi, a fine anno, gli
rovesciò il governo. E ora dà un contributo decisivo a smantellare il Lodo Al
Nano e a restituire il premier al suo habitat naturale: il Tribunale. Grazie,
Umberto.