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Io non perdono per non cancellare
 
“ Una madre orunese perdona gli uccisori dei figli “ - di P. Diego Calvisi Corrispondenza dall’Argentina
Nuoro 3 novembre 1985 Settimanale: “L’Ortobene” ANNO 60-N. 37

“ In una recente visita agli emigrati bittesi di Buenos Aires ho potuto conoscere la signora Angelica Chessa di Orune.
Con viva commozione ho ascoltato il racconto delle sue sofferenze, per essere stati i suoi figli, Mario e Francesco, coinvolti nelle tristi vicende della repressione militare Argentina.
Angelica Chessa in Zidda, nel 1956 lasciava Orune per trasferirsi, emigrata, con la famiglia , in Argentina.
La vita a Buenos Aires trascorreva tranquilla, per la famiglia orunese. Il lavoro sicuro le permetteva di guardare con serenità al futuro. Gli emigrati sardi sono universalmente apprezzati in Argentina. Alla capacità nel lavoro si unisce la serietà della vita, aiutati in ciò dalla vita della famiglia che conserva i valori spirituali e morali della propria terra.
Le ultime tragiche vicende che hanno sconvolto l’Argentina in questi ultimi anni hanno provato duramente tante famiglie, tra cui la famiglia Chessa Zidda.
“Desaparessidos”, torturati, incarcerati senza motivo; persone strappate ai propri cari, non escluse donne e bambini, hanno lasciato profonde ferite che si rimargineranno col tempo e con l’accettare lo spirito cristiano del perdono.
Il processo che si sta celebrando in questo momento in Buenos Aires, è un tentativo della giustizia umana per individuare i maggiori responsabili e far luce su tanti crimini perpetrati, in questi ultimi anni.
Nella notte del 29 maggio del 1974, in una strada di Buenos Aires, furono rinvenuti tre cadaveri, crivellati di colpi di arma da fuoco.
Lo spettacolo era raccapricciante. Tre corpi umani denudati, in una pozza di sangue: fra i morti giaceva anche MarioZidda di Orune, universitario, di 22 anni. La povera madre, con gli occhi in lacrime ha potuto riconoscere il corpo sfigurato di suo figlio. Ad accrescere il suo dolore, le fu negato poter raccogliere la salma del figlio ucciso. Si trattava di una morte per motivi politici.
Giunto il momento del seppellimento, Angelina Chessa, con un coraggio proprio di una donna sarda, con uno spirito altamente cristiano, si pone di fronte al suo figlio ucciso e mirando le guardie della polizia federale, grida ad alta voce:
“ Perdono coloro che hanno ucciso a mio figlio Mario, non sapevano sicuramente chi era mio figlio”.
La commozione fu generale!
Altre madri presenti fremevano di sdegno. Si aspettavano parole di condanna e di esecrazione.
Ma la donna orunese, non ha paura di ripetere per la seconda volta, le stesse parole di perdono cristiano.
Il dramma per Angelica Chessa non terminava. Qualche tempo dopo, anche l’altro figlio Francesco fu prelevato una notte dalle guardie della Seguridad Nacional e incarcerato. Forse per i maltrattamenti subiti, dalla prigione usci’ sofferente ad una gamba. Le complicazioni che seguirono, lo portarono presto alla tomba.
Indicibile il dolore che va a provare la famiglia sarda. ”Las Madres de Plaza de Mayo “ venute a conoscenza dei fatti accaduti, invitano Angelica Chessa ad unirsi al loro movimento per denunziare le cose all’opinione pubblica. La donna non aderi’.
Come le madri di tanti figli ingiustamente uccisi, Angelica si chiude nel suo dolore e trova il suo sfogo nelle lacrime e nella preghiera al Signore.
Per alcuni anni la famiglia Zidda rientra in Italia. Da Orune si trasferi’ successivamente a Siena, dove vive attualmente.
Il pensiero della madre è sempre fisso nel cimitero di Buenos Aires. Con questo assillo nel cuore in questi ultimi mesi ha fatto rientro in Argentina, per poter ancora una volta visitare le tombe dei propri figli, pregare per le loro anime e tentare se possibile il trasferimento delle loro ossa in Italia.
Il 29 maggio di quest’anno, anniversario della morte di Mario, fa visita al cimitero. Dopo aver camminato a lungo per gli immensi viali, al fine di rintracciare il loculo del figlio finalmente si imbatte di fronte a una targa di bronzo con la scritta:” A Mario – Craciela “. L’iscrizione era il ricordo della ex fidanzata di Mario, Graziella Meridda, figlia di Ciriaco, anziano emigrato di Bitti.
Il 15 settembre u.s. celebrai in una chiesa di Buenos Aires, una Santa Messa in suffragio dei fratelli Mario e Francesco. Era una domenica ed era presente Angelica con gli emigrati di Bitti.
Durante la predica ricordai ai fedeli il gesto della donna di Orune. Al saluto della pace, scesi dall’altare e l’abbracciai come a una sorella. Lei piangeva.
L’Argentina ha bisognosi questi gesti che spingono alla riconciliazione e al perdono cristiano.
Però il mio pensiero vola lontano nella cara diocesi di Nuoro, alla parrocchia di Orune.
Ripenso ai tanti fatti di sangue, originati da vecchi odi e che hanno sfocciato nelle vendette e negli omicidi a catena.
Il perdono cristiano e la riconciliazione fraterna sono più che mai urgenti e indilazionabili.
Serva di esempio il gesto di Angelica Chessa di Orune che ha perdonato coloro che le hanno ucciso il figlio.”

Ho trovato questo numero dell’Ortobene in mezzo a vecchi documenti che non guardavo da anni. Il giornale era piegato in quattro e sono state le tre foto che hanno attirato subito la mia attenzione. Volti familiari. Quella di Angelica è una foto tessera. Quella di Mario la devono aver scattata ad una festa. E’ in abito e cravatta, i capelli lunghi, ricci, il viso piegato un po’ sulla spalla destra, sorride. Francesco è preso di fronte, indossa una maglia sportiva, l’espressione del viso è seria. Questi ragazzi somigliano moltissimo ai miei fratelli, l’attaccatura dei capelli sulla fronte è la stessa di mio babbo.
Ecco ora ricordo di avere già visto e letto questo articolo. E’ del 1985, stavo ancora dai miei, lavoravo in chirurgia generale, infatti il giornale era indirizzato alla Rev. Suor Francesca Pirellas che era la suora del reparto. Evidentemente lo avevo preso io perché conteneva l’articolo che mi interessava.
L’ho conservato bene per sei anni sino al 1991, anno del mio matrimonio quando sono andata via da casa dei miei e l’ho portato con me come un gioiello da non perdere.
Oggi l’ho riletto. Ho pianto pensando a quella povera mamma.
Penso alle nostre vite che scorrevano parallele, la mia ad Orune prima, poi a Nuoro ed ancora a Sassari e la loro, quella della famiglia di ziu Caulada in Argentina, a Mar del Plata e a Buenos Aires. Ricordo che mio babbo ne parlava sempre, era molto affezionato a quei cugini. Le notizie che arrivavano erano incoraggianti, si erano sistemati bene, avevano fatto fortuna. Si sapeva che in Argentina la sorte cambiava la vita delle persone in poco tempo per cui c’erano periodi migliori e altri peggiori, ma complessivamente stavano tutti bene.
A giudicare dalla foto dell’” Ortobene “ tra Mario e Francesco non dovevano esserci molti anni di differenza.
Nel 1974, quando è stato ritrovato il corpo martoriato di Mario, io avevo 18 anni e lui 22 anni. La famiglia è emigrata in Argentina nel 1952. Francesco era un bambino, Mario nato lì oppure vi è arrivato neonato.
Ho riflettuto molto sull’articolo di P. Diego Calvisi e i fatti che lui racconta.
Quel “Non sapevano sicuramente chi era mio figlio”dette da zia Angelica, sono le parole di chi non crede che ci possa essere stato un motivo valido, se mai uno ce ne fosse per chiunque, per uccidere suo figlio e ucciderlo cosi’.
Certo che lo sapevano chi era tuo figlio. E’ proprio per quello che era, per come era, che lo hanno ucciso
Agli uccisori non interessava che lui fosse un figlio affettuoso, amorevole, intelligente, non interessavano le cose che avevano valore per tè, per tutte le mamme. Il sorriso con il quale ti salutava la mattina, quello un po’ ruffiano con il quale ti avvolgeva quando ti doveva chiedere qualcosa. Come sapeva prenderti in giro e divertirti, che per tè fosse come un libro aperto di cui tu conoscevi il senso di tutte le righe.

Ucciderlo così. I corpi ritrovati nella strada erano nudi. C’era la pozza di sangue nel luogo del ritrovo. Lo hanno torturato da un’altra parte e trasportato ancora vivo nel luogo dove è stato abbandonato e ha cessato di vivere. .
Perché don Calvisi non chiama mai assassini gli assassini di Mario e Francesco. Perché li chiama uccisori come che si riferisse agli esecutori materiali. Assassini erano tutti, esecutori e mandanti.
“Perdono coloro che hanno ucciso mio figlio…” La commozione fu generale! Altre madri presenti fremevano di sdegno. Non potevano credere che una mamma potesse perdonare. Forse non potevano credere che Angelica pensasse davvero che gli assassini non sapessero chi era il figlio. Forse hanno letto un pensiero tipo: Mio figlio non era come gli altri che sono scomparsi, torturati e uccisi. Si chiedevano come è possibile perdonare, e perché dirlo cosi’, davanti a tutti, davanti anche alle guardie della polizia federale? “Voi non sapevate chi era mio figlio”. Non una parola di condanna e di esecrazione.
“Angelica non aderi’ al movimento delle Madri do Plaza de Mayo, si chiude nel suo dolore e trova sfogo nelle lacrime e nella preghiera al signore”. Cosi’ si è consumata. Le avrebbe fatto bene invece condividere con le altre mamme il suo dolore. Anche quelle altre mamme avranno pianto, avranno pregato. Soprattutto hanno fatto conoscere al mondo cosa è successo in Argentina in quegli anni.
Il 29 maggio 1985 la mamma visita il cimitero di Buenos Aires, trova la targa di bronzo con scritta:“ A Mario - Graciela”. Graciela chi sei? Dove sei? Come sei?
Tu che lo conoscevi racconta com’era Mario, Che cosa sai? Come ti sei sentita?
Ai parenti chiedo com’erano questi cugini? Francesco , anche lui aveva perdonato?

Ripiego in quattro la pagina dell’”Ortobene” e la custodisco nel cofanetto insieme ai miei gioielli.

E. Z.

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