“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".
Da una relazione
dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati
italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.
Non ci andava meglio in
Svizzera, negli anni ’70 con i leader che scrivevano: “Le mogli e i
bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che
minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini.
Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità
quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di
pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno
e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi,
studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità
dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti,
magari in poltrona, l’ex guitto italiano».
In quegli anni – ieri
rispetto alla Storia - in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani
clandestini, portati di nascosto dai genitori siciliani e veneti, calabresi e
lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti
familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che raccomandavano
perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.
Prima degli anni ’50 gli
italiani andavano a Bucarest per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e alla
scadenza del permesso di soggiorno restavano in Romania, clandestini. Nel 1942
il Ministro dell’Interno fu costretto ad inviare a tutti i Questori una
circolare con la quale li si invitava a non far espatriare gli italiani in
Romania.
In India, nel 1893, il console
italiano scriveva a Roma per dire che in quella città tutti quelli che
sfruttavano la prostituzione venivano chiamati “italiani”.
Tra la prima e la seconda
guerra mondiale molti italiani andavano in America con passaporti falsi o
biglietti inviati da pseudo parenti italo americani. In realtà una volta
sbarcati li attendevano turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza
stipendio, il costo di quel viaggio della speranza.
Non sono aneddoti. E’ storia,
tratta dalla Mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI
e XX secolo” (Parma, 15 aprile 2009).
Gian Antonio Stella, nel suo
bellissimo libro “Quando gli albanesi eravamo noi”, ci ricorda che
“….Quando si parla d’immigrazione italiana si pensa solo agli ’zii
d’America’, arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la
percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del
71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per
omicidio” o ancora che il primo attentato nella storia con un’auto
imbottita di esplosivo è stato fatto a New York, non da terroristi ma da
criminali italiani contro una banda avversaria.
Forse ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono ma i clandestini restano anche se hanno un colore diverso. Fuggono da Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente può solo correre, correre, correre impazzita verso il nord, verso il mediterraneo, verso quelli che credono essere orizzonti migliori.
Articolo di : ALDO MATURO
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