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Perchè il caso Capezzuto non scuscita attenzione
 

"Uomo morde cane", cihanno insegnato, fa sempre notizia, si impone nei menabò e buca il video. Manon è sempre vero. Non è vero, ad esempio (e sarebbe interessante scoprireperché) quando l'uomo è un cronista di camorra testardo e coraggioso, diquelli che non si fanno intimidire, e il cane morsicato è un camorristacondannato in tribunale per aver minacciato il cronista che metteva in luce lemalefatte del suo clan. In questo caso la notizia fatica a trovare l'attenzioneche merita. Va solo sulle pagine locali, e con titoli che non mettono inevidenza l'avvenimento insolito nel quale trionfa il soggetto che, nel copioneclassico, sarebbe destinato a soccombere. S'è visto sfogliando i giornali divenerdì 11 luglio. Eppure la notizia era proprio del genere uomo morde cane.

  Il giorno prima, fattosenza precedenti, il Tribunale di Napoli, undicesima sezione penale, avevacondannato due camorristi a oltre due anni di reclusione ciascuno e a unrisarcimento di migliaia di euro ritenendoli responsabili di avere minacciatoripetutamente il giornalista Arnaldo Capezzuto per convincerlo a non indicarenei suoi articoli sul giornale "Napolipiù", quando ancora sistampava, gli elementi emersi a carico di Salvatore Giuliano (poi riconosciutocolpevole anche in base a quegli elementi) per l'omicidio di Annalisa Durante,uccisa a sedici anni il 27 aprile 2004 in un vicolo di Forcella da un proiettilesparato da giovani camorristi che giocavano con le armi.   Capezzutofu minacciato la prima volta in un corridoio del Tribunale di Napoli, il 27maggio 2005, durante il processo per quell'omicidio della "criatura"che ancora emoziona tutta Napoli e ha sconvolto il quartiere di Forcella."Ma che c... scrivi? Lascia perdere - gli dissero con l'aria di dargli unconsiglio - se continui così chissà che brutta fine che potresti fare! Saicom'è? Le disgrazie capitano all'improvviso, e poi non puoi fare piùniente". Ma il minacciato non si fece intimidire. Denunciò le minacce econtinuò imperterrito a scrivere. Allora gli mandarono altri"consigli" con una lettera minatoria anonima, o meglio firmata con unafila di teste mozzate, accusandolo di fare parte, insieme al padre della ragazzauccisa e al prete anticamorra don Luigi Merola, di un "terzetto di espertidella camurria" e promettendogli di fargli fare la fine di "GiancarloSiano" (sic). Lettere analoghe furono recapitarte agli altri due del"terzetto", che reagirono allo stesso modo.

A me pare che gli ingredientidel caso "uomo morde cane" ci siano tutti. A Napoli, e non solo aNapoli, non è frequente, anzi diciamo che è piuttosto raro, che un cronistaminacciato dalla criminalità organizzata invece di desistere per paura, com'èumano, com'è comprensibile ma non deontologicamente corretto, reagisca e cheottenga soddisfazione e giustizia. No, non è frequente, ma per nostra fortunanon è l'unico caso, è accaduto altre volte e quando accade merita, io credo,la massima considerazione. Inoltre, non so quante volte in  Italia siaaccaduto che in un caso simile l'Ordine dei Giornalisti si sia rimboccato lemaniche con tanto impegno, si sia costituito parte civile e abbia trovatol'appoggio e l'impegno solidale dell'Ordine degli avvocati. Né mi parefrequente il caso di un tribunale che, dando ragione al minacciato, infliggendopene severe, concedendo una previsionale di dieci più venticinquemila euro (cheCapezzuto e il presidente dell'Ordine dei Giornalisti Ottavio Lucarelli hanno giàdestinato a opere sociali nel quartiere di Forcella) scriva il lieto fine a unacosì bella storia di impegno e di coraggio civile, di ribellione ad una delleimposizioni più odiose del sistema mafioso, quella che fa vincere la violenzaimpiegata per tappare la bocca a chi vuole testimoniare la verità.

   Ebbene, comespiegare che, con tutto questo, la notizia della vittoria del coraggiosoCapezzuto e della scelta civile dell'Ordine dei Giornalisti della Campania nonabbia raggiunto l'attenzione che merita e non sia arrivata sulle paginenazionali dei grandi giornali? Non si spiega senza dare la colpa ai giornalisti,perché sono loro che decidono impaginazione e importanza delle notizie, sonoloro che hanno lasciato al coraggioso presidente dell'Ordine l'onere pressochéesclusivo di rappresentare la categoria in seno al processo. Perché? Perchénon riescono a considerare Arnaldo Capezzuto fino in fondo uno di loro, allostesso modo con cui faticano a considerare giornalisti con le carte in regola,bravi giornalisti Roberto Saviano, Pino Maniaci, Lirio Abbate, RosariaCapacchione, Enzo Palmesano, per fare qualche nome, e tanti altri che perraccontare verità difficili, notizie scomode, , anche a costo di inimicarsi lepersone coinvolte cercano notizie sul campo, spulciano con cura i documenti,svolgono indagini in proprio, consultano  fonti non ufficiali, osemplicemente ricompongono in un quadro unitario i frammenti di informazionidisponibili o offrono analisi originali. Non è giornalismo, questo? Il casoCapezzuto, in questo senso, ripropone un problema di identità della professionegiornalistica. E’ la querelle riproposta schematicamente dal film su GiancarloSiani “Fortàpasc”, con la distinzione fra giornalisti-impiegati egiornalisti –giornalisti che ha fatto tanto discutere a Napoli. Lacontroversia non si risolve con la forza dei numeri. Se i Capezzuto, Maniaci,Capacchione sono una minoranza non è detto che per questo non abbiano ragioneproprio loro. Bisognerebbe discuterne, serenamente, e non chiudere il casooscurandolo e neppure negando la solidarietà attiva a chi la merita e ne habisogno come di uno scudo protettivo.

Di : Alberto Spampinato


direttore di Ossigeno, osservatorio Fnsi-Ordine dei Giornalisti
sui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza

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