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La crisi fi nanziaria e il Partito Democratico
 
(Da InSchibboleth Newsletter, Ottobre-Novembre 2008, n°12)Dopo la grave crisi fi nanziaria – analogie e differenze con la situazione del’29 e del ’33 sono state approfondite in tutte le direzioni e implicazioni – ilcapovolgimento di paradigma che s’intravede negli scenari internazionalie nazionali risulta veramente profondo e non può non essere attentamentevalutato anche dall’attuale classe dirigente del Partito Democratico.Vengono meno, sul piano strettamente teorico-ideologico, due condizioniche il trionfo del capitalismo ormai in via di globalizzazione sembrava aversancito in maniera defi nitiva.Entrambe queste condizioni sono state enunciate e sviluppate in due libridel politologo americano d’origine nipponica Francis Fukuyama; la primanel volume dal titolo paradigmatico, La fi ne della storia e l’ultimo uomo,le cui premesse è utile riportare per esteso: “Le lontane origini del pre-sente volume vanno ricercate in un mio articolo intitolato Siamo forse allafi ne della storia?, scritto per la rivista ‘The National Interest’ nell’estate del1989. In esso sostenevo come in questi ultimi anni fosse emerso in un grannumero di paesi un notevole consenso verso la legittimità della democrazialiberale come sistema di governo, vincente nei confronti di ideologie rivaliquali la monarchia ereditaria, il fascismo ed ultimamente anche il comuni-smo. Non solo, ma aggiungevo che la democrazia liberale avrebbe potutocostituire addirittura ‘il punto d’arrivo dell’evoluzione ideologica dell’umanità’,e ‘la defi nitiva forma di governo tra gli uomini’, presentandosi come‘la fi ne della storia’. Mentre infatti le precedenti forme di governo eranostate caratterizzate da vari difetti e irrazionalità che avevano fi nito per pro-vocare il crollo, la democrazia liberale pareva immune da contraddizioniinterne tanto profonde. Con questo non intendevo dire però che in demo-crazie stabili come sono attualmente quelle degli Stati Uniti, della Franciao della Svizzera non vi fossero ingiustizie o gravi problemi sociali; ma soloche questi problemi riguardavano l’incompleta attuazione dei due principidella libertà e dell’uguaglianza sui quali si fonda la democrazia moderna,piuttosto che non difetti degli stessi principi. E mentre oggi è possibile chealcuni paesi non riescano ad instaurare una democrazia liberale stabile eche altri fi niscano addirittura per regredire a forme primitive di governoquali la teocrazia e la dittatura militare, non pare invece possibile apportaremiglioramenti all’ideale della democrazia liberale.” E’ chiaro come i prota-gonisti impliciti di questa pacifi cante “storia della fi ne della storia” fosseroe sentissero di essere gli Stati Uniti.L’attuale crisi fi nanziaria che sta devastando i mercati internazionali e cheha la sua origine proprio negli Stati Uniti modifi ca i termini del problemaargomentato da Fukuyama?Credo in una risposta fortemente affermativa al quesito, una risposta chemette radicalmente in questione la possibilità di portare miglioramenti al-l’ideale della democrazia liberale. Sia sul piano economico sia su quellopolitico (tra i due piani vi è un automatismo) l’attuale crisi fi nanziaria ca-povolge il problema: il capitalismo fi nanziario ha di fatto minato alle radicil’idea stessa su cui si regge la democrazia liberale. Chi crede in una visione‘integralistica’ della democrazia e non minimalistica – la democrazia è ilmigliore sistema politico e non il meno peggio – non può non porsi oggiil problema della sua legittimità democratica che non dovrà esaurirsi nellasemplice scelta elettiva dei propri rappresentanti. Mi riferisco in particola-re al recente volume La légitimité démocratique dello storico francese Pier-re Rosanvallon, professore al Collège de France, creatore della FondationSaint Simon, oggi animatore della “Rèpublique des idée”, che offre spuntiimportanti di rifl essione alla politica. L’intellettuale francese è favorevolead un “sistema di doppia legittimità”, dato che il verdetto delle urne non èsuffi ciente a realizzare compiutamente la democrazia.E’ venuta, inoltre, meno la seconda delle condizioni, annunciata da Fuku-yama in un libro successivo a quello sulla fi ne della storia, Fiducia. Come levirtù sociali contribuiscono alla creazione della prosperità. La fi ducia dovreb-be rappresentare l’ingrediente straordinario per il successo di una societàmeritocratica. Il cittadino crede che il sistema sia sostanzialmente ‘giusto’, equindi è pronto ad accettare in pieno le regole contribuendovi attivamente,anche se sa che non sarà necessariamente lui il diretto benefi ciario del suoimpegno e dei suoi sacrifi ci. Il cittadino dovrebbe, dunque, nutrire fi ducianel secondo pilastro del merito, le pari opportunità, ossia confi dando nelfatto che, se forse a lui non sarà consentito di realizzare i propri sogni, isuoi fi gli possibilmente partiranno al pari di altri che stanno molto più inalto nella scala sociale. La profonda fi ducia nel fatto che le pari opportunitàsiano davvero tali dovrebbe far sì che i cittadini delle società meritocratichetollerino la disuguaglianza poiché credono nella mobilità sociale.Anche questo meccanismo di fi ducia reciproca si è profondamente incep-pato con la crisi fi nanziaria; il supercapitalismo, il capitalismo nella sua de-clinazione fi nanziaria, ha di fatto espropriato la sostanza della democraziae per questo fanno oggi sorridere per la loro ingenuità e per essere ormaiscavalcati dal tempo reale, pamphlet come quello, oggi, fortunatissimo, diRoger Abravanel. Meritocrazia.Non appartengo alla schiera dei semplifi catori catastrofi sti. Hanno ragionesia Carlos Quijano quando sostiene che i peccati contro la speranza sono ipiù terribili perché sono gli unici che non hanno né perdono né redenzio-ne, sia Paolo Rossi Monti nel suo recentissimo Speranze, quando afferma,contro gli intellettuali alla moda, che non viviamo nella peggiore epocadel mondo, dato che la democrazia va estendendosi e molti stati stannoabolendo dal proprio sistema giudiziario la pena di morte. Non affermoinfatti che la democrazia debba essere sostituita da un altro sistema vagoe futuribile ma che debba essere rafforzata. E per il suo rafforzamento ènecessario metabolizzare fi no in fondo l’idea che la politica interpretatacome una teologia secolarizzata va tramontando in maniera defi nitiva; “E’soprattutto una metafi sica della volontà quella che si è eclissata alla fi ne delXX secolo – scrive ancora Pierre Rosanvallon, in Contre la démocratie.- E’ormai semplicemente impossibile continuare a pensare la democrazia se-condo le regole teologico-politiche che le erano intrinsecamente proprie”.Che cosa bisogna intendere con ciò. In primo luogo che la politica sacra-lizzata, caratteristica della modernità, con la sua concezione assolutisticadella sovranità, non è più accettabile al giorno d’oggi. Fede politica e federeligiosa si separano per sempre, nel senso che la prima cessa di ricalcarela seconda.L’entrata nell’era dell’ipermodernità implica l’abbandono di ogni speranzadi materializzaizone storica di un assoluto (la nazione, il popolo, la classe,ecc.). Il senso di vacuità di cui alcuni avvertono – rafforzato dall’impressioneche lo Stato ‘giri a vuoto’, che gli uomini politici si accontentino di se-guire gli sviluppi che non sono più in grado di gestire – non è null’altro cheil disorientamento per l’esaurirsi di quella forma di politica che funzionavada sostituto essenziale della fede. “Stiamo scoprendo la politica dell’uomosenza il cielo – né con il cielo, né al posto del cielo, né contro il cielo”,sottolinea Marcel Gauchet. Nell’epoca dell’iper-modernità, l’autorità nonviene né dal passato né dal futuro, l’ipermodernità è, dunque, l’avventodell’autonomia, ossia dell’indeterminato e per ciò stesso, la possibilità diun nuovo inizio. Noi non viviamo la fi ne della storia, come presume Fuku-yama, ma, al contrario, la fi ne della “storia concepita all’insegna della suafi ne”( Marcel Gauchet).La scomparsa di ciò che restava di ‘religioso’ nel politico comporta unatrasformazione radicale dei rapporti tra società e Stato. Entrate in crisi unadopo l’altra, le istituzioni che prima funzionavano come altrettanti crogiuo-li, hanno perduto la capacità di istituire un legame sociale. Da allora que-st’ultimo si ricostituisce al di fuori di esse. Contemporaneamente alla pa-ralisi dello Stato-nazione, si assiste ad una fi oritura di reti e di associazioniche aspirano a giocare un ruolo nella sfera pubblica.Non bisogna tuttavia ingannarsi , questo fenomeno non si lascia interpre-tare secondo lo schema liberale di una ‘società civile’ opposta alla sferapubblica. Non è il privato che s’impone a danno del pubblico, è piuttostoil sociale nel suo insieme che ritrova quella dimensione politica che avevaperduto. La politica, che fuoriesce dalla sfera statuale-istituzionale o perritrovare il suo posto all’interno della società globale, procede di nuovo dalsociale in tutta la sua complessità.Dinanzi a mutamenti di tale portata, il Partito Democratico dovrà esserequello di fornire risposte credibili per il rafforzamento della democrazia,una democrazia che dovrà tenere nel debito conto l’emergere della rico-struzione del legame sociale attraverso modalità del tutto nuove.Questo rafforzamento, dinanzi alla crisi evidente del modello di sviluppodel capitalismo fi nanziario e di un mercato privo di regole, dovrà proce-dere ripristinando l’idea forte di una democrazia come partecipazione chesi va sempre più imponendo nella ipermodernità. Una democrazia che sistruttura su una forma-partito radicalmente nuova, che dovrà isituzionaliz-zare il sistema delle primarie in tutte le sue possibili forme e declinazioni.Rafforzare la democrazia nella sua forma partecipativa signifi ca, dunque,creare una nuova comunità che diventa oltre che un’“esigenza ineludibile”,una “comunità associativa” (Gorz), una creazione collettiva, senza frontie-re. Secondo la defi nizione di Victor Turner”, c’è un particolare modo in cuile persone guardano, comprendono, agiscono l’uno nei confronti dell’altro,stabilendo un rapporto tra individui concreti , storici, particolari”, unrapporto che non dissolve l’individuo nell’collettivo ma permette piuttostoil riconoscimento da parte degli altri. Diventa l’opposto del mercato, nonnel senso che con il mercato è incompatibile, ma piuttosto che ne costitui-sce un “altrove”, “dominato da forme comunicative e da valori opposti– reciprocità, durata, gratuità – a cui si può accedere nel corso del processostorico.Una comunità che si proietta sullo scenario internazionale andando ben aldi là della fuorviante distinzione contrapposizione negoziazione/arbitrato(il dibattito tra Rawl e A. Sen), una comunità non semplicemente identi-taria ma caratterizzantesi per un modello contrattualistico polidecisiona-le. Perché la sfi da della globalizzazione sia pienamente raccolta, andandoin una direzione alternativa a quella del capitalismo fi nanziario, dovremopensare a nuove prospettive di civilizzazione che non possono prescinde-re dall’eredità della modernità occidentale e che, pur cogliendone limiti einadeguatezze, ne sviluppino le istanze di emancipazione, espansione dellelibertà e delle capacità adeguate alle emergenze del nostro tempo.di Elio Matassi
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