Questo discorso di
Piero Calamandrei in difesa della Scuola Pubblica ha quasi sessanta anni ma
sembra scritto oggi.
La differenza sta nel fatto che quella che Pietro Calamandrei poneva come
una ipotesi astratta è diventata oggi, purtroppo, realtà attraverso un "totalitarismo
subdolo, indiretto, torbido. come certe polmoniti torpide che vengono senza
febbre ma che sono pericolosissime".
La differenza sta nel fatto che il "partito dominante"
ipotizzato da Pietro Calamandrei oggi non vuole neanche "rispettare la
Costituzione" ma vuole anzi deliberatamente stravolgerla non
rispettando neppure le procedure che i Padri Costituenti avevano posto a guardia
della stessa per impedirne lo scempio e andando avanti a colpi di decreti legge
come il "lodo Alfano" con il quale si vuole assicurare
l'impunità alle quattro, ma soprattutto ad una, più alte cariche dello Stato.
Il tutto in mezzo all'indifferenza o meglio all'assuefazione dell'opinione
pubblica ormai soggiogata con l'antico metodo del "panem et circenses"
( ma tra poco resteranno soltanto i circenses) e al disfacimento di una
opposizione che, come dice una delle poche voci non omologate rimaste nel nostro
parlamento, oscilla ormai tra la "collaborazione e il collaborazionismo".
Se ne sono accorti
per fortuna i nostri giovani e la loro consapovolezza, così lontana
dall'ottundimento ormai imperante, ha dato vita ad una rivolta trasversale,
senza colori politici dato che di quella cosa sporca che è diventata la
politica in Italia tanti giovani si vogliono tenere lontani, che ha fatto
sentire l'esigenza ad una delle anime più nere della nostra Repubblica di
suggerire all'attuale ministro degli interni di adoperare gli stessi metodi
da lui adoperati negli anni 70.
Cioè "infiltrare il movimento di agenti provocatori" per
fari si che, con il loro aiuto "devastino i negozi, diano fuoco alle
macchine e mettano a ferro e fuoco le città" per potere cosi poi
avere il pretesto di "mandarli tutti in ospedale, picchiarli e
picchiare anche i docenti" , soprattutto "le maestre
ragazzine".
Verso i ragazzini quello che giustamente un tempo veniva chiamato "Kossiga"
deve avere un odio viscerale, basta ricordare quello che diceva un tempo di
Rosario Livatino, il "giudice ragazzino", morto per servire
lo Stato, non certo lo Stato rappresentato da Cossiga, e perchè lasciato solo
dallo Stato, questa volta si dallo Stato rappresentato da Cossiga.
Quello stesso Cossiga che chiamò a far parte della commissione ristretta
costituita per l'emergenza del sequestro Moro anche, sotto falso nome, Licio
Gelli. Come chiamare Goering a difendere gli ebrei.
A fronte di queste minacce, a fronte dell'incitamento a usare i manganelli
contro i nostri figli che lottano per il loro futuro sarebbe una colpa ben più
grave delle tante che già ci portiamo addosso per avere consegnato loro questo
paese quello di restare inerti, di approvare a parole la loro rivolta ma
delegare solo a loro questa lotta.
Lo abbiamo già fatto in troppe altre occasioni con dei magistrati, con dei
poliziotti, con dei giornalisti, con tante altre vittime del potere costretti,
anche per colpa nostra, a diventare degli eroi.
E' un dovere imprescindibile per noi scendere in prima linea e offire le
nostre fronti, i nostri corpi, a quei manganelli che vorrebbero colpire i nostri
giovani.
Siamo noi ad esserci meritato questo paese, non loro.
Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della
Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve
sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a
far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché
non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della
democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.
Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due
modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo
esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta
gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte
le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma
lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma
per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a
trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo
subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza
febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così
astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale
però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in
sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento
per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora,
che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato
in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di
essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre,
perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue
un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a
trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si
anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private.
Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano
ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia
persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono
migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi
dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a
mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A
"quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e
si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il
partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in
scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza
alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il
punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener
d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve
l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora.
Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e
il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi
insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che
gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il
punto. Dare alle scuole private denaro pubblico"
Tratto da
http://www.19luglio1992.com/
CHI ERA PIERO
CALAMANDREI
Da Wikipedia
Biografia [modifica]
Primi anni [modifica]
Dopo essersi laureato in Giurisprudenza all'Università di Pisa nel 1912 partecipò a vari concorsi e nel 1915 fu nominato professore di procedura civile all'Università di Messina. Successivamente (1918) fu chiamato all'Università di Modena per poi passare due anni dopo a quella di Siena ed infine, nel 1924, scelse di passare alla nuova facoltà giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.
Prese parte alla Prima guerra mondiale come ufficiale volontario combattente nel 218° reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello, ma preferì uscire subito dall'esercito per continuare la sua carriera accademica.
Lo studioso [modifica]
Della sua vasta produzione giuridica, è da ricordare soprattutto l'Introduzione allo studio delle misure cautelari del 1936, una trattazione all'avanguardia, che farà compiere un vero e proprio balzo in avanti alla scienza processuale italiana. Gli spunti di questo lavoro sono interamente confluiti nel libro quarto del codice di procedura civile del 1942, e segnatamente nel capo terzo (articoli da 670 a 702 del vecchio testo). La giurisprudenza e le novelle successive all'entrata in vigore del codice ricalcheranno fedelmente il percorso tracciato da Calamandrei.
Sotto il fascismo [modifica]
Politicamente schierato a sinistra, subito dopo la marcia
su Roma e la vittoria del fascismo
fece parte del consiglio direttivo dell'Unione
Nazionale fondata da Giovanni
Amendola. Partecipò, insieme con Dino
Vannucci, Ernesto
Rossi, Carlo
Rosselli e Nello
Rosselli alla direzione di "Italia
Libera", un gruppo clandestino di ispirazione azionista.
Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura mussoliniana, aderendo nel 1925
al Manifesto
degli intellettuali antifascisti di Benedetto
Croce. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochissimi professori e
avvocati che non ebbe né chiese la tessera del Partito
Nazionale Fascista [1]
continuando sempre a far parte del movimento antagonista, collaborando ad
esempio con la testata Non
Mollare. Nonostante ciò, nel 1931 giurò come professore universitario
fedeltà al regime fascista.
Contrario all'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale a fianco della Germania, nel 1941 aderí al movimento Giustizia e Libertà ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d'Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri. In questo periodo (1939-1945) tenne un diario, pubblicato nel 1982. Fu, insieme a Francesco Carnelutti, a Enrico Redenti, a Tito Carnacini e al magistrato Leopoldo Conforti, uno dei redattori del codice di procedura civile del 1942, in parte ancora in vigore, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. Basti dire che la relazione del Guardasigilli al Re, scritta in uno stile inconfondibilmente scorrevole e piano, è stata stesa dallo stesso Calamandrei. Partecipò anche ai lavori preparatori per il nuovo codice civile e per la legge sull'ordinamento giudiziario. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli venne chiesta dal Rettore del tempo.
Nominato Rettore dell'Università di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicché esercitò effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, fino all'ottobre 1947.
Ultimi anni [modifica]
Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale e dell'Assemblea Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione italiana. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sui Patti lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.
Quando il Partito d'Azione si sciolse, entrò a far parte del Partito Socialdemocratico Italiano, con cui fu eletto deputato nel 1948. Contrario alla «legge truffa» votata anche con l'appoggio del suo partito, fondò dapprima il movimento politico Autonomia Socialista, e nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di Unità popolare con il vecchio amico Ferruccio Parri, che, nonostante l'esiguo risultato ottenuto, fu decisivo affinché la Democrazia Cristiana e i partiti suoi alleati non raggiungessero la percentuale di voti richiesta dalla nuova legge per far scattare il premio di maggioranza.
Avvocato di fama, fu presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1946 alla morte. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Università di Firenze, fu direttore della Rivista di diritto processuale, de Il Foro toscano e del Commentario sistematico della Costituzione italiana. Non erano queste le sue prime esperienza giornalistiche: nell'aprile del 1945 aveva infatti fondato il settimanale politico-letterario Il Ponte. Memorabile il suo "Elogio dei giudici scritto da un avvocato" in cui condensa l'esperienza professionale e accademica di 40 anni di attività. Collaborò inoltre con la rivista Belfagor.
Il suo discorso al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950, in difesa della scuola pubblica, e in particolare la parte «Facciamo l'ipotesi», è stato spesso citato nel 2008 contro le politiche in materia d'istruzione del governo Berlusconi e del ministro Mariastella Gelmini, di cui è considerato prefiguratore, prima dal movimento di protesta e poi anche dai grandi mezzi di comunicazione.[2]
Il 26 gennaio 1955 tenne a Milano un famoso discorso presso la Società Umanitaria di Milano, rivolto ad alcuni studenti universitari e delle scuole medie superiori che avevano autonomamente organizzato un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana nonostante la contrarietà delle loro scuole e anche la contestazione fisica di altri studenti organizzati dalla destra (testo del discorso) sui principi della Costituzione Italiana e della Libertà. Nel febbraio del 1956, il pacifista Danilo Dolci organizza a Trappeto lo "sciopero alla rovescia" per opporsi pacificamente alla cronica mancanza di lavoro per i braccianti siciliani del tempo, organizzando la sistemazione di una strada comunale abbandonata all'incuria. Durante i lavori di sterramento ed assestamento la manifestazione viene repressa da una carica della polizia. Dolci viene arrestato e sarà Calamandrei che ne prenderà le difese in un seguitissimo processo. In accordo con Dolci, Calamandrei incanalò il processo in un dibattito sul quarto articolo della Costituzione. Nella sua arringa dichiarò: "Aiutateci, signori giudici, colla vostra sentenza, aiutate i morti che si sono sacrificati e aiutate i vivi a difendere questa Costituzione, che vuole dare a tutti i cittadini del nostro Paese pari giustizia e pari dignità".
"Lo avrai, camerata Kesselring..." [modifica]
Albert Kesselring, che durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante delle forze armate germaniche in Italia, a fine conflitto (1947) fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre). Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue presunte gravi condizioni di salute. Tale gravità fu smentita dal fatto che Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Baviera.
Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito di ciò che aveva fatto durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in Italia ed anzi dichiarò che gli italiani, per il bene che secondo lui aveva loro fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento. In risposta a queste affermazioni Piero Calamandrei scrisse la celebre epigrafe, dedicata a Duccio Galimberti, "Lo avrai, camerata Kesselring...", il cui testo venne posto sotto una lapide ad ignominia di Kesselring stesso, deposta dal comune di Cuneo, e poi affissa anche a Montepulciano, in località Sant'Agnese, e a Sant'Anna di Stazzema.
Lapide ad ignominia
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA