Ci sono molti luoghi comuni sui cagliaritani: parlano a voce alta (quando guidano e soprattutto quando mangiano), buttano le cartacce per terra, sono tendenzialmente parassiti e pieni di pregiudizi, vogliono sempre fare i furbi, sono sguaiati, volgari, esibizionisti.
Immaginatele queste belle caratteristiche, incarnate in un unico personaggio, con le fattezze e la grazia di certi venditori abusivi di frutta che ruotano attorno ai mercati cittadini. Dategli ora il nome del Santo protettore dell’isola e protagonista dell’omonima sfilata a lui dedicata il primo maggio; mettetelo alla guida di un’“apixedda” (Ape Piaggio, per in non esperti nell’iconografia cagliaritana) scassata e tenuta su a fil di ferro, con una famiglia che farebbe tremare il più navigato tra gli assistenti sociali e soprattutto fatelo esprimere con quell’incredibile miscuglio di suoni che è la parlata “a sa casteddaia”. Non si tratta di un caso clinico, ma del protagonista di un fumetto, “Fisietto & C.”, sottotitolo “La saga dei Pistis”, diventato un vero successo editoriale a Cagliari e dintorni (una mini-storia è apparsa anche nel primo numero della nuova rivista “Volo”). I primi tre numeri, usciti in sordina e senza grande pubblicità, sono già oggetto di culto.
Cagliari “antica e nobile città, ricca di storia e di cultura” (così comincia ogni numero), fa da sfondo alle vicende della famiglia Pistis: sedici persone più un cane, (il bruttissimo Zurrundeddu, che pensa e soprattutto “agisce” in sardo), e tutta una serie di strampalati personaggi secondari, tra cui spicca Don Genesio, parroco arraffone, chiamato anche Don Buddone (Don Grassone, in cagliaritano).
Fisietto ha quarantacinque anni e sei figli, che mantiene, dimostrando di aver perfettamente inteso le nuove regole sulla flessibilità, con svariate attività imprenditoriali (venditore abusivo di frutta, raccoglitore di cartone…), coadiuvato in ciò da suo cognato e compare Sesetto, detto Stalin per la sua fisionomia e le sue idee, e soprattutto da Ciccitto, “su professori”, zio settantenne esperto in espedienti truffaldini e in legge, per averci spesso avuto a che fare.
In realtà la famiglia vive praticamente alle spalle della pensione della nonna ultranovantenne, Saturnina, che alternando momenti di lucidità ad altri di demenza, passa la giornata di fronte alla televisione, vivendo nella memoria del marito Fisinu e aspettando il ritorno del figlio Boicheddu, disperso in Russia.
Unico possedimento immobiliare del clan dei Pistis è il “terreno”, acquistato per usucapione negli anni trenta, viene ora conteso a suon di miliardi perché interessa una zona di grande espansione edilizia. Dichiarato incedibile dalla nonna, per rispetto al marito bon’anima, in esso trovano posto, tra le altre cose, l’abitazione dei Pistis (rigorosamente abusiva), orto e animali da cortile, officina e garage per eventuale riciclaggio di refurtiva.
Cosa può fare gente così, in cosa consistono le loro avventure? Semplicemente, sopravvivono (in maniera divertentissima, bisogna dire) e non lo fanno in maniera politicamente corretta, ma applicando le regole che hanno permesso ai loro padri di uscire indenni dalle bombe, dalla fame e dalla miseria.
È un’umanità chiassosa, egoista, eccessiva, unta, decisamente fuori posto.
Fuori posto come la casa dei Pistis, in mezzo ai nuovi palazzi della borghesia cagliaritana, fuori posto come l’apixedda di Fisietto, con il suo “cascione” traballante, parcheggiata tra le auto nuove, nelle vie del centro.
La saga dei fuori posto, la rivincita dei fuori posto.