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Riscopriamo la politica
 
“Sandro, Sandro, non cambiare”, così una giovane Emma Bonino gridava al neoeletto presidente della Repubblica Sandro Pertini il 9 luglio 1978, che ricambiò l’incoraggiamento della giovane radicale con una carezza sulla guancia. A cambiare è stata invece la piccola Emma, in peggio, trasformatasi nella petulante portavoce del partito dei referendum cosiddetti “innovatori” del 21 maggio, che gli italiani hanno giustamente snobbato; probabilmente Pertini, vecchio socialista difensore dei lavoratori, dinanzi alla proposta radicale di abolire l’articolo n° 18 dello Statuto dei Lavoratori, non avrebbe risparmiato alla pasionaria pannelliana un severo rimprovero. Spero che la bocciatura dei referendum porti alla fine della stagione della politica intesa come tecnica, di chi ha fatto credere che uno strumento come la legge elettorale potesse diventare argomento di discussione politica di primo piano. Conosciamo forse qualche paese europeo in cui accadono cose di questo genere? È arrivato il momento di dire basta a chi si è fatto fautore dell’iper-governativismo, di chi ha annacquato la propria cultura politica subordinandola alle esigenze della governabilità. Parte della classe politica sarda si è fatta contagiare anch’essa da questo virus dei referendum, presentando la data del 21 maggio come la panacea di tutti i mali della nostra isola. Spero che molti di essi abbiano cambiato idea, e possano fornire il loro contributo perché la vita civile in Sardegna possa essere di nuovo ispirata da progetti seri e programmi concreti. La politica, infatti, deve recuperare la sua funzione pedagogica e partecipativa, riscoprendo la sua dimensione formativa. Ho avuto il piacere di partecipare ad un corso di formazione civica ideato dalla “Fondazione Luca Raggio” dal tema “La Sardegna tra ’900 e 2000”, iniziato nel dicembre ’99 e conclusosi il maggio di quest’anno. Il corso si è articolato in undici lezioni, nelle quali professori universitari che hanno insegnato o insegnano in università isolane, hanno analizzato gli aspetti storici, economici, giuridici delle vicende isolane nell’arco del secolo appena conclusosi, insieme a molti spunti di riflessione per il futuro. I lavori hanno visto l’ampia partecipazione di giovani studenti medi e universitari, oltre alle numerose persone spinte dal desiderio di conoscere e confrontarsi, grazie al dibattito che si apriva al termine delle lezioni, su temi tanto sentiti. Ho potuto sentire approfondimenti, riflessioni profonde che hanno posto in me e in chi assisteva al corso interrogativi e spunti per riflettere; ho capito meglio quali siano le radici delle carenze ma anche delle ricchezze delle possibilità della nostra isola, sia a livello economico che culturale. Ho riscoperto la dimensione del confronto, del poter partecipare insieme ad altre persone ad un discussione aperta e franca. Sono queste le cose che i partiti devono riprendere, specie a sinistra, sia per una questione di stile, sia perché la politica non può ridursi a mero gioco di potere in cui possono partecipare solo gli eletti, che si limitano a gestire (e male) l’esistente. Cambiare la classe dirigente perché tutto rimanga com’è sarebbe un giochetto illusorio e pericoloso. La disaffezione che i cittadini dimostrano nei confronti delle istituzioni è talmente elevata che il rischio di implosione sarebbe inevitabile. Forse basterebbe che qualche dirigente mettesse da parte la propria arroganza e portasse il proprio partito ad una reale discussione democratica, garantendo la piena partecipazione degli iscritti, evitando di violare statuti e regole a proprio piacimento. Del resto il referendum per il rafforzamento dell’uninominale non chiedeva forse un’ulteriore semplificazione del momento più importante di una democrazia, quello elettorale?. Una semplificazione che ci avrebbe fatto tornare indietro ai primi del ’900, quando la politica la potevano fare solo i ricchi, chi possedeva vaste clientele, emarginando le grandi masse. Ora può aprirsi una nuova stagione, specie se qualcuno si sveglierà dal torpore che lo ha avvolto, assumendo atteggiamenti non arroganti, riscoprendo una virtù che molti hanno dimenticato: l’umiltà. Spesso, per non far crollare miseramente una costruzione che deve essere demolita perché sulla via dell’implosione, basta non abbassare una leva.
NUMERO /3
Anno 2000, n. 3
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