Alcuni giorni fa si è concluso a Roma, presso l’ITIS “G: Galilei”, il secondo Forum Nazionale delle scuole dell’autonomia, organizzato da alcune associazioni professionali e con la collaborazione della Regione Lazio, dal titolo, appunto, Prove generali di autonomia.
I due giorni di studio, alla presenza del ministro della PI Tullio De Mauro e dei più qualificati specialisti del settore, sono serviti a fare il punto sullo stato della scuola italiana, in attesa della prima che si terrà, verosimilmente, a settembre di quest’anno.
Il Dossier “Il piano dell’Offerta Formativa nella scuola italiana”, contenente l’elaborazione di 948 questionari su 1400 spediti dalle scuole, fotografa le difficoltà, in questa delicata fase di passaggio, che hanno avuto e hanno le istituzioni scolastiche nel mettere la prua verso le innovazioni previste dalla normativa sull’autonomia scolastica. Complessivamente il quadro emerso non è dei più confortanti, per quanto, come ha affermato un relatore, in questo momento, l’importante è avere la certezza nella gestione dell’incertezza.. “Il nuovo per non fare paura deve essere conosciuto e considerato come vecchio” diceva Machiavelli. E di nuovo ce n’è proprio tanto sul fuoco. Da noi ci son voluti dieci anni, sotto la spinta incalzante delle determinazioni governative, ad attuare un processo di razionalizzazione della rete scolastica, che è consistito solo ed esclusivamente in un mero taglio di servizi, trascurando del tutto gli aspetti di natura qualitativa. L’Autonomia sembra, a detta di molti, non di tutti, lo strumento sine qua non perché passi il nuovo. Intanto, su tale termine, in favore o contro, l’editoria sta costruendo le sue fortune… Al di là delle connotazioni e delle sfumature e anche delle possibili strumentalizzazioni, ciò che conta, per noi Sardi, in questo particolare momento, è non perdere un’occasione storica per dare risposte, a lungo disattese, sul versante dei risultati della Scuola. Non si può permanere in questa situazione di stallo, in cui gli esiti formativi, da terzo mondo, sembra non interessino nessuno. Una sorta di zona franca. Se è difficile capire come la stessa scuola non si sia fatta carico della qualità dei processi formativi erogati e dei risultati ottenuti, resta sconcertante il fatto che i soggetti esterni non ne abbiano chiesto mai conto.
Perché lamentarci, quindi, dell’irreversibilità dei fenomeni quali la scarsa qualità dei servizi primari, la modesta permeabilità dell’innovazione del corpo produttivo e la debole tenuta etica delle politiche. E allora Autonomia come presa di coscienza politica: i tassi di abbandono e di bocciature ci vedono da sempre ai primi posti in campo nazionale e non solo. E da qui l’appello al Consiglio regionale, che per anni non ha mai assunto un ruolo di regia nelle politiche formative, rincorrendo e appiattendosi sulle posizioni del governo centrale, perché diventi autentico protagonista. Non commetta l’errore di considerare esaurita la sua azione col predisporre annualmente il piano di dimensionamento delle istituzioni scolastiche. Pesa non poco quella sedia lasciata permanentemente vuota, da chi allora aveva responsabilità nell’istruzione regionale. Ci si aspetta di più. Deve uscire da un’idea vecchia di territorio e darsi nuovi indicatori per ridefinire il concetto di territorialità. Un solo esempio: la maggior parte delle scuole secondarie di secondo grado della Provincia di Nuoro sono state istituite negli anni sessanta e settanta. Il criterio adottato, tutti d’accordo: una qualsiasi, purché fosse. E allora oggi si pone l’esigenza di una rigeografizzazione delle istituzioni scolastiche, in modo da rivedere gli indirizzi e i luoghi fisici, su criteri di scientificità, intesi come opportunità di sviluppo reale per il territorio, rifuggendo dalle logiche di interessi politici tout court. Inoltre deve crearsi spazi legislativi in modo che ponga in essere la possibilità di decidere, di contare e di comunicare per darsi una programmazione integrata regionale, in un momento in cui stiamo assistendo allo strapotere dei mercati finanziari, che regalano il presente, negando il passato e il futuro dell’individuo. Cosa dire poi per la formazione professionale!
È auspicabile che, quanto prima, tutto il sistema sia rivisto. Si tratta di un impegno consistente di risorse, che non hanno mai avuto seri momenti di verifica sia nelle finalizzazioni al mercato del lavoro che nelle effettive ricadute sul territorio in termini di professionalità acquisite.
Mi rivolgo inoltre alle Comunità locali. E allora Autonomia come processo di osmosi tra Ente locale e territorio. Qui necessitano le nuove sensibilità. Durante il processo di razionalizzazione la chiusura delle istituzioni scolastiche è stata vissuta dagli amministratori locali più come disagio politico per le proteste dei genitori che come presa di coscienza di un sistema formativo che aveva estrema necessità di una qualche messa a punto, sul versante degli esiti che hanno operato e operano di fatto una doppia discriminazione sia in termini di selezione che di disuguaglianze di classe. Pertanto la regione e gli enti locali devono sviluppare responsabilità di programmazione dell’offerta e di integrazione tra il sistema scolastico, quello formativo e quello socio economico territoriale. Alle autonomie funzionali delle scuole spettano le reali responsabilità gestionali dell’offerta formativa e dei servizi scolastici strettamente legate alle caratteristiche delle comunità locali in cui opera la scuola, che diviene un’insostituibile risorsa locale, un soggetto attivo insieme ad altri soggetti, con una propria funzione e che dai bisogni e dai saperi della comunità trae linfa vitale per evolversi. Infine un punto particolarmente delicato: la risorsa docente. Da tutti viene condivisa l’opinione che buona parte del successo delle riforme passa anche attraverso il coraggio di riconoscere la modesta efficacia di molte metodologie di formazione ed aggiornamento fino ad oggi utilizzate. E allora Autonomia come successo scolastico. E qui i docenti giocano un ruolo decisivo. Non si è all’anno zero. Però bisogna uscire quanto prima da consuetudini, radicate, quali la delega e la ratifica. Oggi è necessario il contributo di tutti. Bisogna evitare l’errore di attardarsi in facili, ma interminabili, discussioni sulle difficoltà che implica il cambiamento: esso può avvenire solo ed esclusivamente cercandolo.
Infine bisogna scommettere su una nuova dimensione professionale dell’insegnante: imparare a riflettere sul proprio lavoro. Per cui le esperienze non solo bisogna farle ma si deve imparare a raccontarle. Ed ecco il nodo: la storicizzazione del fare didattico come momento significativo per la nuova e affascinante avventura….. Settembre 2001 prima della scuola riformata.