Nonostante tutte le nostre dichiarate libertà, siamo una società dipendente. Intendendo società come corpus di relazioni in cui perfino l’isolamento e la solitudine sono categorie di appartenenza: a questo o a quel contesto. Prendiamo Nuoro per esempio. Siamo a ridosso di elezioni. Le poste in gioco sono il Comune e la Provincia. Due luoghi che come gente comune si attraversano, quando si attraversano, per dovere e necessità e che come candidati diventano invece oggetto di desiderio. Allora entrano in gioco la libertà e l’appartenenza. Il gioco elettorale, chiamiamolo ancora così, diventa l’elemento rivelatore di quanto siamo poco liberi e molto legati. Dico siamo immedesimandomi. In realtà bisognerebbe starne lontani. Solo che oggi la lontananza, se si è consapevoli di una cittadinanza, è anch’essa un desiderio. La questione riguarda appunto la cittadinanza come comune sentire. Una volta stabilito che si è nuoresi, a chi è che si appartiene? All’idea o al partito che la rappresenta? Al ricco o al povero? Ancora: è possibile stare in mezzo? Tutte queste domande nascono dalla visione che Nuoro, la gente di Nuoro, oggi, dà di sé. A primo acchito, anche il più sprovveduto degli osservatori si accorge di quale e quanta profonda scollatura esista tra i programmi, o linee guida di possibile buongoverno che dir si voglia, e gli uomini e le donne che si propongono per la loro attuazione. Ci si chiede: come è possibile che Dormiens, i nomi sono pura invenzione, appartenga al partito del risveglio o che il mestatore diventi invece condizione indispensabile per stabilire un’alleanza? La risposta è tutta un rischio, un affidamento a qualche forza esterna affinché, in una possibilità di trasformazioni, Dormiens rappresenti davvero il risveglio di tutta una città e il mestatore non persegua affatto il proprio opportunismo. Tra domanda e possibile risposta quel che l’occhio vede e i sensi registrano è però il reale degli individui e della città. Il reale, detto senza mezze misure, è il degrado. Nel degrado, a rafforzare il concetto di dipendenza, noi, gente di Nuoro, siamo il luogo del residuo. Si ripetono cioè dentro i nostri confini riti e miti, gioco elettorale compreso, impostati altrove. Non si spiega altrimenti il fatto, abolite le linee di frontiera tra destra e sinistra, di come il centro e l’equilibrio nascano e si disfino nel segno della mutazione. Una mutazione che non è crescita. Concretamente: nella scollatura tra domanda e risposta, nel degrado e nel residuo, quanto noi vediamo sono un perenne cantiere al centro e una periferia senza strade né servizi. Senza luce. Noi che attraversiamo la città tutti i giorni e che troviamo da paragonare il cantiere nuorese a quell’altra eterna incompiuta che è la “Carlo Felice”: una fabbrica di croci. Noi non siamo a tanto ma certo il paragone regge se constatiamo che Dormiens e il mestatore basano e costruiscono la loro visibilità elettorale non su un programma possibile, fattibile, ma sull’ombra. Elettoralmente si ragiona, quando si ragiona, per schemi. Neppure per categorie. Polo di sviluppo, astraendo dal frasario, è un contenitore dove costipare molto e tutto, Seuna e Pratosardo, la strettoia e lo slargo, il rosso e il nero. Seguendo lo schema fisso, ciascuno dei proponenti, sia che appartenga al partito di Dormiens oppure a quello del mestatore, segue un percorso obbligato in cui i punti da toccare, propagandisticamente, sono a, b, e c. Poi basta. Il d non è contemplato. Capita così di leggere che a proposito di lavoro culturale, reale e possibile, utopia e sbocco occupazionale, di tutto parli il programma tranne che di reali, concreti, poli di attrazione culturali. Quanto non è nel bagaglio di saperi e nel lessico degli aspiranti amministratori, oggi a Nuoro, è proprio la cultura dell’appartenenza, che è un conoscere, anche il proprio male, e l’idea utopica di trasformare se stessi e la città spendendosi, sapendosi spendere. La trasformazione di Nuoro potrà avvenire, dice bene Francesco Mariani, solo quando l’individualismo esasperato che marca l’intera città si accorgerà dell’esistenza, vera presenza, dell’altro. Una cosa impossibile questa trasformazione se è vero che l’individualismo gioca solo per il rafforzamento dell’ombra e non per la sua dissoluzione. Per questo Nuoro è nel gioco elettorale che non fa altro che riproporre l’incompiutezza e il residuo. Cosa si può pretendere dai partiti di Dormiens e del mestatore che rafforzano il loro interesse, il loro quanto mai vano credito, sul fatto che è possibile entrare in politica solo a un patto: che ci si rappresenti come parvenus, come poveri arricchiti? Tutti gli altri, i Bertoldo, sono stati eliminati. Chi sono tutti gli altri? Chi è Bertoldo?
Anche lui individualista, ostinato contadino, massaiu, Bertoldo però fu capace di restare legato alla terra, di praticare un tempo della semina e un tempo del raccolto, di elaborare, pur lentissimamente, una propria visione del mondo. Capace Bertoldo, nella sua contadinità, di contrastare il dominio.
La Nuoro di oggi, che pure fu contadina e pastorale, che pure elaborò il contrasto, a volte feroce, tra queste due anime, è passata armi e bagagli al tempo della fretta. Una fretta che non riesce a elaborare in quanto non le appartiene come tradizione. Per questo, subendo la velocità del fuori senza crearsi antidoti, diventa il luogo del residuo. Lo è stato anche nell’apprendimento di una coscienza di classe, quella operaia, che ha sedimentato più sul rafforzamento dell’individualismo che non sulla reale istituzione della solidarietà e dello scambio. Il gioco elettorale, preso nel vortice della fretta, spesso mera improvvisazione, non fa altro che riproporre questi falsi scambi. Dormiens dal colore rosso passa al nero e il mestatore che pure fu nero, difende adesso il rosso. La dialettica tra le parti cede il posto alla confusione, l’identità si fa numero.
Pur non avendo tradizioni mercantili alle spalle, Bertoldo fu capace di elaborare un suo tempo del mercante, di valorizzare le poche merci che la contadinità riusciva a produrre. Il mercante Bertoldo dialogò con diverse chiese. Oggi Nuoro non ha Chiesa. È fuori dal mercato. È un luogo che non interessa il mercato se non appunto come riproposizione dell’accantonamento. È vero: qui siamo tutti poveri. Cominceremo a ragionare, seriamente, di politica e di programmi, quando anche i parvenus si renderanno conto di questa povertà.