Zia Maria Molinzanu abitava a “Nuoro Nuovo” e, fintanto che la vista non le venne a mancare, ricuciva gonne e pantaloni con una vecchia macchina “Singer” che oggi farebbe bella mostra di sé nei mercatini dell’antiquariato.
Spesso però, per poter campare, svolgeva il suo lavoro “a ore”, come domestica, o come colf, si direbbe oggi, con un vocabolo preso in prestito dagli ambienti di Buking-Palace. Così, da bambino conobbi zia Maria: anziana, il volto segnato dalle rughe, di bassa statura, claudicante, con due grandi occhiali che le ingrandivano gli occhi, vestiva, ovviamente, in fardetta. Un giorno, mentre stirava nella “cucina grande”, mi accorsi che si portava la mano sinistra sul fianco, con una smorfia di dolore. Impressionato mi avvicinai e notai, sotto la maglietta nera, stretta nella vita con un lucchetto, una lucente catena. “...Che cos’è zia Marì?” chiesi ancor più colpito e incuriosito. “... un voto, un voto...” rispose lei, sforzando le parole e mettendosi a sedere su una vicina seggiola impagliata.
Un voto?! Non riuscivo a capire. Ma chi teneva incatenata zia Maria? Un voto... mi chiedevo, e...che cosa c’entra? - Tanti pensieri mi balenarono per la testa, senza capire niente. A tavola, a scuola, tra gli adulti sentivo parlare, in modo agitato, di voto e votazioni, manifestazioni, scontri, legge truffa... Mio padre, tra l’ironico e il serioso, mi spiegava che i fascisti, che lo avevano picchiato, ora erano democristiani, che mangiavano ogni giorno l’arrosto, e che la “Cassa del Mezzogiorno” si chiamava così perché a mezzogiorno si mangia, e altre cose del genere... Dai comizi di Renzo Laconi, in piazza San Giovanni, zia Raffaella, felice come una pasqua, scendeva in un corteo di bandiere rosse verso il Corso e, rivolta a mio padre, affacciato alla finestra, lo salutava a pugno chiuso: “... Don Antò, spezziamo le catene!...”. Queste situazioni, che mi coinvolgevano ogni giorno, contribuivano ancor di più ad aumentare la mia confusione, e, allibito alla vista di zia Maria con la catena, chiesi di nuovo: “Zia Marì...un voto...la catena...perché?”. - “...Hoi! un voto! “ rispose quasi scocciata di svelare un segreto personale “...una promissa a Sa Madonna!. “E mi spiegò che si sarebbe tolta la catena, quell’estate, una volta arrivata in pellegrinaggio a Lourdes e “...deppo annare a Lourdè e, bistu chi bi soe, faco una capatina in Pompei!”. “...A Pompei zia Marì?! ma Pompei è vicino a Napoli, in Italia, lo abbiamo studiato con il nostro maestro a scuola! È lontano da Lourdes...”, le feci osservare. “... Hoi...” rispose con aria di sufficienza di chi sapeva bene cosa stava dicendo “...zittades sunu, in continente, zittades mannas, ma semper in continente...”
Molto più tardi, col tempo, ho capito che cosa era “il continente” per zia Maria: un mondo “altro”, indefinibile, ma allo stesso tempo semplificato nella sua dimensione.
Oltre il mare vi era infatti “il continente”, con le sue città, come un’unica entità geografica che potevi concretamente toccare e, nell’inconscio immaginario, quasi dominare, perché le città erano lì, vicine l’una all’altra, “in continente” PER L’APPUNTO.
Erano due diverse concezioni culturali e storiche che s’incontravano, ma era la visione, fiera ed austera, derivata dall’insularità baricentrica del sardo, e del nuorese in particolare, che controllava e inglobava, nello spazio e nel tempo, la seconda.
Oggi non c’è più zia Maria Molinzanu, e come lei è scomparsa anche quell’altra Nuoro.