In questi anni la città e il territorio sono stati sempre più piegati alle logiche del profitto, della rendita e della speculazione fondiaria. Questo è il segno inequivocabile dei processi di trasformazione di almeno un ventennio in cui hanno prevalso filosofie in aperto contrasto con gli interessi generali della comunità cittadina. Una modernizzazione segnata da uno sviluppo meramente economicista e da un modello economico e antropico-altro (inteso non tanto come sistema di produzione di merci, ma di culture, stili e comportamenti di vita d’inappartenenza) ha impedito la definizione di un qualsiasi orizzonte di senso nell’attività amministrativa di un gruppo dirigente di scarsa qualità, senza identità, senza idee e senza progetto.
La città e il territorio non sono più da tempo un bene prezioso e visibile con una propria storia, vocazione economica, connotazione antropologica e linguistica identificabile nel reticolo comunicazionale planetario, che rende diversi e unici nel mercato del turismo nazionale e internazionale. Basta osservare la storia e la configurazione architettonica e urbanistica di quest’ultimo quarto di secolo, per rendersi conto quale consapevolezza di se stessi e della propria cultura abbia mosso le linee guida di un improbabile governo del territorio. Una città, la nostra Nuoro, senza identità. Una città oramai sorretta dal terziario povero senza prospettive e senza futuro. Eppure i nuovi orientamenti impressi dalla new economy, nell’era della mondializzazione e dell’interdipendenza, ci dicono sempre di più che senza la valorizzazione del locale non esiste il globale. La debole articolazione strutturale dell’identità ha dunque conseguenze negative e dirette, oltre che sul piano più immediatamente sociale, anche su quello più specificamente economico. In particolare tale debolezza favorisce la rapida instaurazione, e la altrettanto rapida e frastornante sostituzione, di quei modelli merceologici e di consumo che le società economico-produttivistiche più potenti veicolano attraverso gli aggressivi messaggi del marketing e sull’evanescenza dell’informazione in tempo reale. Con la conseguenza di mettere rapidamente fuori mercato determinati settori produttivi locali e di innescare processi di rapida obsolescenza di certo know-how tecnologico ed imprenditoriale. Per reggere la sfida internazionale e contrastare la tendenza alla trasformazione in semplice area-mercato (non solo di beni materiali ma anche di intelligenza e di idee) è pertanto indispensabile anche rendere la propria identità competitiva all’interno e verso l’esterno, quantomeno in virtù di una propria specializzazione. Questo riguarda soprattutto i centri, come quelli sardi, più piccoli e meno popolosi. Quanto i nuoresi sono stati capaci di essere produttori oltre che fruitori di un modello di sviluppo culturale ed economico proprio? La città e il territorio oggi più che mai sono diventati “merce” da far rendere nel maggior modo possibile. Tutto ciò è stato favorito da un processo di deregulation che ha portato la Sardegna ad essere, ad esempio, un fra le poche regioni d’Italia a non avere ancora un piano paesistico. Questo falso modello di sviluppo ha favorito una crescente invivibilità dell’area urbana. Consegna città in cui spazi e tempi di vita sono sempre più segnati da percorsi immutabili. Qui si innesta una dimensione sociale delle contraddizioni. Un centro di appena 40.000 abitanti che nel suo piccolo vive paradossalmente i problemi della grande città (cementificazione, mobilità e traffico, riqualificazione delle aree periferiche, carenza di infrastrutture, scarsa qualità della vita). La città perde dunque sempre di più i caratteri della polis, luogo di identificazione collettiva e spazio aggregante nel territorio. Si è in presenza di una crisi della stessa nozione di cittadinanza. Nel momento in cui il centro urbano non è più usufruibile in termini di umanizzazione di spazi, tempi, relazioni si è sempre meno cittadini e sempre più abitanti. La stessa idea di cittadinanza contiene in sé, oltre alla titolarità ed esercizio dei diritti, il senso di appartenenza ad una comunità. Proprio questo si perde. Prevalgono l’anonimia, le forme più esasperate di individualismo, si smarrisce l’orizzonte quotidiano di territorio sociale, antropologicamente connotato, si sfilaccia quel tessuto connettivo di valori condivisi che è stato il vero collante sociale per più di un secolo della comunità barbaricina. Soprattutto nelle periferie è evidente questo processo disgregante. A tutto ciò hanno contribuito in modo decisivo le politiche e le scelte degli ultimi anni. Lo smantellamento delle politiche sociali, culturali ed urbanistiche ha aggravato una crisi forse già in atto da qualche decennio. C’è un filo che unisce queste diverse dimensioni dei processi in atto? Io credo di sì. Sta in una progressiva espropriazione della possibilità per ognuno di noi di poter concorrere alla elaborazione ed alla realizzazione della identità del presente e del futuro della città. Si pone oggi per tutti i nuoresi la grande questione democratica aperta nel territorio.