La manualistica è un genere molto diffuso negli Stati Uniti. Sedicenti esperti, in ogni campo dello scibile umano, sintetizzano in semplici regolette come cucinare l’arrosto, come far innamorare il capoufficio, come crescere i figli, come restaurare mobili… e naturalmente come vincere le elezioni.
Le regole del candidato d’oro se ne fregano delle differenze dei sistemi elettorali, travalicano i confini geografici e ideologici, vanno bene sia per le elezioni del sindaco di New York che più modestamente per le elezioni provinciali sarde.
In Italia non abbiamo mai avuto grande passione per questo tipo di letteratura ma in periodo elettorale, forse legittimati dalle mentine del cavaliere (niente è più deleterio di un cattivo alito, per compromettere i risultati elettorali, così ha recentemente dichiarato), sempre più opinionisti e politici, dai giornali e dalle trasmissioni televisive, ci inondano con un mare di decaloghi (forse ad imitazione del più celebre esempio divino); dieci ricette infallibili per catturare i gonzi elettori (che saremmo noi), che pare impazziscono per un sorriso sbiancato, una gestualità ammiccante e una voce flautata.
Non bisogna stupirsi di nulla in un mondo in cui i politici non hanno più i grandi pensatori come punto di riferimento, ma curatori d’immagine e P.R (nel senso di pubbliche relazioni).
Infatti non mi sono stupita affatto quando ho letto, sull’Unione Sarda del 26 marzo, che la Commissione per le pari opportunità aveva organizzato un corso, rivolto alle candidate, per imparare a vincere le elezioni.
Professori (!): Mauro Pili e Mariella Pilo (Forza Italia), Tore Sanna (DS) e Tiziana Meloni (Verdi).
A fianco dell’articolo, eccolo. Punto per punto, il decalogo per vincere le elezioni di Mario Pili.
UMILTÀ: avrei tanto voluto esserci per vedere l’uomo delle 152000 preferenze (lo chiamano sempre così, chissà se l’avrà scritto anche sul campanello di casa) e discepolo dell’Unto dal Signore dire che “un candidato presuntuoso non farà molta strada, è meglio che stia a casa”.
CREDIBILITÀ e CONCRETEZZA DEGLI OBIETTIVI: ovvero come magnificare la new economy e il libero mercato e poi cantare l’Internazionale.
COMUNICAZIONE EFFICACE, GESTUALITÀ e COINVOLGERE LA PLATEA: “il tono di voce incide per il 38%, il linguaggio non verbale per il 35%, le parole solo per il 7%”.
D’altronde, se la qualità dei contenuti del candidato medio rasenta il livello del suolo, il minimo che uno debba pretendere è che, per lo meno, abbia una pettinatura decente.
ORIGINALITÀ: sinonimo di fantasia, non quella al potere di sessantottina memoria, ma “uso di idonei supporti comunicativi”, come la musica o i filmati.
SINTONIA CON L’UDITORIO e CREARE EMOZIONI: se prima si studiava alle Frattocchie, ora si dovrà frequentare l’Actor’s Studio. Ci abbiamo perso in credibilità ma vuoi mettere l’interpretazione?
PARLARE ALLE TELECAMERE COME A UN AMICO: e qui si arriva al sublime, alla padronanza del mezzo, mai fissare la telecamera con sguardo terrorizzato o peggio imbambolato.
È l’apoteosi del new political style.
Io non so quanti candidati seguiranno queste regole, ma penso potrebbero essere utili anche a noi elettori. Di fronte alle tribune elettorali, agli innumerevoli spot che tra poco inonderanno i nostri schermi, teniamo sempre vicino il decalogo.
Si potrebbe anche stabilire un punteggio: 3 su 10 scartato, 7 su 10 votabile, 10 su 10 uomo della Provvidenza. A me è servito per tracciare l’identikit del mio candidato perfetto: totalmente impacciato con i mezzi di comunicazione vecchi e nuovi, con le mani sudate e la stretta di mano incerta. Uno che dica chiaramente: non farò nulla per giovani, pensionati, bambini e cani, nemmeno un giardinetto pubblico. Ma la democrazia esige che scegliate un rappresentante: allora perché non me?
Non mi importa più delle idee, non si può avere tutto, bisogna imparare a fare a meno del superfluo. Un candidato così non avrebbe alcuna speranza, lo so. Ma se per caso esistesse uno, o una, che risponda alla descrizione, per favore mi contatti. Avrà il mio voto.
