Siamo pronti ad iniziare il nostro lungo viaggio attraverso le elezioni. Dopo esserci assicurati della presenza nelle nostre tasche di un grosso pacchetto di mentine per mantenere sempre l’alito fresco, di un piccolo fazzoletto per asciugare eventuali e fastidiosi sudori, aver riposto con cura il taccuino-bignami impreziosito da frasi appropriate in grado da toglierci da qualsiasi situazione di imbarazzo, dopo aver passato intere nottate a visionare la nostra videocassetta coi migliori comizi dal ’94 in poi, riteniamo di non aver dimenticato nulla. Ma mentre passiamo rapidi davanti alla nostra personale biblioteca, ci attira un piccolo volumetto, È “Il Piccolo Manuale per una Campagna Elettorale” scritto da Quinto Cicerone, il fratello del più famoso Marco Tullio. Siccome non abbiamo fretta e al 16 Aprile mancano ancora alcuni giorni, decidiamo di sprofondare in una comoda poltrona e di rileggere questo piccolo trattatello.
La tesi centrale di Quinto Cicerone è che la morale valida durante i normali periodi dell’anno, debba essere messa in un cantuccio durante la campagna elettorale. Chiunque aspiri a delle cariche pubbliche, deve mirare a due obiettivi sostanziali: ottenere l’appoggio degli amici e il consenso popolare. “Durante la campagna elettorale, se non ti facessi in quattro per avere contatti con molti, sembreresti un candidato da nulla”. Letto questo passo, non passa un minuto che squilla il telefono: “Salve, siamo della Lista N, oggi il nostro candidato avrà un incontro con i lettori del quartiere, la sua presenza sarebbe molto importante……”, oppure: “Ciao, non so se ti ricordi di me, siamo stati compagni di scuola alle elementari…….. è bello risentirci…… sai già per chi votare? No, non per altro, ma sai, sono candidato nel tuo collegio…..” Meglio staccare il telefono e continuare la lettura.
“Per prima cosa fa’ che sia evidente il tuo sforzo per farti conoscere dai tuoi cittadini, aumentalo e miglioralo di giorno in giorno: non c’è niente, mi sembra di tanto popolare e gradito…..l’arte di adulare, durante la campagna elettorale, è indispensabile. “No, caro Quinto, io credo nella politica dei valori e delle idee. Ciò che tu scrivi era valido per voi Romani, per il vostro particolare concetto di libertà, per i vostri scontri tra optimates e populares. Devo sospendere la lettura e accendere la televisione, per farmi un bagno rinfrescante in un mondo in cui la politica è sempre coerente: “Vi prometto duecentomila posti di lavoro all’anno (ma non è quello che ha fatto scrivere in un documento ufficiale che quando si creano possibilità di lavoro per chi non ha occupazione, ci si aspetta che i disoccupati ne approfittino comunque, perché cari disoccupati, se siete tali, è anche colpa vostra!). Poi, per fortuna, cominciano gli spot elettorali; l’anno scorso, durante la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Regionale, quando avevo voglia di ridere, guardavo le acrobatiche invenzioni linguistiche degli aspiranti candidati, l’uso sapiente di musichette accattivanti (quest’anno sarà il turno della musica afro-cubana?), gli effetti speciali, i sorrisi forzati, le facce nuove e pulite (o meglio, risciacquate).
“Abbi cura, infine, che tutta la tua campagna elettorale si svolga tra cortei di gente, sia brillante, splendida, popolare, affinché abbia un’immagine esteriore e una dignità esemplare”.
Ciò che mi disgusta è che a Roma il potere non era certo democratico, perché si sa quanto poco contasse di fatto il popolo (anche se, de iure, tutti i cittadini liberi di sesso maschile e i liberti avessero diritto di voto) e quanto invece contassero il senato e la tradizione familiare. Ma stiamo parlando di una società di duemila anni fa!
Oggi invece, la politica italiana è tutta, in maniera uniforme, da basso impero; non è neanche vero che manchino le ideologie, perché i soliti noti (orfani o meglio conformisticamente dimentichi delle loro radici) ne hanno sposato due: il mercato e Internet, che al massimo sono degli strumenti, non dei fini.
Ma non andiamo oltre; a questo punto lascio Quinto Cicerone e ascolto “Addio” di Guccini e “La domenica delle Salme” di De Andrè, che spiegano meglio di ogni politologo lo stato di povertà della politica italiana odierna (per non parlare di quella sarda). Però un consiglio lo voglio dare anche a voi, miei venticinque lettori. Registratevi i migliori spot elettorali e prima di andare a votare riguardatevi queste gustose gag. Andrete al seggio con uno spirito diverso e un sardonico ghigno sul viso. Perché tanto, oramai, non ci resta che ridere.