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Hanno cambiato faccia
 
In un film ormai dimenticato di Corrado Farina l’impiegato di un’industria automobilistica viene invitato a trascorrere qualche giorno presso la villa del direttore generale, un certo Giovanni Nosferatu (interpretato da Adolfo Celi). Qui si rende conto che il novello immortale dall’aspetto subdolo e bonario allo stesso tempo tiene le fila di Stato e Chiesa e dopo aver tentato una inutile ribellione si convince (viene convinto) che tutto può essere comprato e sigla la sua resa definitiva. Il titolo del film è, per l’appunto, Hanno cambiato faccia, con chiaro riferimento alla metafora marxista che vede nel capitalista il nuovo vampiro e nella classe lavoratrice la sua vittima. E nonostante risalga ormai a tre decenni fa, il film illustra più che adeguatamente la stato di insicurezza in cui si trova oggi il lavoratore (chiamiamolo così, e vi si riconosca chi crede, dato che ormai a molti sembra antiquato il termine di “classe operaia”), totalmente disarmato di fronte all’instabilità crescente del mercato e costretto ad adeguarsi a condizioni sempre più sfavorevoli nei suoi confronti. Per l’ennesima volta ci avviciniamo alle elezioni e ancora in tanti si illudono che il voto possa effettivamente cambiare qualcosa. È chiaro che il processo di globalizzazione capitalistica in corso non può essere arrestato e che, tanto meno, nessuno ha la minima intenzione di fare qualcosa al riguardo: dimostrazione di questo il fatto che sia proprio la sinistra (???) al governo, con la connivenza dei sindacati, a parlare per prima di flessibilità e di misure contro lo sciopero. Perché, ovviamente, il bene di tutti corrisponde al benessere dell’economia nazionale. Certamente, direbbero i “cinici tv” di Ciprì e Maresco. Tutto questo sarebbe vero se l’economia si basasse su un equilibrio di produzione e distribuzione e non sullo sfruttamento forsennato di forza lavoro e materie prime. Per capire come non siano le persone (di presunta destra o sinistra) a governare la macchina capitalistica ma viceversa la macchina a trascinare le persone, basta fare un esempio: quante volte, a partire dai primi del ’900 negli Stati Uniti e durante il corso del secolo anche in Europa, si è cercato di arginare la tendenza al monopolio e alla fusione, con innumerevoli leggi antitrust? Ed è mai servito a qualcosa? Proprio in questo senso è palese come il regime monopolistico e tendente alla massima unificazione per eccellenza (quello fascista) non sia che l’espressione più marcata e appariscente che il sistema capitalistico assume in momenti particolarmente accentuati di crisi e ingovernabilità sociale. Ricordo, inoltre, tanto per rilevare la non contraddittorietà dell’assunto, che alla fine della seconda guerra mondiale molti uomini del regista fascista “travasarono” direttamente nel successivo governo democratico. I limiti e l’incapacità della sinistra attuale (vedi il risibile congresso DS al Lingotto ottimamente documentato nel numero scorso) nel contrastare questo stato di cose hanno, purtroppo, radici e origini molto lontane, risalenti alla degenerazione staliniana (corrisposta in Italia da Gramsci e Togliatti – nonostante i dubbi espressi dal primo, infatti, dalla metà degli anni ’20 in poi la sinistra italiana fu perfettamente allineata con le disastrose direttive provenienti dal centro moscovita del partito). Chi ancora è convinto che in Russia ci sia stato il comunismo è meglio che riveda qualche testo storico-economico di base sul periodo in questione e si chiarisca le idee. Tanto per citare una nozione elementare, il comunismo prevede l’abolizione della moneta e del mercato e nella Russia “comunista” queste due categorie economiche (proprie del capitalismo) non solo sono state conservate ma hanno anche dato luogo a una casta di privilegiati che viveva sulle spalle della massa dei lavoratori, come in ogni altra parte del globo. Non ci si stupisca se poi Veltroni cita il Papa e canta l’Inno di Mameli subito dopo l’Internazionale. Il capitalismo non è vittorioso perché sta lentamente riuscendo a raggiungere e “conquistare” ogni angolo del pianeta, dal momento che questa sua espansione è inevitabile poiché inscritta nel suo codice genetico (ricordo che tale futuro sviluppo era già stato previsto a metà dell’800). Il capitalismo è perdente perché non è riuscito, né riuscirà mai, a procurare una stabilità, seppur minima, agli abitanti di questo pianeta. Craxi meritava i funerali di Stato, Andreotti conduce un suo programma in tv e Martinazzoli sorride da un enorme manifesto vicino a casa mia, subdolo e bonario al tempo stesso. Non hanno nemmeno cambiato faccia.
NUMERO /2
Anno 2000, n. 2
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