Venerdì 31 marzo, sul quotidiano “la Repubblica”, nella rubrica dedicata alle lettere, si è potuta leggere una testimonianza che mi piace riportare di seguito quasi integralmente.
(…) “ Sono una vedova ottantunenne, già insegnante di scuola elementare, e sopravvivo con una pensioncina il cui importo è facile immaginare: pagati fitto e riscaldamento, le bollette, i ticket sanitari e quant’altro periodicamente arriva nella buca delle lettere, fatico a legare in qualche modo pranzo e cena. Scrivo per manifestare un desiderio, cioè gradirei che ogni tanto i media (in particolare la tv) si interessassero della quotidianità di chi se la passa male, in quanto la routine giornaliera può risultare più pesante e mortificante della cronaca straordinaria. Mi piacerebbe se anche il giornalismo responsabile facesse uscire allo scoperto come possa essere frustrante non avere i soldi del giornale, o per un buon libro in edizione economica. Quando urge dire no a tutto, in quanto devi privilegiare la minestra. Perché diventa un problema un buon caffè al banco del bar. E cammini rasentando i muri, dato che via via ti convinci che la gente ti guarda con sufficienza e che, insomma, rappresenti una sorta di fastidiosa ernia dentro un contesto che blandisce soltanto il consumo: “Consumare è necessario, vivere non è necessario”.
Inoltre trovo profondamente ingiusta l’entità del carico fiscale che grava sulle mie entrate. Sono convinta che la mia situazione (che è quella di molti, dunque costituisce un problema sociale) venga pressoché ignorata in quanto infastidisce troppo coloro che promulgano leggi e regole. Tuttavia ho insegnato per 37 anni senza risparmiarmi, trasferendo a generazioni di bimbi l’istruzione primaria, indispensabile per apprendere maggiormente: e al presente devo scrivere queste righe amare, mentre la grande falce “che pareggia tutte le erbe del prato” s’avvicina velocemente.
(Perdoni se non firmo: all’età mia il cartello della povertà è gravoso. Semmai decidesse di pubblicare, disponga per un venerdì, ovvero domenica, quando posso acquistare il giornale, e cioè il giorno in cui esce il supplemento, che mi tiene compagnia tutta la settimana; la domenica c’è l’editoriale di Scalfari. Grazie)” F. F. Lavagna (Ge)
La testimonianza su riportata, al di là del caso personale, già di per sé triste e poco onorevole per la compagine umana che sbandiera democrazia e progresso come inconfutabili conquiste, dovrebbe costringere tutti, e, a maggior ragione chi di attività politica si occupa a tempo pieno, a riflettere seriamente. È necessario riflettere, se si vuole tener conto della realtà e della quotidianità di vita di una parte assolutamente non trascurabile di popolazione, e se si vuole uscire dalla logica deviante ed aberrante del contingente (leggi: trattative, accordi, scambi, calcoli…), per afferire nuovamente alla più vasta categoria della “Politica” sia come prassi sia come filosofia. Quando viene a mancare questa categoria di elaborazione, che deve sostenere, come una solida impalcatura, il pensiero, le idee e la progettualità di tutta l’azione di governo, ogni scelta è falsata all’origine e non può che essere o sbagliata o temporanea ed episodica. Vi è una evidente schizofrenia, sotto gli occhi di chiunque legga con una certa assiduità i quotidiani, che vede da una parte l’ansia della misurazione costante del tasso di crescita del prodotto interno lordo che non può scostarsi dallo 0,1% e dall’altra la perdita assoluta di considerazione nei confronti di fenomeni in evidente e vistoso aumento quali l’emarginazione, la indigenza, la povertà, la violenza, nei confronti sia delle istituzioni sia dei singoli, la disoccupazione, la criminalità, il peggioramento della assistenza pubblica sanitaria, scolastica e sociale in genere. Non possiamo assolutamente pensare o affermare che siano problemi di interesse sovraregionale o sovranazionale perché, l’evidente squilibrio tra lo stare dentro i parametri decisi a livello europeo, per reggere la concorrenza stabilita dal liberalismo di mercato selvaggio, ed il crescente malessere, che, soprattutto nell’area della Barbagia raggiunge picchi di grande rilievo, non solo ci riguardano in modo diretto e perentorio, ma esigono anche risposte adeguate ed immediate. Il malessere, come più volte ripetuto da tanti e in diverse occasioni, deriva infatti da molteplici fattori che non è intenzione analizzare ora in questa sede, ma che possono brevemente così essere sintetizzati: crescente nuova disoccupazione per l’avanzata delle tecnologie in tutti i settori, difficoltà soprattutto per i giovani a trovare una occupazione e conseguenti nuova emigrazione, invecchiamento della popolazione e spopolamento delle zone più interne (è recente la pubblicazione dei dati che dimostrano come Nuoro abbia ulteriormente diminuito il numero di abitanti, 37.848 alla fine del ’99, e come il tasso di disoccupazione sfiori ormai quasi il 30% su una popolazione attiva di circa 1 90.000 persone, innescando un circuito vizioso che tende a creare condizioni sempre più sfavorevoli alla crescita e allo sviluppo).
È inutile continuare ad illudersi che le notevoli e varie quantità di offerte di beni e servizi a disposizione, simbolo ed espressione della nostra moderna società, rappresentino il raggiungimento dell’agognato benessere e che la qualità della vita, misurata sul numero di telefonini acquistati, sia definita “alta”. Oppure ancora che ci si voglia convincere che attraverso le occasioni di sviluppo offerte dalla new economy risolveremo tutte le debolezze economiche delle aree depresse in pochi anni, rappresentandoci una possibilità di vittoria, nella competizione che vede tutti contro tutti, solo se saremo più veloci, più intelligenti e più intuitivi degli altri. Quanto poi tutto questo sarà pagato e da chi mi pare già scritto ed evidenziato con semplicità disarmante ed allo stesso tempo allarmante dalla nostra 83enne della lettera. I nostri futuri amministratori non perdano mai di vista, nel loro quotidiano agire politico, il fatto che gestire le forze in gioco è un problema di cultura e di scelta di campo ma, soprattutto di consapevolezza che il forsennato incoraggiamento dell’individualismo a partecipare alla competizione economica, nella speranza di entrare nella cerchia degli eletti, non può che avvenire sulla perenne guerra degli uni contro gli altri per contendersi gli avanzi.
È chiaro quanto poco o forse niente possano scalfire queste parole un problema che legioni di economisti e sociologi hanno già analizzato, sviscerato e comunicato con tutti gli strumenti mass-mediologici. È comunque necessario continuare a dire, ed è responsabilità di ciascuno scegliere di agire in una direzione o nell’altra, sempre coscienti che il presunto benessere di pochi, il quinto dell’umanità cui abbiamo la fortuna di appartenere, è costruito sull’infernale sofferenza dei restanti 4/5 dell’umanità, ma anche sulle nuove miserie che avanzano in quel quinto fortunato come attesta l’ottantenne della lettera. Non si lascino incantare i nostri prossimi amministratori da sirene e miraggi di competizioni e dinamismi che dovrebbero produrre effetti miracolistici e consentire a tutti, se non la felicità, ormai evidentemente del tutto soppiantata dalla alienazione e dipendenza create dalle ricche e colorate attrazioni del consumo, almeno un comodo tenore di vita, perché i dati pubblicati dall’Istat, o dalle varie organizzazioni delle nazioni unite o da qualunque altro rapporto sulla situazione del mondo, parlano in modo chiarissimo: la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza non solo non sta diminuendo, ma aumenta con una velocità che può portare in breve tempo anche all’esclusione sociale diffusa in ceti prima relativamente garantiti. Nuoro e la sua provincia, attraverso i dati pubblicati recentemente su tutti i quotidiani, non fa altro che confermare quanto detto sopra.