Due ore e 15 minuti. 30 cartelle. Ma soprattutto un discorso infarcito di citazioni, le più varie e le più disparate. Certo nessuno sarà rimasto sorpreso: già da qualche tempo i massimi dirigenti dei DS vanno dicendo che le loro radici culturali non affondano nei classici del marxismo, ma in autori come Silone, Hannah Arendt, Arthur Koestler. E sicuramente non fu un bello spettacolo veder andare Veltroni, novello Foscolo, ad ispirarsi alle tombe di Dossetti e Don Milani, a salutare calorosamente Bobbio, organizzare convegni su Carlo Rosselli (non su Nello, il fratello che, poverino, ha avuto il torto di esercitare il mestiere di storico lasciandoci dei libri come “Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio. 1860-1872”, dove quelle due parole “movimento operaio” certo non hanno la forza evocativa di “Socialismo Liberale”, anzi sono quasi vecchie). Un pellegrinaggio ridicolo e francamente un po’ patetico, mirante a costruirsi delle finte radici, a distruggere, in maniera più o meno velata, la propria storia. Ma Veltroni è un segretario “con quella faccia un po’ così”, che, amante del cinema ama volare con la fantasia. Tutti sanno di come Pascoli chiosò in maniera professorale il Leopardi che ne “Il sabato del villaggio” aveva osato accostare le rose e le viole, che in realtà hanno diversi periodi di fioritura; Veltroni, che però non è il contino di Recanati, dimostrandoci tutta la vaghezza e la precarietà di questo nuovo partito, ci ha deliziato nella sua relazione dicendo che, testuali parole “La quercia perde le foglie , ma poi si sa rinnovare...”. Tanta è la voglia di dare un’immagine di un partito che muta la propria identità, che il buon Walter si è dimenticato che la quercia è una pianta sempreverde, e, come tale, non perde fogliame. Ma gli mancasse soltanto il pollice verde !
Tra i tanti nomi citati nella sua relazione, Veltroni ricorda: Antonio Gramsci, che fu un comunista si, ma ha avuto la scusante di essere morto in carcere per mano del fascismo, e può passare; Piero Gobetti, che fondò una rivista (e scrisse un libro) intitolata “La Rivoluzione Liberale”, anche se Veltroni forse non sa della partecipazione attiva del giovane Piero ai gruppi dell’“Ordine Nuovo” e della sua ammirazione per la classe operaia, che riteneva il nuovo motore del liberalesimo italiano; Patrice Lumumba, capo del Marxista (non importa, di rosso aveva solo il sangue che scaturì dalle sue ferite quando venne assassinato) Movimento Nazionale Congolese, ucciso dalle divisioni e dalle lotte di potere nel suo paese; “ il giovane Marx” in dialogo col primo Papa operaio della storia, Papa Woityla, forse inconscio omaggio al ministro Amato il quale, in una recente intervista, ha asserito che la sinistra italiana deve imparare dal Papa. La vera perla è stata la citazione della famosa polemica che oppose nel ’31 Togliatti a Carlo Rosselli, con il primo colpevole di aver definito la nuova icona dei DS “un dilettante dappoco, privo di ogni formazione politica seria”. Cattivo, il Migliore. Peccato che Veltroni si dimentichi che il 1931 è un anno pessimo nei rapporti tra PCI e gli altri partiti antifascisti, gli anni dei socialisti definiti dai comunisti “social-fascisti”. Arrivarono poi il VII congresso dell’Internazionale (1934) e la stagione della collaborazione dei fronti popolari antifascisti; ma Veltroni non lo ricorda.
La storia è una cosa seria, non è come un album di figurine in cui lo scudetto della Juve vale sempre di più di quello della Pistoiese. Non vogliamo che Veltroni ci spieghi la storia (o meglio la storia vista da lui); vogliamo i programmi, le idee, il confronto sui grandi temi politici ed economici. Ma di questo Veltroni non si cura. N
