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Giustiscia chergio ma in domo non colet
 
Delle tante dichiarazioni seguite alla sentenza che ha assolto l’onorevole Andreotti dalla terribile accusa di essere il mandante di un omicidio, mi hanno colpito soprattutto quelle del presidente del Consiglio dei Ministri e del segretario del suo Partito. “Non commento mai le sentenze”, hanno detto entrambi, pronunciando le parole con la convinzione evidente di fare mostra di una grande virtù. Quando mai un politico non commenta l’esito di un processo che ha visto sul banco degli imputati l’uomo che per cinquant’anni ha rappresentato l’Italia nel mondo? Il comune cittadino può continuare a essere convinto della colpevolezza di un imputato assolto o dell’innocenza di quello condannato, ma ringrazia il cielo che il nostro sistema non affida a lui il giudizio. Il politico con alte responsabilità di governo non può esimersi dal ribadire sempre e comunque la propria fiducia nel complesso della magistratura dello stato che governa o induce a pensare che si sta apprestando a emanare leggi che limitino la libertà di una magistratura nella cui integrità non crede. I molto onorevoli Craxi e Berlusconi e i loro variegati sostenitori e emuli hanno sempre urlato ad ogni sentenza, di un segno o dell’opposto, ma a ragion veduta, direi, sempre esprimendo la chiara contrarietà a una magistratura indipendente e la ferma volontà di metterla a balia del potere politico. La loro reazione alla sentenza di assoluzione di Andreotti era ampiamente prevedibile. Ancora più sconcertanti, politicamente incomprensibili, alcune irresponsabili, le reazioni della “Sinistra” alla conferma della condanna di Adriano Sofri. Si va da affermazioni del tipo “Non si può condannare qualcuno dopo tren-t’anni” (affermazione pericolosa fatta dai legislatori, perché sembrerebbe il preludio di una proposta di legge che dichiari l’omicidio prescrivibile dopo dieci anni) a altre che, più o meno esplicitamente, fanno capire che l’uccisione di Calabresi non è stato un omicidio, ma un episodio di guerra legittima, o, peggio ancora, un atto di giustizia, come sostenne Lotta Continua a suo tempo. In ogni caso sorprende che il segretario DS protesti per una condanna espressa tante volte da tanti giudici (va ricordato che Sofri non è stato mai assolto: è riuscito più volte a far ripartire il processo, grazie a vizi procedurali vari che, quando sono serviti a scarcerare altri, sono stati esecrati dalla stessa “sinistra”) e faccia sue le tesi di un assassino conclamato che sostiene di essere vittima di una congiura ordita a suo danno nello stesso ufficio che è attualmente occupato da Veltroni. Io sono garantista per struttura mentale e, forse, per calcolo egoistico: potrebbe capitare anche a me di essere accusato dell’incendio di Roma e di dover soffrire l’indicibile prima che qualcuno si prenda la briga di raffrontare le date e scopra che non ero nato al tempo dei fatti. Qualsiasi sentenza assolutoria mi trova perciò sempre sostanzialmente contento, anche quando l’imputato non mi piace e sono in fondo convinto che è stato accusato dell’unico reato che non ha fatto in tempo a commettere, convinto come sono che la garanzia del cittadino è quella di essere giudicato in relazione a fatti specifici, certi, ben precisati, e non sulla base di un concetto vago di appartenenza. Quando il mio amico Tonio Pillonca mi ha telefonato per darmi la notizia della sentenza di assoluzione di Gesuino Muledda e dei figli, era sicuro di darmi una notizia a me graditissima, non fosse altro perché Giginu Muledda è di Oniferi, e quindi siamo un poco compaesani all’estero, ma devo dire che ho altrettanto gioito per l’assoluzione di Angelo Rojch e delle decine di persone trascinate insieme a lui in un’inchiesta per troppo tempo nelle prime pagine di tutti i quotidiani, come ho gioito quando hanno scarcerato Rocco Meloni, come gioisco, ripeto, ad ogni sentenza di assoluzione. Conservo, ogni volta, un grande dolore al ricordo delle sentenze di condanna che per mesi, per anni, ogni imbecille si è sentito in diritto di pronunciare nei giornali, nelle piazze, nei bar. E ancora di più mi indigna che chi è stato assolto sia indicato ancora come colpevole nei giornali, nelle piazze, nei bar. Così mi rattrista che qualcuno sia condannato, ma mi indigna che lo si dia per innocente. E mi resta la triste convinzione che l’educazione civica in Italia sia soltanto una materia scolastica e che chi deve garantire la giustizia a tutti non la voglia per sé. Appunto. Giustiscia chergio, ma in domo non colet. N
NUMERO /1
Anno 2000, n. 1
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