Gianni Conti nato circa mezzo secolo fa a Nuoro, dove ha fatto gli studi elementari, medi e superiori. Dopo di che si è trasferito nel 1951 a Firenze, dove entrò subito nella cerchia dei più stretti collaboratori del prof. Giorgio La Pira, sindaco della città e poi anche degli altri sindaci Zoli, Bonsanti e Lando Conti. Nelle elezioni del Consiglio Comunale del 1990 è addirittura risultato il primo degli eletti ed inoltre è stato, in differenti periodi, Vicesindaco della città e Assessore al-l’urbanistica e poi alla Cultura e Belle Arti. Inoltre è stato direttore della rivista “Il Governo”. Insomma, si tratta di un Nuorese e di un Sardo che si è fatto onore, niente di meno in quella che è la capitale dell’arte e della cultura italiana. Mio stupore rispetto al personaggio, di cui mi era arrivata solamente da poco qualche lontana notizia e mio stupore quando, avendolo finalmente conosciuto di persona, ho avuto da lui il gradito omaggio di un suo recente romanzo, intitolato Quel diavolo di sindaco (Firenze 1999, Edizioni Zeta). Sì, voglio insistere sul vocabolo e sul concetto di “stupore”: stupore per il personaggio non appena conosciuto e stupore per il suo romanzo non appena iniziato a leggere.
Per il vero con tutta tranquillità confesso di non avere una larga esperienza in fatto di letture di quel genere letterario che si chiama il “romanzo” e confesso pure di non sapere nulla di quella branca della critica letteraria che adesso viene detta “narratologia” (però senza alcun rammarico mio, dato che perfino il vocabolo mi riesce antipatico!); pertanto, dopo la lettura del romanzo di Gianni Conti, io mi limito a dire le impressioni che esso ha suscitato in me a lettura finita.
Innanzi tutto ribadisco che mi ha stupito ed anche meravigliato in maniera assai positiva la “conquista” che Gianni Conti ha fatto di una città tanto varia e tanto ricca di elementi come è Firenze. In primo luogo la conquista della città in quanto tale, delle sue piazze, delle sue vie, dei suoi vicoli e dei suoi numerosissimi monumenti. L’essere stato, niente di meno!, Assessore alla Urbanistica, ha dato a Gianni Conti la possibilità di impadronirsi delle pieghe più minute e di tutte della mappa della città, soprattutto nei suoi risvolti artistici e museali.
Una conoscenza così minuta e puntuale della città di Firenze sarebbe già da apprezzare e da ammirare parecchio in un individuo che fosse nato a Firenze e da antiche discendenze.
Ma non basta, anche la lunghissima e particolareggiata storia della città, ad iniziare da quella comunale del Medioevo, proseguendo con quella dei Medici, quella dei Granduchi di Toscana, quella di capitale del nuovo Regno d’Italia e fino ai nostri giorni, tutto mostra di conoscere Gianni Conti e tutto fa capolino nel suo romanzo. E tutto questo - lo dico ancora - non può non “stupire” in un individuo che a Firenze risulta semplicemente immigrato. In questo stesso ordine di cose, perfino i personaggi della Firenze recente, dalla caduta del fascismo fino ai nostri giorni, compaiono, sia pure di sfuggita, nelle pagine del romanzo: Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Piero Bargellini, Antonio Zoli, padre Balducci, padre Turoldo, ecc.
Però il mio stupore è risultato ancora più grande rispetto ad un altro aspetto del nostro romanzo. La sua trama è relativamente semplice: alle dimissioni da sindaco di Giorgio La Pira un abile e ricco avvocato fiorentino, Lotario Parrini Baralla, pensa di entrare nell’agone politico in vista appunto della carica di sindaco della capitale toscana. Per il vero egli non gode di buona fama nella città, la quale del resto non è tanto grande da lasciar passare inosservato un personaggio del suo calibro. Egli è notoriamente il difensore di mariuoli ed è mariuolo pure lui. Inoltre è molto conosciuto per la sua vita notturna, passata in locali equivoci e in continua compagnia di donnine.
Eppure nonostante questo grave handicap di carattere morale e sociale e nonostante che egli non abbia all’inizio alcun appoggio fra i partiti, l’avvocato non esita lanciarsi nell’avventura pienamente fiducioso nelle sue grandi capacità di manovra. Si circonda di uno stuolo di galoppini di un certo valore, pagandoli profumatamente. E poi, passo dopo passo, con una sequenza di piccole ma abili mosse, volte in tutte le direzioni - commercianti, albergatori, artisti, giornalisti, circoli culturali e salotti aristocratici - riesce non soltanto a far cessare le numerose opposizioni che si era attirato all’inizio della sua manovra, ma anche ad ottenere sia la non belligeranza da parte del clero, sia la candidatura da parte di un partito politico, non grande ma comunque di buona autorevolezza politica.
E si arriva alle elezioni comunali, nelle quali il nostro protagonista ottiene un incredibile successo elettorale. Si presenta immediatamente il problema delle elezioni del sindaco e il nostro avvocato si dà subito da fare per gli ultimi ritocchi della sua scalata, predisponendo il vuoto intorno ai suoi avversari, col far uscire surrettiziamente notizie di loro amanti oppure di usura o di debiti da gioco...
Ed anche qui un altra e forse la più significativa nota di “stupore” che mi ha colpito nel leggere questo romanzo: la conoscenza minuta e perfetta, dimostrata da Gianni Conti, di quelli che sono i gradini e le leve dell’ascendere politico...
Non si può negare che l’intero romanzo è segnato da un forte senso del sarcasmo; ma nel fondo ultimo si coglie anche un forte senso dell’amaro nel romanziere: perché egli ha dimostrato che in politica, anche se si inizia col peggiore handicap di partenza, purché si sappiano toccare i tasti e muovere a dovere tutte le leve, comprese quelle della corruzione, della delazione, della calunnia, si arriva dove si vuole, fino cioé a raggiungere i traguardi più ambiti...
Ed infine un’altra nota molto positiva del nostro romanzo: la lingua adoperata dall’Autore. E presto detto “i panni di Arno se li è asciugati” molto bene! Si è impadronito ed ha fatto sfoggio di una lingua italiana limpida, scorrevole, essenziale, che non concede nulla al superfluo. E di tanto in tanto è intercalata da qualche espressione tipicamente toscana e fiorentina, la quale non stona affatto, vista la ambientazione del romanzo.