I giovani forse non sanno chi fu Ricciardetto alias Augusto Guerriero: nomen omen da angelo sterminatore da operetta, che ben si addice al personaggio. Quantomai opportuno, a proposito di Ricciardetto è un microsaggio di Sandro Gerbi, uscito nel numero del passato novembre nella rivista Belfagor (pp. 693-707). Titolo del pezzo: Ricciardetto e l’uccellino circonciso. Il titolo è richiamato da un’espressione che si trova nei diari di Giuseppe Bottai, datati 1938, anno dell’emanazione delle leggi razziali, il periodo storico indagato da Gerbi. “Il problema degli ebrei”, annotava Bottai, “esiste anche in Italia. In piccole proporzioni. Si poteva risolverlo con dei piccoli atti amministrativi: insomma, perché sparare con un cannone per uccidere un uccellino, anche se si tratta di un uccellino circonciso?”. Il problema sono dunque gli ebrei e la loro persecuzione. Cosa c’entra Ricciardetto? Lo spiega da subito il saggista, dicendo di come fu mistificatore e voltagabbana l’Augusto. “Una sua parte nell’invereconda campagna razziale”, scrive Gerbi a proposito del Guerriero in cerca di rifarsi una verginità dopo il 1945, “era però sostanzialmente ignota, e per di più in contraddizione con le continue prese di posizione filoebraiche di Ricciardetto nel dopo-Liberazione”. Sta qui il punto: nel trasformismo dell’opinionista, nel voler fare la faccia feroce a tutti i costi. Meditino i chierici. Ricciardetto fu più realista del re. Nell’abominio, nella condiscendenza, lo stesso Bottai che pure fu intellettuale di regime, cercò di barcamenarsi. Ricciardetto no. L’indagine di Sandro Gerbi, fondamentalmente basata su una ricerca d’archivio al Corriere della sera, testimonia di come Augusto Guerriero-Ricciardetto (dall’omonimo protagonista di un poema eroicomico settecentesco di Niccolò Forteguerri ma rappresentante di molte categorie di opportunisti) fu un crescendo di mostra di sé come acceso sostenitore delle leggi razziali. Ne aveva ben donde. Era passato al giornalismo dopo essere stato funzionario coloniale in Libia. Per sostenere il suo ruolo di intellettuale di regime, Ricciardetto non esita a superare in livore antisemita grandi firme e farisaici, grotteschi, giornalisti di provincia. (Tale Giovanni Preziosi, per esempio, avellinese come lui, direttore del mensile La Vita Italiana, alfiere dell’antisemitismo, “un personaggio sgradevole e sgradito”, sempre Gerbi, “con decisa fama di menagramo, che si butterà da una finestra, assieme alla moglie, nei giorni della Liberazione”). Tutto il suo livore, Ricciardetto era conosciuto anche come Micromegas, lo esprimeva nelle pagine del Corriere.
L’indagine di Gerbi chiude con il racconto di un redde rationem. La Storia ha dato torto a Ricciardetto. Dopo l’8 settembre del ’43, Guerriero sarà buttato fuori dal Corriere e riassunto nel ’46 passerà agli annali con la nomea di prima donna del giornalismo governativo.
C’è ancora un’appendice al testo belfagoriano, una cosa di cui Gerbi non scrive.
Trent’anni dopo i fatti sopra narrati, Ricciardetto fece chiasso con un pezzo su Epoca. Siamo sul finire degli anni sessanta, in Sardegna gli anni caldi del banditismo, l’era Mesina per intenderci. L’isola pullula di inviati speciali e ce n’è di quelli che descrivono i fatti, che entrano nel cuore della tenebra. Per cercare di capire. Ricciardetto no. È di altra legna. Scrisse allora su Epoca, il Guerriero, che bisognava, così come gli americani in Vietnam, buttare napalm sul Supramonte, la zona infetta. Sarebbe servito a risolvere il problema: del banditismo e dei sardi. Nessuna separazione, nell’analisi dell’Augusto, tra causa ed effetto, nessuna presa di posizione sulle differenze, niente di percorso storico. Solo un’identificazione: sardi uguale popolo da bombardare con i defolianti. Magari, dando suono alla vena poetica di Ricciardetto (pubblicò in tarda età una raccolta di versi dal titolo Quaesivi et non inveni), accompagnando il diserbo con la cavalcata della Valchirie. Come in Apocalipse now.
Ci fu chiasso intorno alla proposta razzista di Ricciardetto, lui che allora, negli anni caldi del nostro banditismo, si professava amico degli ebrei. Ci fu molto risentimento da parte dei sardi e altrui indifferenza. Poi silenzio. Un luogo-tempo in cui avrebbe meritato di restare se non fosse stato per il saggio di Sandro Gerbi. Ricciardetto fu “antitutto”, così lo definì Montanelli post mortem. Ma c’era benevolenza.