Bruce Springsteen
Potrei iniziare ricalcando il celebre incipit: "Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, fare la fame, istericamente nudi" eccetera eccetera. Ma Allen Ginsberg era un bardo e io non lo sono. Lui parlava per tutta una generazione e io non mi sento che di parlare per me stesso, raccontare la mia storia. La storia di un risveglio.
Sono cresciuto buonista in un mondo dominato da soprusi, pacifista e non violento in un'epoca di guerra perenne, allevato all'ombra del porgi l'altra guancia, del "politicamente corretto" e del "rispetto le tue idee e combatterò per loro". Un giorno forse qualcuno mi spiegherà in pratica come sia possibile credere in un ideale e contemporaneamente difendere il suo opposto. Dopo aver ingurgitato litri e litri di tolleranza, ho imparato a tollerare anche l'insopportabile. E a vantarmene. Perché Dio (o chi per lui) me ne scampi dal ribelIarmi con rabbia, dal sollevare una mano o dall'alzare la voce. Rispetto onorevolmente quelle leggi che non vengono rispettate nemmeno da chi le compila (art. Il della nostra Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" - ! !???! !).
Bene. lo non voglio più essere democratico, perché non vi può essere democrazia dove gli interessi non siano i medesimi e dove gli uomini non valgano e contino tutti allo stesso modo (e non mi pare che sia questo il caso - o mi devo illudere che sia così solo perché posso andare a votare?). Perché democrazia vuoI dire che la sinistra va al potere e tutto resta come prima. Perché democrazia vuoI dire 70 giorni di guerra e centinaia di morti. Perché democrazia vuoI dire che Ronaldo "guadagna" 600 milioni al mese, il governatore Fazio 350 all'anno e mia madre con due lavori e tre figli all'università prende 3 milioni al mese e io non so se spendere 38 mila lire per il nuovo libro di Don De Lillo.
E siamo pure tra i privilegiati, "quelli che stanno bene".
Cosa devo pensare, allora? Forse che la vera utopia non è quella della Rivoluzione ma piuttosto quella di un benessere diffuso e capillare. Ma come (e quando) ci si arriverà? Se dopo 25 anni di crisi economica si parla ancora di recessione? Con la "flessibilità" forse (alleggerimento dei vincoli burocratici riguardo assunzioni, licenziamenti e orari di lavoro, ma soprattutto flessibilità salariale)? Con gli scioperi virtuali (si sciopera dal posto di lavoro, continuando a lavorare e non pigliando soldi - geniale!)? O allontanando sempre di più la soglia dell'età pensionabile? Diciamoci la verità, perché continuare a difendere un ingranaggio che non funziona e che non sa più dove andare a parare? Noi che di solito siamo così veloci a sostituire gli elettrodomestici guasti?
L'economista Jeremy Rifkin intervistato sulle pagine della "Repubblica" (24/5) illustra in maniera inquietante lo stato dell'economia americana (quella trainante): "Stiamo vivendo tutti, dalla Casa Bianca fino alla più sperduta delle fami- glie, in una grande illusione: che per l'economia americana si sia aperta una ‘fase nuova’, un 'nuovo modo di essere. Invece non c'è niente di nuovo: solo una speculazione forsennata che ha portato l'indice di Borsa a salire in modo incredibile e che sta per esplodere violentemente. Finché continua a crescere, tutto bene, la gente può continuare a indebitarsi, e le aziende ad essere convinte che troveranno un mercato per i loro beni. Appena ci sarà lo stop, tutto si sfalderà rapidamente. Per inciso, tenga presente che oggi in America va benissimo solo per il 20% della popolazione ad alto reddito: per il restante 80% la qualità della vita è peggiore che negli anni '70".
Altroché benessere diffuso e capillare, io sono convinto che finché ci saranno sperequazioni di questo tipo non ci potranno che essere tensioni sociali che sfoceranno in guerre, guerre che porteranno ovunque morte e distruzione, distruzione che è l'unico modo che l'attuale sistema conosce per rimettere in circolo linfa vitale nel proprio ingranaggio.
Oggi, uscire dal letargo, dalla gabbia di vetro, per me significa smantellare e mettere in dubbio tutta una serie di impalcature e sovrastrutture che in qualche modo impediscono di vedere la realtà delle cose, modi di essere e di pensare che mi hanno accompagnato fin dalla nascita, protetto e incatenato allo stesso tempo, lungo una strada già solcata, già prevista, dove l'unica libertà si riduce alla scelta del passo con cui la si può percorrere. E per quella strada continuo a camminare, consapevole che non ne esiste un' altra che non sia distruttiva. Ma dentro di me ne ho preso un' altra, come in una nota poesia di Robert Frost, quella meno battuta, quella più impervia, la cui destinazione si vede a fatica e appare molto più lontana.
Togliere il velo alle cose è un atto che rende più amari e disillusi, ma anche più sicuri e coraggiosi. Perché se è vero che l'ignoranza è schiavitù, io scelgo di sapere, di conoscere, di guardare in fondo all'abisso, pienamente consapevole della necessità di tale atto. Non credo che si possa colpevolizzare i "giovani" per il loro disinteresse diffuso nei fatti della politica e del sociale (soprattutto visto lo stato di totale confusione in cui si trova oggi la nostra politica), il problema è che il rimanere fuori, ai margini, il disinteressarsi, è comunque uno schierarsi e, più precisamente, uno schierarsi dalla parte di chi comanda e regola, un lasciare che gli altri facciano. Per lo stesso motivo, Dante relegava fuori dall' inferno gli angeli che non si erano schierati né con Dio né con Lucifero al momento della sua ribellione (perché indegni di condividere anche le pene dei dannati, che almeno qualcosa, anche se di male, avevano fatto).
Sono convinto che non si possa costringere nessuno a prendere coscienza di certe situazioni, tanto meno ragazzi i cui bisogni si limitano al telefonino e alla playstation (e genitori pronti ad accontentarli - sempre meglio un figlio pecora come tutti gli altri che una testa pensante in mezzo a tante teste vuote). Ed è per questo che ho deciso di non rivolgermi a nessuno in particolare, ma semplicemente di raccontare la mia vicenda personale. Perché ci vuole una scintilla per accendere un fuoco. E questa scintilla deve nascere spontaneamente e ci deve scottare, perché solo quando sentiamo il dolore ci accorgiamo della sua esistenza.
"Ma forse non ogni uomo è uomo; e non tutto il genere umano è genere umano. Questo è un dubbio che viene, nella pioggia, quando uno ha le scarpe rotte, acqua nelle scarpe rotte, e non più nessuno in particolare che gli occupi il cuore, non più vita sua particolare, nulla più di fatto e nulla da fare, nulla neanche da temere, nulla più da perdere, e vede, al di là di se stesso, i massacri del mondo. Un uomo ride e un altro uomo piange.
Tutti e due sono uomini; anche quello che ride è stato malato, è malato, eppure egli ride perché l'altro piange. Egli può massacrare, perseguitare, e uno che, nella non speranza, lo vede che ride sui giornali e manifesti di giornali, non va con lui che ride ma semmai piange, nella quiete, con l'altro che piange. Non ogni uomo è uomo, allora.
Uno perseguita e l'altro è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato. Uccidete un uomo, egli sarà più uomo. E così è più uomo un malato, un affamato; è più genere umano il genere umano dei morti di fame" (E. Vittorini).