La realtà che sta di fronte a tutti noi in modo inesorabile conferma, senza ombra di dubbio, che i processi d'industrializzazione avviati alla fine degli anni sessanta sono stati un grande fallimento rispetto agli obiettivi a suo tempo sbandierati, ossia la creazione di circa 12.500 posti di lavoro nella piana di Ottana.
Le tappe significative che hanno contrassegnato la storia di questa fabbrica pesano come macigni nella memoria degli operai, che hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti devastanti dei processi di ristrutturazione e gli accordifatti tra i grandi gruppi chimici italiani nella spartizione delle quote di produzione delle fibre.
Basti ricordare la guerra chimica tra Eni da un lato e Soia, Sir e Montefibre dall' altro e al centro l'assenza (voluta) di una politica industriale da parte dei governi romani che, nel corso di questi decenni si sono succeduti, e, perché non dirlo, con una classe politica regionale incapace da un lato e dall' altra subalterna e compiacente alle lusinghe dei vari boiardi di stato e dei padroni privati, come il cavalier Rovelli, che in questa regione hanno conseguito le loro fortune economiche, lasciando nell' isola grandi cattedrali industriali mai entrate in funzione (vedi Sir Ottana e Isili). Nel corso di questi anni abbiamo assistito ad una continua presentazione di quelli che venivano definiti piani di settore per la chimica del nostro paese. Altro non erano che accordi di spartizione tra i vari potentati, detentori del monopolio chimico (Cefis, Rovelli, Moratti, Grandi e via dicendo) ai quali sistematicamente veniva data la benedizione del Governo di turno.
Chiaramente in questi giochi tra le aree industriali privilegiate, non vi era la nostra isola. Anzi è quella che ha pagato più duramente questo tipo di politica e l'assenza di una seria programmazione regionale ha contribuito a un ridimensionamento drastico sia dal punto di vista occupazionale che produttivo.
Dopo i vari tentativi messi in atto tra il polo pubblico e privato "vedi Enimont" e le disastrose conseguenze per le casse dello stato, dovute alla leggerezza con la quale questi accordi erano stati fatti e alle ruberie che hanno coinvolto politici e dirigenti industriali (vedi Tangentopoli) si è giunti alla politica delle privatizzazioni.
La messa in vendita del patrimonio industriale e l'uscita da parte di Enichem dal settore delle fibre ha comportato un cambiamento sostanziale nel panorama chimico nazionale.
In questo contesto ad Ottana vi sono stati profondi mutamenti e la presenza di diversi soggetti industriali lo conferma. Si può dire che l'Eni, attraverso l'Enichem Fibre, ad Ottana rimane con un ruolo molto marginale quasi di testimonianza (non sappiamo per quanto tempo). Fanno capo all'Enichem Fibre il fiocco Poliestere di cui hanno già annunciato la chiusura entro il 31.12.1997, la centrale termoelettrica, i servizi (Manutenzioni, Vff. Tecnico e Vff. Amministrativi).
Come si può vedere il rischio al quale si va incontro con la politica delle privatizzazioni (senza controllo) è quello che al monopolio pubblico si sostituisca quello privato, perdendo così una parte importante in un settore come il nostro. Esistono fondati motivi per pensare che si, tratti più di operazioni di ingegneria amministrativo-finanziaria per ridurre l'indebitamento ed aumentare l'utile netto, che di una seria politica industriale.
Pezzi importanti della chimica sarda sono già stati sacrificati nel corso di questi anni, chiusura filo poliestere ad Ottana (1984) con una perdita di 250 occupati, fibre di Villacidro (1992) 290 occupati, acrilico P. Torres 250 occupati. Di fatto ciò che emerge è un segnale inequivocabile di disimpegno da parte dell'Eni contrassegnato da una politica di smantellamento dell' apparato chimico sardo, rinunciando a quello che per anni è stato definito dalle forze politiche come settore strategico per l'economia del nostro paese. Il risultato sarà inesorabilmente quello di una totale dipendenza dai produttori multinazionali presenti abbondantemente già oggi, basti pensare che importiamo qualcosa come 13.000 miliardi di prodotti chimici.
In questo contesto, di fronte al disimpegno dell'Eni nell'assenza di una strategia da parte del Governo Nazionale, dal punto di vista di un indirizzo di politica industriale chiara, l'azione dei lavoratori e del sindacato, già dal 1987 ha posto al centro della propria strategia il problema della difesa del tessuto industriale, ossia l'obiettivo di costruire partendo dalla difesa dell' esistente, la creazione di una condizione diversa che desse risposta al drammatico problema della disoccupazione che affligge la nostra provincia.
Da qui nasce l'accordo di programma per la Sardegna centrale.
A distanza di nove anni, per la verità i risultati conseguiti sono molto lontani e quindi insufficienti rispetto alle attese, comunque anche se debole uno spiraglio si è aperto, si tratta ora di riempirlo di contenuti.
Siamo pienamente consapevoli che il cammino è ancora lungo e la voglia di lottare per costruire una prospettiva diversa non ci manca, le difficoltà non ci spaventano anzi ci caricano, dandoci slancio e forza necessaria per affrontare il futuro con un nuovo entusiasmo.
Siamo convinti che alla fine, come diceva Salvatore Nioi, uno dei più grandi dirigenti del movimento operaio sardo che per noi rimane un grande maestro di vita e di lotta, le speranze per migliaia di giovani oggi senza lavoro saranno la linfa che animeranno le lotte del futuro per conseguire una prospettiva diversa, con la certezza che la lotta, comunque, paga.
Non c'è dubbio che noi faremo fino in fondo la nostra parte e spingeremo anche gli altri a fare la loro, a partire dalla Regione e dal Governo Nazionale.