Quel che faceva assomigliare la costruzione alla Babele di Bruegel erano gli occhi, finestre inquietanti, buchi neri case delle fate che apparivano in tutto il loro mistero. Gli operai liberavano i piani dalle impalcature e vedevano occhi di fate. Visioni di sonno che evaporavano danzanti nella calura del tempo al Golém, babbarrozzi, mammoti di cento materiali di risulta, incrostature e sedimento di terra.
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Al Golém ci fu la cultura dei fantasmi.
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Alla fine anche chi non voleva credere era costretto a credere. I fantasmi dominavano allo ziggurat così come un tempo erano stati presenza nelle mietiture, nell' officina del fabbro, nella solitudine delle pinnette, nelle cotte del pane. I bambini imparavano a convivere con le visioni. I fantasmi si materializzavano. Gli pervadevano i sensi. I fantasmi uscivano dai cespugli, alberi nani e gigantes. I sensi eccitati costruivano figure di banditi e di mafie petténe, di surviles e mammoti, di marie leppe e capre belanti, voci sovrumane di babbarrozzis.
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I luciferi ascendevano al vuoto e dal vuoto abbassavano.
II
Gavros immaginava un tempo di splendore.
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Appollaiati sui tralicci, sopra il vuoto, Gavros e Murena continuavano nelle dispute, a volte fino a sera, fino a quando Sulmacco non gli ordinava di scendere, il sole ormai inghiottito dal fiume. Neppure allora riposavano. C'era il cottimo da estinguere. Bisognava tumbu tumbare la terra dopo aver combattuto nell' aria.
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Gavros e Murena immaginavano di passare film alla moviola.
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Al lentore dell' alba, Gavros l'indiano saliva alle alture per avvitare bulloni contro le capriate. Con gli occhi del sonno, Gavros vedeva pendere il poeta Battore al posto di Lardo, il poeta Battore con le mani legate dietro la schiena, il sagu paberile di porpora cupa, essere nefando, i piedi nudi incatenati. Così fecero a Doddori, l'ultimo della banda di Lotario appeso alla forca che fu perenne nello Sturm und Drang.
III
Basta vedere Spartacus, tutto ragionamento, il lato visibile della guerra come spettacolo, il rovescio della trincea di Orizzonti di gloria. In Spartacus l'avanguardia di Crasso muove contro l'esercito degli schiavi sfidando il fuoco. I soldati arretrano al momento giusto e fuggono per attirare il nemico. Ciascun soldato romano sa quali mosse compiere. Gli schiavi invece, pur eroici, pur animati di speranza, combattono per cadere in battaglia, per non essere poi crocifissi. In campo lungo e dall' alto vengono ripresi lo scomporsi e il ricomporsi delle fila della legione in quadrato e rettangolo, il punto linea kandinskijano che diventa una perfetta macchina da guerra e uno spettacolo per gli occhi, somigliante a Kagemusha e Ran di Kurosawa. Contro queste geometrie non ci fu niente da fare e da sperare per gli schiavi, destinati dopo la sconfitta alla crocifissione, alla mina e all'esilio come i pueri hebraeorum.
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Nel grave sonno, Gavros ricomponeva i resti, quanto fu da uomo William Wallace, Braveheart fatto macellare da Eodardo I il 23 agosto 1305 a Westminster, quattro secoli prima che Cumberland il macellaio sconfiggesse gli scozzesi Stuart nella palude di Culloden, il 16 aprile 1746. Il duca di Cumberland spense il sogno.
IV
Gueneveu camminava nell'assenzio.
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Gueneveu vedeva venirle incontro i pueri hebraeorum.
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Gueneveu neniava dentro l'ambulanza.
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Gueneveu vedeva su di sé occhi ingranditi di lucertole e rospi, luci gialle intermittenti, regolate dal tic di viscide palpebre, lei e Gravòs sacrificati per i pueri e i vo'yeurs. Dentro il tophet dormivano;
V
Il tempo ordinario del manicomio è fatto di sonno perché così vuole Pellegrino Orsi. Sonno. Nessuno poteva mettersi contro il tempo che doveva continuare a succedere come sempre era stato, accettando delle mutazioni la parte che non intaccava i rapporti di dominio e di sottomissione. Sonno. Una regola monastica. I sedativi sono la preghiera quotidiana ripetuta nella stessa ora e nello stesso posto, gli infermieri occhiuti e vigili perché nessuno infranga l'ordine asettico delle stanze. Ciriachi e i suoi si aggiravano sopra il linoleum tirato a lucido, con la siringa in mano e con le funi pronte per legare, una volta immobilizzata la vittima, già pervasa dal terrore. Sonno. Dormire. Non esistere per un'ora lunga che avrebbe dovuto essere dolce e che invece portava altri mostri.
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Ci sono a Ruén l'ossessione della dissolvenza e lo spettro del manicomio, l' ossessione della fisicità, del sentirsi molli e putridi, e l'ossessione della bassura che incombe sull' altezza, il mondo a rovescio che il vecchio manicomio pretende di rimettere in giusto. Per questo l'ambulanza raccatta i pazzi. Ciriachi e Vennanziaspro si mettono a beffare. A cras, urlano quando escono per raccattare. Lo dicono ai dementi che guardano con occhi sbarrati e con la lingua in gola. A cras. Domani sarà il vostro turno.
VI
Nel Nilo pisciavano a cielo aperto gli ubriachi e De tormes se ne andò da Borgopio. Andò a vivere da un' altra parte di Ruén, nel nuovo quartiere dello Sturm und Drang.
VII
Al manicomio tenevano Gueneveu per quattro, cinque giorni, una settimana, un mese. Poi la rilasciavano. Una libertà provvisoria. Ciriachi e Vennanziaspro sapevano dove raccattarla, al Golém o alle ossidiane, in tempo di calura o di pioggia.
VIII
Ista atencionado a los esc1avos, fizo meo Sulmacco. Que la mucren la ischina che para la loro gana eo oco fora la monida da la istacca. Un parlare di cui si poteva ridere e che però era chiaro a tutti.
IX
Alle alture, Gravòs sonniava di Murat combattente in molte guerre. Guerre che gli servirono per affinare la rabbia e ingigantire idee, generatrici, diceva lui. Combatté molte guerre Murat e da tutte ritornò salvo, uccidendo il nemico e salvando molte vite.
X
Perso nelle alture, forse dimenticato da Sulmacco e persino dal compagno di ver_igo, Gravòs andava alla guerra come alla guerra. In quell' ora sghemba, Gravòs cantava il suo inno di battaglia e il fiume verde si trasformava in mare di colore aspro, acque che portavano pesci morti alla riva fangosa, anguille di bianco livido e aragoste con la corazza fradicia, oloturie arancione, con dentro polpa marcia, rancida e gialla di grasso immangiabile. Gravòs pencolava sul vuoto, nel punto di fissazione della vertigo che per giorni, mesi e anni aveva attirato i destinati a cadere.
Doro e Drisco, i gemelli banditi, erano stati attratti dal gorgo invisibile. Erano passati per il punto di fissazione prima di scivolare nel cono senza luce del loro tempo dovutosi fermare. Un cadere eterno, senza toccare mai il fondo, che gli riportava all'anima e a quanto restava del corpo, la loro ferinità inesplosa. Doro e Drisco erano finiti alle impalcature dopo una giovinezza sanguinaria nella banda di Lotario, bandito con il rosario che conosceva le preghiere e la dottrina più di qualunque prete della Trinità. Lotario da giovane, quando fu sposato con Argilla chiamata Leorminia, e Lotario da vecchio prima di finire con le sorelle Buy, significava sempre e comunque teste tagliate e ventri aperti, cavalli in corsa sfrenata nell'erba e nel giallo bruciato dei campi. Roghi e colonne di fumo. La ripetizione del tempo di Burgu. Nell' orda di Lotario il pio furono costrinti nani e gigantes, corti e lunghi, obbligati come i pueri hebraeorum a cantare la sequenza al Parac1ito durante la bardana e la terra bruciata.
Quando la banda fu dissolta, molti dei superstiti pendettero dalle forche della giustizia e chi come il nano Pristigàl fu salvato si dette a raccogliere i cadaveri durante le epidemie prima di finire al vecchio manicomio, nelle mani del medico torturatore. Altri invece non furono più sentiti nominare.
Doro e Drisco, i gemelli ferini dall' andare storpiato, mamutonesco, facce da vampiri sormontate da un berretto frigio di color rosso con la coccarda, apparvero un giorno a Sulmacco e chiesero di lavorare alle impalcature di Babele. Anni e anni prima, la banda di Lotario il pio era stata sterminata nella foresta del Tepi, nelle loro stesse tane ritenute fino ad allora inviolabili. La giustizia penetrò nel bosco sfidando l'impossibile, navigando il fiume verde nel tratto che lo permetteva, dislocando gli uomini alle poste e nei passaggi segreti, imponendo il silenzio come taglia. Parlare era come disertare. Bisognava acquattarsi, confondersi, identificarsi con il paesaggio e con le fiere, sapendo aspettare, imparando a ritrovarsi e riconoscersi, a non lasciarsi prendere dalla malia dei monti insani.
Quando finì la guerra, i soldati voltarono e rivoltarono i cadaveri dei nemici. Barbe nere, bianche e di rame, mastrucati ladroni senza più lo spirito, il volto ancora segnato con il ghigno della volpe. Non uno era stato colpito alle spalle. Tutti avevano una palla in fronte o il petto fracassato. I corpi fumavano ancora quando il fotografo fece mettere in posa i cacciatori.