All’interno di questa vittoria rivestono un’importanza eccezionale i risultati del Piemonte, perché confermano la lenta ma progressiva erosione (vedi Friuli e Trentino) dei consensi del centro destra nel profondo Nord; del Lazio, per l’obiettivo significato antileghista e antisecessionista che ha assunto il voto in quella regione e per la grave lacerazione che ha prodotto tra AN e FI; ma soprattutto della Puglia, principalmente, dal nostro punto di vista, per le modalità con cui si è affermata, tra le riserve e le resistenze della maggior parte dei quadri dirigenti del centro sinistra, la candidatura e la elezione di Niki Vendola.
Vendola, per la maggior parte delle segreterie del centro sinistra, corrispondeva esattamente al tipo di candidato che non poteva mai essere chiamato a battere il giovane antico Fitto in una grande regione meridionale: poeta e non imprenditore di successo, politico di razza e non espressione della società civile, cattocomunista con l’orecchino e non cattolicoperbene moderato, omosessuale pacatamente orgoglioso, e non prototipo del macho meridionale.
La vittoria di Niki Vendola dimostra da un lato che spesso gli individui che compongono le burocrazie dei partiti (quelli che De Gregori in una splendida canzone chiamava “avanzi di segreteria” e Sylos Labini in un famoso saggio “topi di formaggio”) impegnati, come sono, ad autopromuoversi, rinchiusi, come sono, nell’ambito angusto dei propri interessi anche economici, spinti, come sono, per autoconservarsi e difendere lo status economico-sociale raggiunto, più a controllare e imbrigliare che a liberare, sostenere e valorizzare le energie, le intelligenze, i movimenti che si agitano nella società, svolgono una funzione oggettivamente conservatrice rispetto agli equilibri di potere su cui prosperano e di cui sono espressione; dall’altro che un processo di rinnovamento che punti alla soluzione dei problemi attraverso l’allargamento della partecipazione cosciente e responsabile dei cittadini in tutti i momenti della costruzione del processo democratico, dalla individuazione delle candidature all’elaborazione dei programmi, dal governo effettivo al controllo dei singoli atti e comportamenti dei governanti, passa per la riduzione drastica del potere decisionale, appannaggio degli oligarchici gruppi dirigenti dei partiti.
Sarebbe, peraltro, utile indagare sulle modalità reali di formazione del ceto dirigente dei partiti attuali e verificare il grado di effettiva democraticità delle procedure.
Il risultato delle elezioni, proprio perché maturato in condizioni e con modalità diverse, al di là dello spontaneo entusiasmo per la vittoria del Centrosinistra, ci porta diritti al cuore della questione su cui vogliamo discutere: il rapporto tra il Nome e la Cosa, non in generale, ma qui e ora, poco prima delle elezioni del 9 e 10 maggio nella città di Nuoro che, ribattezzata da giornalisti particolarmente creativi cittadella, roccaforte, bastione rosso o del Centrosinistra, è stata, unica città capoluogo della Sardegna, amministrata da donne e uomini espressi dai partiti del Centrosinistra: DS, SDI, Margherita, PSd’Az., Verdi, Rifondazione, PDCI.
Si tratta cioè di verificare quanto il Nome (valori, ideali, programmi del centrosinistra) corrisponda e in che misura alla Cosa (comportamenti effettivi, realizzazioni, e atti concreti del centrosinistra), onde esprimere un giudizio sulle scelte operate dai vertici del Centrosinistra locale e regionale per le candidature in città e in provincia.
Se il Nome evoca partecipazione, impegno disinteressato, trasparenza, separazione tra ruolo dei partiti e amministrazione pubblica, valorizzazione delle competenze, coerenza tra enunciazione e azione politica e di governo, ci dobbiamo domandare se il comportamento effettivo (la verità effettuale della Cosa) del Sindaco ricandidato Zidda, del segretario della Margherita Deriu (auto) candidato Presidente della Provincia e dei partiti del Centrosinistra, corrisponde ai valori evocati dal Nome.
E allora, la pratica sfrenata delle nomine ben remunerate prescindendo o addirittura mortificando le competenze (Govossai, Pratosardo, ATP, ASI, etc. fino ai posti nelle commissioni consiliari), che cosa c’entra con l’impegno disinteressato e la partecipazione?
Il licenziamento proditorio e senza motivazione plausibile di assessori comunali operato dal sindaco su ordine di segretari di partito preoccupati solo di marginalizzare le proprie minoranze, che cosa c’entra con la separazione tra ruolo di partito e amministrazione?
L’adozione di marchingegni tecnico-amministrativi, pur legittimi, che hanno consentito al primo cittadino di Nuoro di garantirsi una lauta prebenda gravando in maniera abnorme sulle casse pubbliche, che cosa c’entra con lo spirito di servizio?
La mancata adozione del PUC, l’assenza di realizzazioni significative in materia di verde pubblico, risanamento e inclusione delle periferie nel tessuto complessivo della città che cosa c’entra con la coerenza tra enunciazione e azione concreta di governo?
La chiusura nei confronti degli operatori economici, delle associazioni culturali (vedi Consulta) e infine il no netto e arrogante di tutte le forze politiche, anche di quelle che per finta e tatticamente si erano dichiarate a favore, alle Primarie per la scelta delle candidature, che cosa c’entrano con il principio della partecipazione democratica?
Possono bastare gli appelli all’unità quando non è chiaro il rapporto tra il Nome e la Cosa? Si, abbiamo gioito alla notizia della vittoria del Centrosinistra nelle elezioni regionali del 10 e 11 aprile, e manifestato entusiasmo. Ma se solo pensiamo che alcuni dirigenti del Centrosinistra stesso, l’on. Soro, l’on. Cabras, il Presidente Soru, per citare solo quelli più illustri, hanno apertamente avallato o pesantemente lavorato perché alcuni tra coloro che hanno reso più evidente lo stacco, drammatico, tra il Nome e la Cosa, venissero chiamati a rappresentare, con il fardello pesantissimo della Cosa che si portano addosso, quel Nome onorato, orizzonte ideale di gran parte dei cittadini nuoresi, “qual moto allora, o qual pensiero verso te finalmente il cor m’assale? Non so se il riso o la pietà prevale”.
E in campagna elettorale li vedo già (il Presidente Soru ha già cominciato con largo anticipo richiamando alla ragione un gruppo di incompetenti sognatori illusi, che avevano avuto l’ingenuità di prenderlo sul serio) i sacerdoti dell’unità del Nome, gli apocalittici evocatori del pericolo della DESTRA (Capelli, Ladu, Tupponi?), i cantori delle “magnifiche sorti e progressive”de S’Ozastru, sfilare severi e solenni per chiamare a raccolta il popolo del Nome per far vincere la Cosa, quella brutta cosa.
E ci parleranno del 2006, di Berlusconi, di Annibale alle porte e ci prepareranno a farci sorbire, in vista delle prossime elezioni politiche, quei nostri senatori e deputati che avvolti nella gloriosa bandiera del Nome, hanno fatto passare la Cosa, quella brutta cosa. “È amaro questo miscuglio?
Ti abituerai, caro soldato, a berlo.”
E allora risuoneranno gli appelli al valore assoluto dell’Uni-tà del Nome a prescindere dal suo rapporto con la Cosa. Ma cosa è questa esaltazione, priva di contenuti, dell’unità in sé, se non un’autoritaria e antidemocratica reductio ad unum?
Ci resta solo la speranza, per avere l’opportunità di una scelta consapevole, che qualche rappresentante della “libera” stampa, appassionato di exismo, alla vigilia delle prossime elezioni politiche chiami a rispondere in pubblico presumibilmente (visti i risultati), come ex sostenitori o ex gestori (diretti o indiretti) di quella grandiosa opera di riscatto delle zone interne chiamata ACCORDO DI PROGRAMMA, i futuri candidati (gravati chi da due, chi da cinque, chi da sei legislature) al Parlamento nazionale.
E allora se, in questo caso, anche solo in questo caso, riusciranno a dimostrare che la COSA effettiva (ACCORDO DI PROGRAMMA), corrisponderà al NOME (VALORI del CENTROSINISTRA), risponderemo all’appello con lo stesso entusiasmo con cui abbiamo salutato la vittoria del Centrosinistra nelle elezioni del 10 e 11 aprile 2005.