Direttore, le scrivo per
chiederle un aiuto. Ma iniziamo con ordine.
“Erano i tempi giusti, pigri, avvolti di caldo e ozio. Cacciavo squali e
qualche volta gli squali cacciavano me. Loro però non ballavano il mambo al
Carioca né fumavano Trinidad Fundadores da venti dollari l’uno. Esattamente
come me.
Non fosse per le pinne e due arcate dentarie direi che ci assomigliavamo, gli
squali ed io.
Erano i tempi giusti, scanditi dal volo dei gabbiani, dall’alba sul mare, dai
sorrisi femminili. Gli spazi vuoti del tempo erano inferiori a quelli dello
stomaco e appena si avvertivano. Erano i tempi giusti, le giornate mai troppo
lunghe, il sole mai troppo caldo, la musica mai troppa. Una sola cosa turbava
l’ecosistema della mia perfetta esistenza, un tafano che mi ronzava
nell’orecchio e mi ripeteva, con una vocina untuosa e melliflua: me lo voti De
Rius?...”
Ciò che ha appena letto è il prologo della mia opera d’esordio intitolata
appunto “Me lo voti De Rius?”. Si tratta di un saggio storico con intrusioni
di fantapolitica e complicazioni Horror, che prende spunto dalle ultime note
vicende dello stato semilibero di Padellas, dove è ambientata la storia ed
esattamente dove Ella, come mi ripete continuamente, vorrebbe recarsi in veste
di turista, senza la moglie.
Il mio editore, Juan Canon è convinto che venderemo milioni di copie. È
rimasto folgorato dalla forza del racconto e ha proposto una forma editoriale
innovativa: tutte le pagine del libro saranno realizzate con un impasto di
cellulosa e un additivo in polvere che pare si produca in quantità da quelle
parti. La copertina sarà costituita da un'unica foglia di cannabis, un
arboscello tipico di quelle regioni, molto apprezzato in tipografia. Juan, col
suo linguaggio colorito non fa che ripetermi che almeno dieci milioni di copie
le spacciamo con la prima edizione. A me, francamente, pare esagerato, ma se lo
dice lui…
Ecco la trama, per sommi capi.
Va premesso, per una miglior comprensione dei fatti, che a Padellas vige una
consolidata e folcloristica usanza di stampo medioevale in forza della quale se
un qualsiasi politico ricopre una qualsiasi carica risarcita, alla scadenza del
mandato deve inevitabilmente essere riconfermato una seconda volta, minimo. Il
fatto, abbastanza inspiegabile, è stato ampiamente trattato dal politologo
Pedro Incespico Ecado, che ne attribuisce l’origine a certi culti arcaici, tra
i quali il Vodoo e gli interventi chirurgici filippini, fortemente radicati
nella società padellana.
Per quanto molto lontano dal nostro modo disinteressato e moderno d’intendere
la politica, non va dimenticato che Padellas è una regione dove progresso e
civiltà sono ancora un obiettivo da conquistare.
Dicevo, dunque, la trama.
Il presidente padellano Francisco Liqueros, alla scadenza del mandato di governo
da per certo che il suo partito “El Margherito padello” e le forze politiche
favorevoli lo riproporranno presidente per la seconda volta, come appunto è
d’uso fare in quel paese.
Peraltro, Liqueros ha governato bene, dando prova di sensibilità e modernità
(vale la pena ricordare, fra tante, la legge che favorisce la poligamia). Tutto
pare procedere secondo l’ordine prestabilito quand’ecco che il
vicepresidente del partito, nonché suo fidato compagno, Rubiz De Rius, giovane
apparentemente dedito alla scrittura, all’apparenza scaltro e ambizioso,
apparentemente cresciuto nel sottobosco margheriteno e all’apparenza
assuefatto agli intrighi della politica, ma sostanzialmente un ragazzo candido e
gioviale, mostra infine la vera faccia riformista e animato da sincero orgoglio
nazionale decide di rompere con la consuetudine per intraprendere l’irta
strada del rinnovamento e dell’emancipazione.
Il raggiungimento di tale obiettivo, è conscio, causerà lacrime e sangue ma,
per il bene della collettività e perché la storia insegna che dal buio
dell’ignoranza si esce lastricando il cammino d’innocenti, decide
d’immolarsi sulla via del progresso.
Risulteranno inutili tutti i tentativi compiuti per distoglierlo da tale
proposito, ivi compresa la promessa di farlo diventare un cantante rock. L’alcade
della città, El Zid, minaccia di darsi fuoco se qualcuno gli procura una tanica
di benzina, lo stesso Liqueros lo implora tra le lacrime di continuare a fare ciò
che ha fatto sino a quel momento, cioè nulla.
Ma De Ruius è irremovibile. Sa che sosterà sul grande palcoscenico della
storia e il sacrificio umano e politico cui è votato rappresenta nient’altro
che il giusto prezzo da pagare.
Anche il popolo protesta, ma sommessamente. Vive nell’intimo il più grave e
lacerante conflitto mai conosciuto e pur consapevole dell’immane sfida
lanciata da un solo piccolo uomo, anche se sovrappeso, la grandezza stessa
dell’impresa lo disorienta e lo inibisce.
Così, parlotta e commenta, protesta pur senza urlare, fa resistenza e digrigna
i denti. Non è maturo per gli eventi che incombono, soggiogato com’è dai
falsi profeti che predicano il perpetuarsi di una tradizione ingannevole. Valuta
De Rius un temerario sconsiderato, un incosciente votato al supplizio.
Ma il popolo, come si sa, è spesso bue, non si piega docilmente alle improvvise
inversioni della storia e sdegna i martiri in vita.
C’è, naturalmente, il solito colpo di scena inaspettato, come l’intervento
americano in Iraq.
Jò Carter Pillar, un uomo dal passato discutibile, un sovversivo agitatore di
masse, integralista e seguace dei Rosacroce, tenta un colpo di mano per
intorbidare le acque.
Inizialmente sostenuto da quel Ronin De La Soreria artefice della liberazione di
Padellas dalle servitù militari straniere e successivamente scaricato dallo
stesso, Carter Pillar, con un gruppo di fedelissimi ma senza esagerare, tenta di
rifare il verso a De Rius, montando una parodistica imitazione del suo agire a
livelli più bassi.
Ventila, così, la propria candidatura per sostituire l’alcade, dopo aver
lanciato inutilmente una stravagante sfida circa un altrettanto stravagante
confronto diretto e democratico tra aspiranti candidati. Nella sua idea, la
gente della strada avrebbe dovuto decidere tra i pretendenti alcades (non
potendo svilupparlo in questa sede per motivi di spazio, questo passaggio è
spiegato bene nel libro. È molto umoristico). Poi però si ritira e da metà
romanzo in poi di lui si perdono le tracce.
Non mi dilungo a raccontare ulteriori avvenimenti e colpi di scena che rendono
l’opera unica nel suo genere (il mio editore, col suo solito linguaggio
colorito, dice che è un libro da consumare a tiri) ma, come ho scritto in
apertura, le chiedo un aiuto, diciamo un favore da scrittore a scrittore. Ha
certamente potuto constatare, dal manoscritto che le ho inviato, che il libro
sarà stupefacente (non lo dico io ma lo sostiene con decisione Juan) e avrà
altresì notato come manchi la conclusione. Qui interviene Lei. La conclusione.
Come finire la storia? Posto che si argomenta di fatti in parte tratti dalla
cronaca padellana e in parte romanzati, vivo una forte perplessità circa
l’esito finale della vicenda di cui onestamente non immagino la conclusione.
Allora mi dia un aiuto: come è giusto chiudere la vicenda? che fine farà Rubiz?
Vincerà la sua battaglia pur nel martirio? soffrirà? lavorerà la nuda terra?
Dica lei, così poi io scrivo.
E in conclusione, direttore, una sola domanda: me lo vota De Rius?…
Attila Collodi
Note biografiche sull’autore.
Attila Collodi è giornalista, scrittore, commediografo. Nasce a San Gemini
negli anni cinquanta da Mercedes Calorica e Andronico Pellagra. Il nonno
paterno, Severino Besun noto pasticcere (lo si ricorda ancora per la galletta
tostata) trasmise al nipote la passione per i bignè e la scrittura. Lo stesso
bisnonno di Attila, padre di Severino, Learco De Amicis, fu un uomo di lettere.
Era infatti il postino del paese.
Attila iniziò ben presto a scrivere e a bere acqua minerale fin tanto che fu
notato da un vigile urbano mentre orinava dietro la bicicletta di un turista.
Multato sonoramente trasse da quella didattica esperienza il suo primo pezzo
giornalistico intitolato “meglio i turisti in macchina”.
È sposato e padre di una bella bambina, Cinzia Lamberti.