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Andando a maggio
 
Il popolo della sinistra nuorese va alle elezioni di maggio con uno strano spirito altalenante tra un pessimismo cupo fino allo sconforto assoluto e una fiducia crescente che cerca di nascondere quasi per scaramanzia. Il pessimismo e lo sconforto sono abbondantemente giustificati dai dati economici e dal quadro sociale.
La speranza è legata soltanto alla sensazione concreta, data dai risultati elettorali di aprile, che i pericoli di una navigazione berlusconiana, puntata decisamente verso le rocce, sono finalmente passati, o quasi, e che si prospettano per il futuro anni di lacrime e sangue, di sacrifici duri e pesanti, ma finalizzati a un risanamento possibile dei conti economici e a una pacificazione della società civile, per i quali varrà comunque la pena di battersi. In verità, anche questo stato d’animo è pericoloso, perché può portare a attese eccessive per una sinistra divisa come non mai, eterogenea al punto che ospita al suo interno non pochi elementi che darebbero quanto hanno per poter stare col nemico e hanno paura di vincere legati a un programma di sinistra.
Verranno poi, assieme alle nostre, le elezioni siciliane e, subito dopo, un referendum sulla maternità assistita che vinceremo certamente. A quel punto, noi poveri illusi di Sardigna Natzione cercheremo di convincere la gente sarda a votare il referendum sulle scorie industriali che ci stanno avvelenando, referendum di cui nessuno parlerà perché spaventa tutti gli italiani, già spaventati dalle prospettive elettorali.
Ma questo è solo un inciso.
In questo quadro è chiaro che AN e UDC hanno la sensazione angosciante di essere legati a un cadavere e cercano di disfarsene anticipando le elezioni e una scontata sconfitta elettorale, dalle quali sperano di uscire con le loro basi sociali recuperate, se non rasserenate.
L’alternativa è un altro anno da passare legati a un politico già morto, che gioca sulle prossime elezioni la sua sorte economica e politica e la propria personale libertà.
Se nelle elezioni di aprile, l’elettorato è sembrato distinguere tra Berlusconi e i suoi correi, un anno di abbraccio mortale, con l’economia a precipizio, i contratti che non si rinnovano, i prezzi insostenibili, la paura del futuro crescente tra i ragazzi, disoccupati o occupati con contratti servili, potrebbe portarli a condividere la condanna definitiva che si profila per il loro principale.
Si parla di un paio di ministri che saranno regalati ad AN e UDC per tenerli buoni, ma personalmente credo che sia un assestamento molto momentaneo che serve esclusivamente per le elezioni siciliane: la prospettiva spaventosa di perdere anche quelle nelle proporzioni di aprile può indurre i due partiti a fingere di accettare per contenere il disastro, ma, subito dopo, e dopo il referendum sulla maternità, ogni parvenza di collante salterà.
Il quadro è spaventoso per AN, che non avrà più alleati possibili, anche se attualmente parrebbe in una qualche sintonia con l’UDC, che è però un partito troppo democristiano per presentarsi da solo assieme ai fascisti, se non fagocitandoli al suo interno.
Ma la prospettiva spaventa anche i cosiddetti riformisti del centrosinistra, che si vedono già legati a governare secondo un programma a parer loro troppo di sinistra, per cui si fa sempre più evidente la loro ansia di chiamare a raccolta gli alleati naturali che stanno per ora sulla riva opposta, in modo da ingrossare il loro peso interno nel futuro governo, per bloccare ogni tentativo di cancellazione della legge 30, ogni pur timida presa di distanza dagli americani, ogni tendenza a una laicizzazione dello Stato, contro la quale hanno combattuto fieramente assieme dalle due sponde in tutti questi anni. La figura di Rutelli si definisce sempre più nei suoi appelli ai moderati, nella sua assicurazione che la legge Biagi (lui la chiama così) non sarà stravolta, che il sostegno alle nostre truppe non verrà meno e nelle sue assicurazioni al cavaliere, ribadite nella trasmissione Ballarò, della sua personale imperitura amicizia.
In questo quadro c’era spazio per la democrazia in Sardegna, nella nostra provincia?
Non scherziamo.
Quello che contava e conta è conquistare posizioni vantaggiose in vista delle battaglie imminenti del dopo Berlusconi. E quindi niente fastidiose primarie, niente inutili consultazioni popolari, dalle quali sarebbero potuti emergere nomi legati a una visione del mondo troppo pacifista, troppo egualitarista, troppo laica, magari comunista.
Un Vendola sardo, magari.
Per carità! La sola idea fa così paura che si è potuti arrivare ad accantonare un presidente, nell’insieme dignitoso, come il buon Licheri, per designare un Deriu, così indigesto a tutti i settori del centrosinistra che, se si fosse andati a uno straccio di primarie, non avrebbe raccolto neanche il gradimento di casa sua.
Bisogna votarlo comunque? Non c’è altra scelta, si dice. O di qua o di là. O Deriu o Silvestro Ladu, o Zidda o Capelli. Tutto il resto non esiste, è dispersione di voti, sono solo patetici individui frustrati in cerca di una rivalsa personale. Si dice.
La verità è che l’elettorato non è chiamato a scegliere, ma a ratificare, se vuole, o a restarsene a casa senza rompere le scatole. La verità è che la democrazia non è accantonata per la difficoltà del momento. L’accerchiamento poliziesco per negare la democrazia interna era un argomento di Lenin, maestro inconfessabile per i riformisti e per i comunisti pentiti, solo che mentre Lenin lo enunciava chiaramente e si appoggiava su non pochi dati oggettivi, i democratici di questi tempi sembrano aver fatto una scelta per sempre e il metodo di designazione delle candidature dall’esterno della società civile, nel chiuso di poche stanze private, sta diventando sistema.
Bisognava opporsi. Ma come? Dice qualcuno. In una società così disaggregata come la nostra, con i partiti scompaginati, i ragazzi privi di prospettive, il potere economico sempre più nelle mani avide di sempre più pochi, l’individuo non ha possibilità. Se sei fuori non conti. E così l’intera società civile si taglia fuori e non conta per paura di rimanere fuori e non contare. Quelli che avevano salutato Mariotto Segni come un salvatore della democrazia (Mariotto Segni!), che esultavano perché con il maggioritario si sarebbe vinta l’invadenza dei partiti e data voce alla società civile, non vedono che oggi come non mai comandano partiti privi di retroterra sociale, legati a interessi sempre più minuti, che esprimono uomini dall’orizzonte sempre più limitato ai beni propri e del proprio parentado?
Quelli che hanno visto nella elezione diretta del governatore della Regione la vittoria della democrazia e della volontà popolare, che hanno considerato la candidatura di Soru, ottenuta dopo tanti contrasti, l’affermazione della coscienza civile e hanno visto nella sua designazione da parte di Prodi e Fassino quasi una rassegnazione di Roma alla sconfitta, come giudicano quella vittoria oggi, che Soru rifiuta di riconoscere come sue le truppe che lo hanno accompagnato nel trionfo e si precipita anzi a sedarle, a invitarle a sciogliersi e a non disturbare il manovratore?
È parso per un poco che ci sarebbe stato un sussulto di orgoglio da parte della intelligenza nuorese, ma è stata l’impressione di un attimo. Gli intellettuali possono permettersi di combattere e perdere, ma i tecnici della politica non possono tagliarsi fuori dalle spartizioni dell’armistizio. Non solo. I ribelli si sono acconciati a formare altre liste civetta a sostegno del presidente e del sindaco designato, infoltendo il numero degli ascari in servizio.
In realtà, non è affatto vero che chi è fuori dai giochetti non conta. Non diventerà sindaco, presidente della Provincia, consigliere comunale o provinciale, come la stragrande maggioranza dei cittadini, ma non per questo smetterà di contare. Conterà un pochino più di prima, se non altro per se stessi e per la cerchia di persone che lo stimano, e, comunque, sempre più di chi non ha neanche voluto provare e promuove il disfattismo dicendo che era inutile combattere, che non c’è scelta possibile perché le liste sono troppe e il tutto si risolve in un gioco di cannibalismo individuale.
Anche questo non è vero. È possibile operare un’altra scelta. Anche perché le liste non sono troppe, a ben vedere: sono tante quanti sono i candidati presidenti e sindaci, anche se gli ascari sostengono di avere una propria fisionomia. E quindi è semplice, basta votare le liste che candidano presidenti e sindaci non designati dall’esterno, ma espressione della nostra società civile. E sono la lista Tupponi, alle comunali; alle provinciali Rifondazione Comunista, IRS e Sardigna Natzione. Chi voleva e vuole rompere il gioco perverso delle camarille, ha questa carta da giocare. Non ne ha altra. Non è vero che la prossima volta si faranno le primarie come non è vero che si tratta di scegliere tra Berlusconi e Prodi. Zidda e Deriu non sono Prodi, Capelli e Ladu non sono Berlusconi, ma funzionari dell’uno o dell’altro, e in qualche misura intercambiabili. Si deve pensare, poi, soprattutto a sinistra, che più che amministratori si stanno votando future potenze politiche, che si adopereranno con tutte le loro forze per perpetuare il metodo, o sistema, che li ha portati fin là e che sperano serva per andare oltre. L’unico modo per sperare che nel futuro si torni alla scelta democratica è farli perdere.
Già il solo pensiero della salivazione interrotta dei lupi che mancano la preda dovrebbe essere piacevole. Ma non c’è solo questo.
Si tratta anche di provare a esprimere uomini che si ricordino che la nostra è una società agropastorale e che tale deve rimanere se vuole rimanere se stessa.
Siamo tutti pastori, diceva un giorno qualcuno in una manifestazione a Gavoi per la lingua blu. Siamo tutti pastori e abbiamo i più bei pascoli del mediterraneo.
Proprio oggi che la nostra pastorizia tocca il punto più drammatico della sua lunga esperienza dobbiamo farne il centro di ogni ipotesi di sviluppo, riservando le nostre risorse alla infrastrutturazione delle campagne, agli stimoli per l’industrializzazione della agricoltura, agli studi per la promozione dei prodotti, al ritiro delle licenze stagionali ai non residenti nelle zone turistiche, a ogni forma di pressione perché in tutta la Sardegna si mangino e si bevano prodotti sardi. Non è certo cosa che farà chi proietta i propri sogni in tutt’altra direzione e non sa immaginare che turisti e mediazioni miliardarie.
Una società che non produce non potrà certo sopravvivere promuovendo simposi, inaugurando musei, spostando mercatini sotto le scuole, ficcando telecamere nei water, sproloquiando di vocazioni culturali, di azzardate Atene sarde e altre amenità.
In quanto alla solitudine, per finire.
Se non ci fossero stati nell’ottocento e nella prima metà del novecento, dai tempi dell’industrializzazione capitalista al fascismo, i sognatori solitari, derisi, perseguitati, che hanno continuato a predicare nel deserto, non avremmo avuto le conquiste sociali, che, oggi che siamo tutti saggi, stiamo perdendo.
Io spero proprio che ci siano sempre i matti solitari, i folli derisi, ostinati a predicare nel deserto incombente.
Quelli che sanno immaginare e pensare aldilà del conto della spesa sono gli unici realisti.
NUMERO /1
Anno 2005, n. 1
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