A
sei mesi dalla conclusione dell’esperienza amministrativa guidata dal sindaco
Mario Zidda una serie di polemiche hanno improvvisamente riportato
all’attenzione della città il tema dell’adozione del nuovo piano
urbanistico comunale. Le modalità di svolgimento della discussione e il tono
della maggior parte degli interventi autorizzano a pensare che difficilmente il
PUC sara approvato entro la prossima primavera. Ci si attendeva una discussione,
anche polemica, su aspetti specifici della bozza preliminare di piano redatta
dall’Arch. Portoghesi e invece scopriamo che ad essere in discussione sono gli
aspetti riguardanti gli indirizzi generali, quelli che il consiglio comunale
dovrebbe aver dato al progettista già nel gennaio del 2003.
La
stessa bozza preliminare è stata consegnata all’amministrazione nel novembre
del 2003. Ad un anno di distanza la discussione sembra ancora lontana dal
trovare fine. Diverse amministrazioni e consigli comunali si sono
confrontati sugli indirizzi da porre alla base del nuovo piano. La prima
considerazione che viene da fare, soprattutto nel rileggere i documenti che dal
1993 ad oggi hanno cercato di fornire gli indirizzi per la redazione del PUC, è
che i vari documenti di indirizzo
pur contenendo differenze su alcuni punti anche importanti, non presentano
differenze nell’impostazione generale tali da giustificare il ritardo attuale.
Al
di là di ogni intendimento polemico non si può non sottolineare che quattro
anni di lavoro per arrivare a una bozza preliminare, che peraltro sembra non
godere di ampia condivisione, sono davvero troppi, soprattutto se si tiene conto
che non ci sono novità sostanziali rispetto ai documenti precedenti e neppure
rispetto a quelle che erano le indicazioni contenute nel programma elettorale
di questa maggioranza, o viste le prese di distanza, di una parte della
maggioranza. E sono troppi in relazione alle dinamiche sociali ed economiche che
non attendono i tempi lunghi della politica. La città non è rimasta ferma; ha
subito evoluzioni e cambiamenti e quasi tutti di segno negativo. Si pensi, ad
esempio, al dato allarmante dello spopolamento costante e progressivo della città,
alla crisi economica che sta da anni interessando Nuoro e le zone interne, alla
crisi perenne dell’area industriale di Ottana, o alle tantissime imprese e
attività che in questi hanno vissuto un travaglio profondo.
Si
potevano utilizzare questi quattro anni per approfondire l’analisi sulle
dinamiche di questi cambiamenti su cosa sta accadendo e per proporre,
nell’ambito di quello che sarà lo strumento principale per disegnare il
futuro della città, qualche elemento innovativo.
Purtroppo
non sembra che questo sia successo e paradossalmente(?) la discussione sembra
incentrarsi su un unico grande nodo: costruire o no seconde case sul Monte
Ortobene.
Il
Monte rappresenta per questa città non solo una risorsa ambientale unica ma
anche una grande opportunità economica che può dispiegarsi pienamente solo se
non lo si nega come risorsa ambientale.
Francamente
si stenta a credere che ci siano ancora forze politiche o singoli consiglieri
che possano ragionevolmente sostenere che esistono condizioni per proporre
interventi di edificazione estensiva.
È
una risorsa che occorre difendere puntando al completamento dell’acquisizione
della maggior parte delle aree per poter rendere la
tutela di questo patrimonio forte e sicura.
Occorre,
inoltre, porsi il problema della valorizzazione turistica ma appare difficile
credere che tale azione di valorizzazione possa realmente svilupparsi attraverso
l’incentivazione delle seconde case.
È,
infatti, sufficiente guardare il livello di utilizzo delle case già
esistenti per rendersi conto che un modello di questo tipo non regge.
La
valorizzazione di questa risorsa deve essere perseguita attraverso una politica
mirata a interventi di recupero e riconversione di diverse strutture oggi
presenti sul Monte (Farcana, Solotti, ex Esit, strutture di Sedda Ortai etc).
In
questa prospettiva è sicuramente necessario pensare al coinvolgimento diretto
del privato e possono essere valutati interventi di urbanistica contrattata che
prevedano autorizzazioni alla realizzazione diretta di strutture di interesse
pubblico da parte del privato a fronte di cessione di aree; in questo modo è
possibile ottenere insieme il coinvolgimento dei privati nella realizzazione
degli interventi e nella loro futura gestione e la realizzazione di investimenti
legati all’idea di un turismo di qualità. La
discussione vera sarebbe dovuta essere, allora, incentrata sugli strumenti
operativi con cui realizzare gli obiettivi di valorizzazione e il coinvolgimento
dei privati.
Chiarita,
(ma era davvero necessario?) la questione Monte Ortobene vogliamo provare a
proporre alcune riflessioni su alcuni punti contenuti nella bozza preliminare
dell’architetto Portoghesi.
Confini:
Viste
le dinamiche demografiche e quelle economiche e sociali di cui abbiamo prima
parlato è assurdo anche solo ipotizzare una politica che dia un ulteriore
spinta al consumo selvaggio ed anarchico del territorio avutosi negli ultimi
decenni. In questa ottica la riaffermazione del concetto di “città murata” ovvero l’individuazione di un limite per
lo sviluppo urbano di questa città appare corretta e appare ragionevole
limitare l’area di sviluppo urbano utilizzando la circonvallazione come
limite. Non si tratta, quindi, di porre un freno all’attività edilizia ma di
razionalizzare l’utilizzo delle risorse economiche pubbliche e private. Le
risorse disponibili non sono sovrabbondanti ed è logico pensare di utilizzarle
al meglio per cercare di qualificare e migliorare la città consolidata.
Centro storico:
Per
consolidare la città è naturale partire dal suo centro storico. Occorrono
interventi mirati che attraverso una revisione
degli strumenti attuativi ora vigenti si pongano il duplice problema del
recupero e della conservazione da un lato e della rivitalizzazione dall’altro.
La
conservazione non la si raggiunge con la semplice politica del vincolo ma con un
disegno organico che punta alla qualità e alla compatibilità degli interventi
di recupero piuttosto che al puro aspetto tecnico pur importante dei metri cubi
e degli indici.
La
rivitalizzazione richiede un intervento organico dell’amministrazione comunale
per sostenere un disegno di recupero di una risorsa importante qual è deve
essere il centro storico. Questo è possibile attraverso la predisposizione di
una serie di piani attuativi che riguardino il piano del colore e dei materiali,
l’arredo urbano, la realizzazione di percorsi mussali e culturali. Occorre,
inoltre, ragionare sulle attività che possono essere collocate nel centro storico pensando in
termini di compatibilità con il tessuto urbano in relazione ai problemi
connessi con il traffico e con gli altri aspetti ambientali. Per lavorare in
maniera seria occorrerebbe disporre di dati seri sul n° di unità edilizie
attualmente abbandonate e sulla
loro collocazione e da questo dato si può partire per predisporre i piani
attuativi che servono.
Nella
bozza preliminare dell’Arch. Portoghesi non del tutto chiara appare la
suddivisione in della zona A in due sub-zone A1 e A2; in un piano attuativo le
modalità di intervento (scelte tra quelle ritenute ammissibili) vanno indicate
per ogni singola unità edilizia, distinguere tra una zona in cui la modalità
d’intervento non consente la sostituzione edilizia (demolizione e rifacimento
non conservativo) e una in cui tale intervento è consentito non appare una
scelta sostenuta da argomenti solidi.
Zone
B:
L’
obiettivo principale di un PUC non può che essere quello di adottare indirizzi
e misure concrete tese a rendere più razionale e anche un po’ più bella la
città. Se questo è l’obiettivo non è possibile pensare di raggiungerlo
senza intervenire sulle zone B che rappresentano una parte vasta della città.
Non
è possibile pensare che il governo degli interventi possibili in queste aree
sia affidato, pur in piena legittimità, all’iniziativa del privato senza
pensare alla necessità di armonizzare gli interventi nell’intera zona B.
Il
problema non è solo di indici ma di predisporre piani di armonizzazione che
consentano di salvaguardare la vivibilità di queste aree della città.
Per
conseguire questo risultato non è sufficiente il ricorso alla semplice
zonizzazione ma servono strumenti attuativi che riguardino i comparti (se
vogliamo è meglio chiamarli quartieri). Questo con lo scopo di utilizzare gli
interventi possibili per unire e armonizzare al meglio la città conservando i
segni della sua storia più recente. Insomma dobbiamo cercare di far prevalere
su interessi particolari l’interesse generale a riorganizzare
e abbellire questa città.
Per
questo servono piani attuativi per utilizzare le volumetrie residue secondo un
disegno razionale ed organico ma anche per definire l’arredo urbano, per
razionalizzare i servizi, per migliorare la qualità urbana nel suo complesso.
Zone
C:
Anche
le indicazioni relative alle zone C contenute nella relazione generale di
accompagnamento di questa bozza preliminare contengono alcuni elementi che
lasciano perplessi.
Difficile
comprendere la ratio che porta il progettista a inserire nelle zone C seppur
come sub-zone soggette a normativa ad hoc le aree interessate da fenomeni di
abusivismo di Testimonzos, Corte e altre. Si poteva comprendere l’inserimento
dell’area all’interno della circonvallazione, ma non
le aree esterne.
Ha
senso riproporre lotti minimi da 5000 metri o di 7500 metri?
Non
sarebbe più corretto intanto distinguere le aree interne alla circonvallazione
da quelle esterne e decidere che si adotta un piano di risanamento che tratta in
maniera diversa le due aree: le prime come aree da sottoporre a piano di
risanamento a totale carico dei privati con una volumetria complessiva assegnata
con indicazioni non premianti sulle aree di cessione e le seconde da trattare
sempre con lo strumento del piano di risanamento ma tenendo conto che si tratta
di agro cioè di zone E.
Altro
elemento di perplessità è rappresentato dall’inserimento, nella zona
antistante l’ospedale San Francesco, di un area fabbricabile che si inserisce
per buona parte all’interno della pineta di Ugolio.
Zone
D:
Non
ci sono elementi di novità apprezzabili rispetto alle varie bozze sinora
circolate. Forse su questo punto sarebbe opportuno riflettere sull’esigenza di
individuare una collocazione adatta a quei servizi indicati nella stessa
relazione (parco tecnologico, consorzio servizi di vario tipo etc.)
Occorre
ragionare su un ipotesi più concreta di localizzazione di servizi per vedere
dove si vogliono collocare concretamente nel territorio.
Zone
E:
L’agro
va considerato come una grande risorsa economica ed ambientale di questa città
da valorizzare e salvaguardare. Non sono i metri quadri o i metri cubi che
possono realizzare un efficace azione di tutela e di sviluppo ma l’adozione di
piani di valorizzazione agricola e colturale, la scelta e il recupero di
tipologie architettoniche e di materiali tipici della nostra cultura e
soprattutto ponendo fine alla proliferazione del precario e del non finito che
crea, questa si, un grave danno ambientale. Costruire in maniera compatibile,
rispettando la destinazione d’uso (strutture appoggio e strutture legate
all’attività agricola e all’allevamento) e rispettando il paesaggio
significa valorizzare l’ambiente.
In
questo contesto si possono dare risposte alle vocazioni di molti cittadini per
l’attività agricola come hobby o come fonte di integrazione del reddito.
Per
completare la riqualificazione di questa città (perché quello della
riqualificazione deve essere il tratto identificativo del nuovo PUC) una
riflessione a parte richiede il completamento e l’organizzazione di un sistema
di parchi.
È
corretto pensare di affrontare questo problema con lo strumento
dell’urbanistica contrattata. Pensiamo in questi termini: ai privati è
possibile concedere volumi per residenze e servizi se si impegnano non solo a
cedere le aree da destinare alla realizzazione di parchi e giardini urbani ma
anche a infrastrutturarle con le dotazioni minime necessarie per renderle
fruibili dalla città.
In
questo modo è possibile far si che lo strumento dell’urbanistica contrattata
sia visto dalla città come un modo per realizzare finalità di interesse
collettivo.
Un
ultima considerazione.
A
leggere la relazione istruttoria redatta dall’ufficio tecnico comunale su
questa bozza preliminare di piano colpisce l’evidenziazione di una grande
quantità di inesattezze e di imprecisioni (errori?) che accompagnano la
cartografia di piano. Per un preliminare potrebbe essere visto come dato
fisiologico ma se si considera che questo preliminare è in gestazione da 10
anni il livello di imprecisione assume un aspetto preoccupante: quanto ci vorrà
per eliminare le imprecisioni e gli errori se dieci anni non sono stati
sufficienti?
In
conclusione l’auspicio e l’appello che va rivolto agli attuali
amministratori è quello di uscire finalmente da schermaglie che creano cortine
fumogene intorno ai veri problemi, si faccio uno sforzo serio per concentrarsi
sul merito dei problemi. Si discuta, si polemizzi, ci si divida ma su problemi
veri. Si lavori, insomma, perché questa città abbia finalmente lo strumento
urbanistico adeguato che insegue e attende da troppo tempo nella speranza che
questo freni le pressioni speculative che in questi anni hanno di fatto dettato
le regole urbanistiche in questa città.