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Regione:quale democrazia
 
Nei prossimi mesi il Consiglio regionale dovrà affrontare la complessa partita della riforma della Regione. L’obiettivo è talmente ampio e articolato da risultare per molti fumoso e utopistico. È bene chiarire sin dal principio che la riforma non si realizza con un’unica legge, ma con un sistema di leggi di diversa natura e complessità. In questa sede mi limiterò ad esplicitare aspetti parziali e poco dibattuti della riforma, con lo scopo di informare su contenuti spesso dimenticati. Niente di esaustivo, né di politico in senso stretto (autonomia, libertà, partecipazione ecc.), semmai qualcosa che sia utile ad istruire la pratica delle decisioni che dovremo prendere.
Un primo gruppo di leggi riguarda direttamente il tipo di democrazia che vorremo darci. Esso è costituito dalla legge elettorale, dalla legge sulla forma di governo e infine dalla legge di organizzazione delle competenze all’interno della Giunta regionale.
La legge elettorale, al di là di quanto molti ritengono, non è un dispositivo tecnico di traduzione dei voti in seggi, ma ha un’incidenza altissima sulle reali possibilità di partecipazione della gente alla formazione delle leggi e alle decisioni del governo.
Tra le prime scelte da operare vi è quella tra il metodo proporzionale e quello maggioritario e tra il sistema presidenzialista e quello parlamentare. Occorrerà dunque decidere se il Presidente della Giunta dovrà essere eletto direttamente dal popolo – come avviene attualmente - o dal Consiglio regionale. Il problema, non solo in questo caso, è che la discussione non è solo teorica, ma deve tener conto degli orientamenti ormai maturi nell’opinione pubblica. Per esempio, sebbene il sistema parlamentarista sia il più coerente con la tradizione democratica e riformista non si può non ammettere che nell’opinione pubblica è largamente maggioritaria l’opinione di quanti ritengono giusto che il Presidente della Giunta sia eletto direttamente dal popolo e che, qualora decada o si dimetta, determini lo scioglimento del Consiglio.
Vi è poi la necessità di garantire la governabilità, e quindi di dotare la coalizione del Presidente vincente di una congrua maggioranza consiliare. Si tratta del cosiddetto premio di maggioranza che però, è bene dirlo, scatta a discapito delle minoranze perdenti, con un chiaro difetto di democrazia cui occorrerà in qualche modo porre rimedio.
La questione dell’equilibrio della rappresentanza dei territori è un altro tema che merita qualche approfondimento.
Se il criterio di assegnazione dei seggi rimane quello legato esclusivamente alla consistenza della popolazione, è chiaro che tutta la fascia centrale della Sardegna conterà sempre meno delle aree urbane del nord e del sud dell’isola. Si riprodurrebbe così a distanza di secoli ciò che accadeva nella Sardegna del XVI-XVII secolo quando tutta la Sardegna era impegnata a sostenere le dinamiche e le ambizioni di Sassari e Cagliari.
Per evitare questa distorsione, occorrerà correggere il parametro della popolazione in modo da non svantaggiare i territori maggiormente interessati dall’emigrazione e dallo spopolamento. Ultimo problema è quello della permanenza o no del listino regionale e del mantenimento della preferenza unica oppure no. L’orientamento generale è quello di abolire il listino per aumentare il numero dei seggi attribuito nei collegi provinciali e quindi rendere più probabile che ogni territorio della Sardegna abbia un suo rappresentante. Non è da escludere che si passi da una a due preferenze e che si adotti un sistema proporzionale con premio di maggioranza.
La legge sulla forma di governo disciplinerà il rapporto tra il Presidente della Giunta e il Consiglio regionale, o per lo meno questa ne sarà la parte saliente. Occorrerà decidere se mantenere in capo al Presidente, come è attualmente, il potere di nomina e di revoca degli assessori e, in caso affermativo, bisognerà regolamentare la collegialità della Giunta, garantendo gli ambiti di autonomia dei singoli assessori e le modalità operative della collegialità, assicurando comunque al Presidente il diritto-dovere della responsabilità della conduzione del governo regionale. In sostanza si dovrà evitare che la Giunta si trasformi o in un organo monocratico allargato o in un rissoso organo collegiale che non risponde a colui che lo nomina.
Sul versante dei rapporti tra la Giunta e il Consiglio, sono due i temi di dibattito: il voto di fiducia e il voto di sfiducia. Con il Presidente eletto dal popolo e che nomina la sua Giunta, il Consiglio non si pronuncia sul programma di governo che coincide col programma elettorale a suo tempo depositato.
C’è però chi sostiene che il Presidente debba comunque recarsi dinanzi al Consiglio per illustrare la composizione della Giunta e spiegare come e perché la giunta così composta sia la migliore possibile per la realizzazione del programma elettorale.
L’eventuale voto contrario del Consiglio sulla composizione della Giunta non comporterebbe niente di concreto, ma suonerebbe soltanto come crisi di rapporti tra il presidente e la sua maggioranza. Il voto di sfiducia, invece, è già previsto dalla nostra Costituzione e comporta la decadenza del Presidente e lo scioglimento del Consiglio.
È un istituto estremo che serve a censurare atti o comportamenti del Presidente così gravi da pregiudicare le istituzioni o da alterare il patto elettorale della coalizione che lo sostiene. Si discute, invece, se inserire in legge oppure no, il voto di sfiducia a singoli assessori. Infine resta la grande questione della disciplina delle dimissioni del Presidente della Giunta.
È evidente che la facoltà di sciogliere il Consiglio dimettendosi, colloca il Presidente della Giunta in una posizione di gran vantaggio e lo protegge dalle turbolenze politiche dell’Assemblea, ma al tempo stesso lo rafforza a tal punto da poter comprimere la dialettica parlamentare e trasformare il Consiglio in un organo “obbligato” ad approvare l’operato del Presidente. Per evitare questi eccessi si discute sul come normare lo scioglimento in caso di dimissioni, in modo da far emergere il contenuto politico dello scioglimento dell’Assemblea e aumentare la visibilità della responsabilità della chiusura anticipata della legislatura. Onde evitare polemiche, è bene chiarire che questa legge, come quella elettorale, saranno vigenti, una volta approvate, a partire dalla prossima legislatura.
Il terzo provvedimento collegato ai due precedenti è la riforma della struttura della Giunta. Si tratta di decidere quanti assessorati prevedere e con quali funzioni, in modo da rendere più efficace l’azione di governo. Sarà una legge molto tecnica ma anche molto delicata perché comporterà una profonda ristrutturazione della macchina amministrativa della Regione. Per esempio si tratta di unire le competenze delle politiche per lo sviluppo in un unico assessorato, portare dentro la Presidenza della Giunta tutte le funzioni direttive e di governo della Regione, riunire nell’assessorato dell’Ambiente le competenze sul paesaggio, creare il dipartimento della formazione e della ricerca ecc. ecc.
Tutto questo verrà fatto dal Consiglio regionale. Resta la parte più difficile e complessa: la riscrittura dello Statuto per quel che riguarda i rapporti tra la Regione e gli Enti locali e tra la Regione e lo Stato.
Di questo parlerò nel prossimo intervento.
1ª parte
NUMERO /3
Anno 2004, n. 3
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