Attivando il dispositivo dell’aforisma, egli non di rado esprimeva così tutta la sua insofferenza davanti all’irrefrenabile attivismo e arrivismo di quegli scrittori (più o meno militanti) che con la sicumera e la baldanza delle mosche cocchiere sparavano le loro inossidabili verità contro tutto e contro tutti.
Ancora Flaiano dal Diario degli errori: «Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l’errore e il contrario di un errore fosse la verità.
Oggi una verità può avere per contrario un’altra verità, altrettanto valida, e un errore un altro errore».
Flaiano, devo essere sincero, mi sovviene ogniqualvolta in Sardegna si accende inopinatamente la miccia della polemica sterile e astratta. Ogniqualvolta qualche scrittore nostrano legittimato dalle “sacre” leggi del mercato (che a certuni piace solo quando conviene), con temerarietà dannunziana si autoproclama Vate della modernità e del successo, e rivendica il ruolo di nuova avanguardia dell’antagonismo isolano sulla strada dell’autodeterminazione del popolo sardo. Rimango basito.
Tutto il resto, infatti, sarebbe conservazione, conformismo, vecchiume, corruzione e disonestà intellettuale. Io rispondo: niente di più vecchio, niente di più conformistico, niente di più pericoloso di un’analisi riduttiva e semplicistica che non ha in sé il dono del discernimento e non porta un contributo concreto e responsabile alla discussione.
A chi giova questa semplificazione e questa generalizzazione? A chi giova sparare sul mucchio? I nostri maestri, molti di consolidata cultura umanistica (più di uno facente parte del tanto vituperato universo accademico), e qualche commentatore liberale, ci hanno insegnato che vis polemica e mentalità costruttiva non si elidono a vicenda, ma che al contrario possono coesistere a patto che la volontà distruttiva non prevalga, oscurandola, sulla volontà di comprensione e di giudizio applicata a persone, cose e situazioni.
Per altro si sa che la polemica distruttiva, per sua natura astratta e sterile, al confronto serio e costruttivo predilige l’intervento che sviluppa cortocircuiti, perché sa che dal black out (come dall’eccesso di rumore) si ridetermina il silenzio, il silenzio della ragione.
È una legge della tanto evocata comunicazione. Una legge di chi non sa o, peggio, non vuole comunicare. Mi chiedo, perché si agisce così? Sono sprovveduti? Solo in parte. I loro interventi hanno alcuni presupposti fallaci e un obiettivo più o meno palese. Forse è opportuno smascherarli. In primo luogo bisognerebbe parlare di personal marketing. È una pratica antica di autopromozione, molto usata dagli scrittori.
Consiste in una frenetica presenza sui giornali, nei dibattiti, nelle feste, in tutti i luoghi dove si può parlare e/o vendere un libro. I risultati, se si agisce con disciplina e costanza, non tardano a venire. Contemporaneamente si cresce in popolarità.
Fin qui niente di male. Capita però che in chi vende maturi progressivamente la convinzione di essere non solo bravo a promuoversi, ma anche di aver acquisito titoli per pontificare. Da venditore a Vate. Questo è il primo passo della patologia dello scrittore, che può non fermarsi qui, giacché un tempo evolveva verso il Padre della patria. Il riconoscimento però non è venuto e allora la strategia è divenuta politica.
Ma questa non è cultura, né marketing, è semplicemente un esercizio di prepotenza, garantita dalla protezione del nuovo Principe.