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Più che militari, sono servitù nucleari
 
Il 21 ottobre il presidente Renato Soru si è recato in visita presso l’isola di La Maddalena per ribadire ciò che era specificato nel programma della coalizione di centrosinistra “Sardegna insieme”: «Lo sviluppo che proponiamo è incompatibile con l’ipotesi di destinare siti nell’isola a deposito di scorie radioattive o tossiche, né a rifiuti provenienti dall’esterno, ma neanche alla permanenza di basi militari per natanti a propulsione atomica come la Maddalena. Non si può neanche ignorare la sottrazione di intere zone pregiate come quella di Teulada per massacrarle con esercitazioni militari che, oltrettutto, minacciano la sicurezza dei cittadini», (vedi 20° punto della sintesi del programma della coalizione di “Sardegna Insieme” pubblicato da “l’Unione Sarda” del 9 giugno 1994, pag. 11).
Ha detto, con parole cordiali ma ferme, quello che la maggioranza dei sardi pensa da tempo: la Sardegna ha fatto la sua parte, è ora che altre regioni si facciano carico dell’onere rappresentato dalla presenza di basi militari con presenza rilevante di armamenti atomici.
Nessuna motivazione pregiudiziale o antiamericana: semplicemente, una richiesta che mira a far pesare l’opinione di cittadini che non vogliono rischiare le devastanti conseguenze per la loro salute e per l’ambiente derivanti da eventuali incidenti dei sommergibili nucleari (già nel 1981 il ministro Lagorio promise che il 60% delle servitù militari sarde sarebbero state eliminate).
Da tutto questo è derivata la necessità di rendere pubblico il patto segreto che fece nascere la base americana a Santo Stefano e del ripensamento del-l’esistenza del poligono di Teulada, che deve essere dismesso sulla base dell’intesa del 1987 tra Mario Melis e il ministro della Difesa di allora Spadolini (sempre il compianto presidente Melis in un’intervista ad Alberto Statera su “La Nuova Sardegna” del 7 ottobre 1984 aveva dichiarato che non era più possibile che i sommergibili americani imperversassero nelle acque isolane, mentre nel gennaio 1986 aveva presentato un ricorso presso il TAR contro il presidente degli Stati Uniti Reagan come protesta per l’ennesimo allargamento della base di La Maddalena).
Il 21 ottobre si è dunque riproposto con forza il problema, oramai improrogabile se si pensa che la Sardegna ha circa il 60% delle servitù militari (38 mila ettari) di tutta l’Italia, sottratti, ricordiamoci, alla libera fruizione della collettività (il Friuli, che sta già avviando opere di dismissione delle proprie servitù, ne ha per circa 6 mila ettari), e che la questione rischia di essere ulteriormente aggravata dalla prospettiva dell’aumento, sino a 4000, della presenza dei militari americani e dalla costruzione di nuove infrastrutture in appoggio alle navi appoggio come la “Emory S. Land”.
L’ex sindaco di La Maddalena, Giuseppe Delizia (definito anni fa da Giovanni Lilliu “sindaco degli americani”), nell’appoggiare l’iniziativa di Soru, ha ammesso in un’intervista a pagina 10 del “Giornale di Sardegna” del 23 ottobre che la marina italiana oramai si sta ritirando, avendo già trasferito l’Ammiragliato, e che stanno cadendo le ragioni economiche in termini occupazionali che avevano giustificato l’installazione della base, per cui è meglio puntare sul turismo.
Se anche il sindaco che caldeggiò apertamente la base di Santo Stefano si dichiara oramai convinto dell’inutilità di questa struttura, anche per ragioni di sviluppo e di prospettive di occupazione, appare francamente privo di fondamento il richiamo alla tutela dei posti di lavoro di chi lavora per le basi americane da parte di chi osteggia l’iniziativa della giunta.
Inoltre, dalla vicenda di La Maddalena si può trarre un esempio molto utile anche intorno a tutte quelle stantie discussioni sull’antiamericanismo che vediamo utilizzate strumentalmente in televisione contro chi ritiene che la democrazia e la politica internazionale si debbano rimodellare sotto una luce diversa che non può riproporre gli schemi propri della guerra fredda (periodo durante il quale, giusto per ricordarlo, molti dei nostrani cantori del presidente Bush appoggiavano fideisticamente l’Unione Sovietica).
Nella lotta al terrorismo, più che di basi per sommergibili, c’è bisogno di operazioni mirate e coordinate tra le intelligenze dei paesi che si oppongono alla sanguinosa strategia di Al Qaeda; c’è bisogno, insomma di meno unilateralismo e di più cooperazione internazionale, partendo magari dall’arresto e dal sequestro delle risorse finanziarie che servono per organizzare gli attentati terroristici. E, soprattutto, il discorso si colloca all’interno di quel processo di ridistribuzione del potere politico mondiale in cui, seppur faticosamente, l’Europa, per le potenzialità economiche, demografiche e culturali, è destinata a ricoprire un ruolo di assoluta protagonista. La guerra fredda è finita e sono altre le sfide che attendono l’umanità.
La questione ambientale e la tutela di questo pianeta è uno di questi problemi: la presenza di sottomarini nucleari in posti splendidi come le acque dell’arcipelago di La Maddalena è un rischio in tal senso? Certamente si (e ne abbiamo corso uno serio alcuni mesi fa, di cui oltrettutto abbiamo saputo solo attraverso la stampa americana).
A proposito, si è letta sui giornali di fine ottobre la notizia che il soldato Marco Diana, il militare sardo affetto da tumore generato dalla contaminazione da uranio impoverito, che da tempo si batte perché i soldati con la sua stessa malattia abbiano riconosciuti i diritti che l’amministrazione statale ha sempre negato, ha intenzione di lasciarsi morire di fronte a Palazzo Chigi con indosso la sua divisa.
Questa è una vera vergogna, perché non è ammissibile che dei ragazzi che si sono impegnati per mesi in zone martoriate dalla guerra come i Balcani per riportare almeno un barlume di tranquillità ai civili vengano dimenticati in maniera così esplicita. Non è che anche in questo caso passa la logica che dice che il buon stipendio di una missione all’estero può far passare in secondo piano gli eventuali rischi per la salute dovute a gravi lacune nelle protezioni dei soldati?
Ha colpito nel segno Michael Moore quando ci ha fatto vedere in “Fahrenheit 9/11”, insieme alla critica della politica dell’amministrazione Bush e del ruolo fuorviante e mistificatorio dei mass media, come i giovani soldati servono solo per la retorica o per giustificare le peggiori azioni della politica di un pessimo governo che ha infangato il nome di una grande democrazia, per venire poi dimenticati quando muoiono o tornano a casa con le ferite e le lacerazioni psicologiche che ogni guerra comporta.
Se il presidente Soru ha intenzione di stupire e convincere ancora in positivo (come è capitato in questi primi mesi di lavoro della giunta) tutti quegli elettori e militanti del centro-sinistra, a partire da chi scrive, che a giugno lo votarono con molto scetticismo, schieri con decisione e per quanto possibile la sua giunta e la coalizione vicino a questi ragazzi e li faccia sentire meno soli.
NUMERO /3
Anno 2004, n. 3
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