La forte mobilitazione di questi mesi, a difesa della scuola pubblica e della sua qualità, ha coinvolto genitori e collegi dei docenti.
Il 15 novembre la scuola scende in sciopero contro le politiche scolastiche del Governo.
Si è arrivati ad un punto ormai insostenibile: i decreti ministeriali, andando oltre il mandato attribuito loro dalla L. 53/03, stanno originando, in fase operativa, contraddizioni di carattere organizzativo e gestionale, che portano spesso alla paralisi.
Che il mondo della scuola non stia attraversando un buon momento è sotto gli occhi di tutti. Ma siamo di fronte a una perdita di senso generale: una legge mal pensata è ora gestita peggio.
All’illusione di una navigazione a vista, che non ci lasciava assolutamente tranquilli, ora sopraggiunge la consapevolezza di aver fatto dono, ingenuamente, della funzionalità del senso visivo.
L’allarme dei genitori è ben motivato: sono i loro figli che rischiano grosso in questa temperie. I loro incontri si fanno sempre più partecipati e frequenti: vogliono capire.
Le promesse mediatiche del ministro non trovano riscontro nella realtà. Nelle discussioni mettono a confronto l’ieri e l’oggi. Assumono posizione negli organi di stampa e parlano già di inganno.
- “Alla sottrazione delle certezze sono subentrate le incertezze in campo organizzativo e didattico” - dicono. Si prende atto che questo Governo, dai sorrisi smaglianti e dal religioso ottimismo verbale, ha dichiarato guerra su tutti i fronti alla sindrome della certezza, valore non più di moda nell’era della globalizzazione e, in America, modello privilegiato di riferimento.
Dunque, INCERTO È BELLO!
La scuola poteva sfuggire a questo destino? NO.
E qui i toni assumono i caratteri della drammaticità.
Da tempo la scuola è un luogo in cui si condensa troppo malessere.Gli insegnanti la consideravano un posto da cui scappare alla prima occasione.
Oggi non è più possibile neanche questo. Lo spirito poco creativo del legislatore li conduce verso un lento ma lunghissimo e scontato martirio, con grave danno per tutti.
Una generazione di docenti si è consumata, in attesa di una riforma che appariva e scompariva.
Da anni i ministri della Pubblica Istruzione di turno hanno sempre tentato ad agosto di varare una loro possibile riforma. A settembre non ne restava traccia se non qualche suggestione legata più alla notte di San Lorenzo che alla portata delle innovazioni.
La Moratti ha evitato, forse per scaramanzia, il mese nefasto. Ha avuto, momentaneamente, un po’ più di fortuna degli altri colleghi, per il fatto che se ne parli ancora e che si inizino ad attuare alcune linee direttrici della sua riforma. Ma i nodi stanno venendo al pettine e con essi i danni. Generalmente le sperimentazioni didattiche delle scuole diventavano il patrimonio privilegiato da cui le innovazioni traevano sostanza nelle disposizioni ministeriali, dando così modo alle istituzioni scolastiche di metabolizzare il tutto con una larga condivisione. Nella riforma Moratti sono presenti forti segni di discontinuità, che sembrano riportare la scuola indietro, agli anni sessanta.
Con l’acqua sporca è stato buttato anche il bambino.
Ciò che maggiormente preoccupa è il tentativo, subdolo, di spezzare la collegialità del corpo docente, elemento irrinunciabile e fondamentale nei processi educativi e formativi.
È una riforma, inoltre, che fa violenza ad ogni singolo operatore scolastico, in quanto coercitiva, per alcuni aspetti, a dispetto delle leggi di tutela del lavoro.
E poi le minacce…
Non mi risulta che ci sia categoria che, nonostante gli ingiusti trattamenti riservati, abbia sempre tenuto un alto profilo di responsabilità come quella degli operatori scolastici. Ma dove si va con una riforma contro gli insegnanti?
Certamente dopo la magistratura la scuola è il luogo nel quale più radicali sono stati gli attacchi.
Forse perché, nonostante tutto, è la scuola a detenere la chiave dei sogni in una società senza sogni.