Si è fatto un tale parlare che ormai le parole, tutte le parole, sono vuoti suoni, prive di ogni reale significato: la centralità dell' alunno e quella meno probabile dell'insegnante, le dinamiche pedagogiche, la programmazione etc. Tale vuotezza è accentuata da una parossistica attività legislativa ad opera di una classe politica che cerca di riempire l'immenso vuoto che ormai si è creato dentro e attorno alla scuola. All'interno di questo vuoto i presidi, come noci vuote dentro il sacco, agiscono nell'intento di dare forma concreta alle astrattezze legislative e di superare la totale afasia di una classe docente frustrata e depressa. Si ha davvero l'impressione di vivere una fase terminale: quella della non-comunicazione, dell'incomunicabilità tra le varie componenti scolastiche.
Il poeta inglese Coleridge (anch'egli come noi di fin de Siècle) nella Ballata del Vecchio Marinaio racconta che il protagonista, avendo ucciso l'Albatro, è condannato a errare sulla sua nave ingombra di cadaveri con il corpo dell'uccello morto appeso al collo; la nave viene circondata da un gruppo di serpenti marini e allora il Vecchio, come preso da un'illuminazione, con un gesto inconsapevole li benedice e in quello stesso momento l'Albatro lascia il collo del Marinaio, il quale finalmente è libero.
Il Sacro al quale questa storia fa riferimento per prendere forma, arrivare a sussistere e avere efficacia ha bisogno di una forma di non-comunicazione; così che se vogliamo mettere in evidenza il legame essenziale che corre tra il Sacro e la Conoscenza della Natura, non possiamo affidarci a una semplice argomentazione logica, cioè ai modi consueti del discorso razionale, ma a Storie come questa. Il Vangelo è pieno di parabole e di metaloghi, attraverso i quali si costruiscono delle parentesi dentro cui si raccontano storie e, alla conclusione, queste parentesi vengono smantellate e distrutte, dato che i fatti raccontati non sono lo scopo, l'oggetto di cui entrare in possesso, ma semmai il tramite, con cui possiamo eventualmente allontanarci da una presa "troppo diretta" con le cose. In altri termini, spesso sentiamo la necessità, in contesti eccessivamente trasparenti in cui ci troviamo a vivere, di allontanarci, sta- bilire una distanza e sentiamo che è eccessivo essere contemporaneamente Coscienza e Macchina Fotografica, Vicinanza e Lontananza. Il vero limite a una Conoscenza autentica e profonda delle cose della realtà è l'aderenza alla cose stesse. Occorre un meno di prossimità, un allontanamento. Le storie o le parabole o i metaloghi servono a sospendere la conoscenza e mettere tra parentesi.
Alla attuale situazione di non-comunicazione siamo arrivati non attraverso la volontà del conoscere e dell' indagare, cioè non attraverso l'esercizio dell' estraniamento e del distacco riflessivo, ma dalla direzione opposta dell' arretramento progressivo dalla realtà. Il prendere le distanze dalle cose della realtà contingente, che altrimenti paradossalmente rischiamo di vederci sfuggire di mano, significa scoprire molti modi di pensare, cioè molti saperi, che ci invitano a esitare sulle soglie di un medesimo luogo e ci propongono di prendere sul serio l'esitazione, che, però, non è incertezza o puro abbandono, ma esercizio di distanziamento.
Al contrario, la fase attuale di riformismo conservatore da fin de siècle procede per certezze assolute. Programmare significa soltanto programmare, cioè un procedere senza trami ti e senza finalità. Centralità significa centralità in una sorta di nuovo tolemaicismo di ritorno. Questa è, dunque, la sacralità che è stata raggiunta con tanto attivismo legislativo?
Pare che nei labirinti del Ministero competente si stia studiando una circolare per l'abolizione dei voti. Questo credo che sia il segno più evidente di una concezione "aniconica" della sacralità di cui si diceva. Supponiamo che tutto questo accada sulla via di una nuova guerra iconoclasta di bizantina memoria. Ma gli iconoduli potranno lecitamente difendere il voto tradizionale come tramite? Le mani dell'insegnante potranno essere considerate degne di rappresentare il sacro? Trionferà finalmente un iconismo acheiropoieuta? Potrà l'insegnante trascrivere i voti almeno con le dita dei piedi anziché con le immonde mani?
C'è, infine, un' altra storia, quella della nonna (mia nonna, infinite nonne), che quando faceva le conserve le riponeva nelle scansie (=conoscenza razionale) degli armadi della cucina. Quella nonna (tutte le nonne) aveva un gatto, che mentre lei lavorava soffiava, si impennava, faceva uscire le unghie, mordeva, fingendo in altri termini di acchiappare un topo. Ma rimaneva sempre un margine, una specie di esitazione. Il gatto che giuoca ci insegna una cosa molto importante: a non andare fino in fondo, ad avere esitazione, a conservare il segreto di una coesistenza di inconsapevolezza e di gioco. A creare un margine, a predisporre degli spazi, un'intercapedine, una zona di vuoto dove lasciare che le cose siano. È questo lo spazio specifico dell' educazione!
L'atteggiamento dei ministri preposti e dei presidi, che a differenza del gatto della nonna fanno mostra di avere già il topo tra le zampe e di divorarlo con soddisfazione, non è forse quanto di più deleterio vi sia per l'educazione, avendo azzerato lo spazio-intercapedine che li separa dalla realtà?
La non-comunicazione, perciò, non è l'ineffabilità del sacro, ma solo incomunicabilità. La nostra capacità razionale (Scienze, Discipline del Sapere etc.) pretende, al contrario, spazi di libertà, che le strutture scolastiche attuali non sono più capaci di dare. E non solo sul versante degli studenti, ma anche degli insegnanti, i quali sentono la necessità di stabilire distanze, un meno di prossimità, un distacco e un allontanamento (anche fisico!), che avrebbero avuto i connotati di una vera e propria fuga se non fossero intervenute le recenti leggi sulle pensioni!