Senza naturalmente entrare nel merito delle scelte nominative, che potranno essere discusse solo alla prova dei fatti, essa è da ritenere una dimostrazione di novità, coraggio e lungimiranza politica, e non certo, come da diverse parti affermato, di ulteriore sottolineatura della minorità femminile.
Esposta alla durezza della competizione del mercato del lavoro, delle istituzioni, dei partiti, divisa tra educazione e liberazione, oberata da vecchi e nuovi ruoli, strattonata tra eterni obblighi di cura e desideri di affermazione di sé, la donna ha sempre avuto il doppio (triplo, quadruplo...) delle difficoltà di un uomo a partecipare alla vita pubblica e quindi di dimostrare le proprie capacità elaborative ed operative.
E’ noto come, via via che si sale nella scala del potere, le donne vi compaiono in misura decrescente, ed è altrettanto risaputo come ciò sia letto dai più quale prova dell’inferiore capacità femminile di misurarsi in competizione politica e gestire il potere.
La disaffezione della donna alla politica e la sua non presenza, al contrario, non sono il risultato del disinteresse o del disimpegno, ma della privazione di cittadinanza e riconoscimento politici e sociali, che datano da secoli.
Il pari accesso negato, la deliberata esclusione o l’emarginazione dai luoghi di dibattito politico ed intellettuale e da quelli decisionali e direzionali perpetuano pertanto il pregiudizio sociale sulla poca autorevolezza del pensiero femminile, chiudendo la donna in un circolo vizioso da cui potrà uscire col tempo, solo profondendo un impegno continuativo e molto forte.
Ancora oggi, infatti, e non solo in Sardegna o in Italia, ma ovunque, le donne in politica sono penalizzate per diversi ordini di motivi:
a) l’elettorato ripone ancora poca fiducia nelle sue capacità di gestione politica (le si attribuiscono sì peculiarità positive, quali la concretezza, l’operatività, la dedizione al lavoro, e tralasciamo di dire delle caratteristiche fisiche per cui si sprecano commenti di ogni natura, ma raramente la si sente elogiare per particolari abilità intellettuali, culturali e politiche, nonostante, alla prova dei fatti, sia negli studi sia nelle capacità organizzative, abbia dato dimostrazione di possedere qualità notevoli, i parametri valutativi, insomma, rimangono sempre gli stessi: a lei la sfera della materialità e dell’immanenza, a lui quella dell’elaborazione intellettuale e della trascendenza);
b) le donne hanno minori disponibilità economiche e di tempo per poter dedicare le loro energie, abbondantemente assorbite dagli impegni delle fatiche quotidiane, all’attività politica, e, quando lo fanno, devono operare degli equilibrismi sfiancanti;
c) la pratica ancora in uso oggi in politica è quella della cooptazione e non del merito (si sa quanto siano difficili da scalfire certi meccanismi di riconoscimento e di sostegno reciproci tra i maschi all’interno dei partiti, che non sempre sono legati a reali competenze, preparazione, abilità... e quanto invece le donne siano abituate ad altre metodologie operative);
d) le donne tendono ancora a sottovalutare le proprie capacità e quindi facilmente a ritrarsi, perché si misurano sull’apprezzamento e il riconoscimento esterno, che, come già detto, spesso non c’è.
Ecco dunque, per concludere, che, quella di Progetto Sardegna, è sicuramente un’operazione da lodare e sostenere in assoluto, anche al di là della riuscita stessa nella pratica politica, perché contribuisce comunque ad intaccare una mentalità ancora troppo diffusa di mancanza di riconoscimento del contributo indispensabile che la metà del mondo può e deve dare al miglioramento di tutta la società.
Un nuovo corso che favorisce la presenza in numero maggiore delle donne in politica, anche se ciò avviene per corsia preferenziale (ma non si capisce perché questo discorso venga fatto per le donne e non per gli uomini degli altri listini e, ancora, per quale motivo non si sia lamentata con altrettante motivazioni la loro quasi totale esclusione nelle precedenti elezioni), dimostra la volontà reale di cambiamento, è il segno chiaro di un’apertura dialettica nei confronti del contributo di tutte le forze sociali (a quando gli immigrati?), segna un passaggio importante di rinnovamento. Auguri, pertanto, a tutte le candidate, protette e non!