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Sebben che siamo donne
 
Scrivere è una maniera di rapportarsi con i sentimenti e le angosce che si agitano, a volte in maniera incomprensibile, dal di dentro. In questo senso, lo scrivere, costringe a prendere le distanze da sé, e tale allontanamento contribuisce anch’esso a quella presa di coscienza che altro non è se non il primo passo di una comunicazione più estesa.
Così, voglio provare a guardare oltre l’apparenza e le dichiarazioni, a frugare nei fatti per rintracciare i fili di questa situazione nuova che è venuta maturando. E parliamo ancora delle elezioni regionali.
Spesso le tornate elettorali hanno regalato poderose delusioni rispetto a impegni e prese di posizione per la costruzione di liste paritarie. Inesorabilmente le cose si risolvevano con qualche sparuta presenza femminile; al di là del valore personale delle candidate, il solito fiore all’occhiello; un ornamento assolutamente ininfluente rispetto ai minuetti e ai rituali del potere.
Questa volta le cose si sono svolte, sin dall’inizio e inaspettatamente, in modo diverso. Ripercorriamo brevemente il percorso compiuto negli ultimi dieci mesi; gli alti e bassi del centro sinistra.
In tanti abbiamo partecipato e ci siamo interessati attivamente all’evolversi del confronto politico dal momento della dichiarazione di disponibilità a competere nel, e per il centro sinistra da parte di Renato Soru.
Già il fatto di essere in presenza di una dichiarazione unilaterale, senza mediazione preventiva con le segreterie di partito, ha spiazzato i più e dato uno scossone ai cittadini sonnolenti.
Questi ultimi, rapidamente hanno riconquistato lucidità e hanno scritto, discusso e parlamentato in ogni dove della novità, rivelando così che sotto la cenere covava ancora molto interesse per la politica, unito ad altrettanta indignazione e spesso disgusto per le cose accadute e che continuavano ad accadere nella casa regionale.
Parallelamente all’entusiasmo di tanta parte del popolo di centro sinistra, le segreterie di partito si sono a lungo confrontate, rinviato e riesaminato le convergenze possibili, le posizioni distanti. A tratti tutto questo è apparso un tergiversare, un prendere tempo con la speranza di ridimensionare per sfinimento l’interlocutore. Abbiamo sentito dichiarazioni in un senso e anche nel suo contrario.
La responsabilità comunque alla fine ha prevalso e tutti (eccetto i sardisti) si sono incontrati nella designazione di Renato Soru alla presidenza della Sardegna.
Certamente questa è una novità rilevante nel panorama regionale. Solo nel Friuli sei anni fa è stata sperimentata una candidatura similare. Se alla fine della legislatura è stata confermata (e poi premiata dagli elettori) evidentemente è stata costruita una buona intesa.
Nulla esclude che possa accadere anche qui.
E che tira arie diversa lo si registra immediatamente nella composizione numerica e di qualità del cosiddetto listino regionale. Quel marchingegno per cui si diventa consiglieri regionali senza passare al settaccio degli elettori era, nella testa di tanti papabili, il desiderio nascosto e coltivato neppure tanto segretamente.
Quando arriva la proposta che il listino sia riservato alle donne, ci sono molti sorrisi di circostanza e battaglie campali nelle segrete stanze.
Ma ormai le cose sono tanto avanti; i pronunciamenti tanto estesi che è ben difficile tirarsi fuori.
Così tutti i partiti designano delle donne per il listino.
Nelle liste provinciali restano dei posti vuoti e si registrano rinunce illustri. Così come effetto secondario del listino regionale abbiamo che anche nelle liste provinciali sono presenti numerose donne (DS – Progetto Sardegna – Ind.Rep.Sardegna).
Negli stessi giorni delle liste regionali, su tutta la stampa mondiale è rimbalzata la vicenda di Sonia Gandhi, della sua rinuncia, che non è apparsa dolorosa. Anzi, è sembrata una bellissima rinuncia perché ha trovato la forza di fare ciò di cui aveva bisogno il “suo” paese. Ha compreso e sposato le ragioni profonde e ha dato una lezione di altruismo. Ha detto “devo umilmente declinare l’invito”. Una donna italiana che davanti agli aut-aut integralisti da un lato e le minacce neppure tanto velate dei potentati economici dall’altro, pur sostenuta da un ampio consenso elettorale, non ha esitato a prendere la decisione che mette al riparo il paese da ulteriori prove di forza.
In questo comportamento è contenuto tutto il modo di rapportarsi alla politica e al potere. È vero e profondo il senso del rendersi disponibili, della politica intesa come servizio e del perseguimento dell’esclusivo interesse collettivo. Gran bell’esempio.
Certo le situazioni sono distanti.
Ma anche noi abbiamo davanti eccellenti professioniste; istruite, spesso colte, appassionate, di tutte le età ed estrazione. Probabilmente nessuna di loro è andata a sgomitare per avere la designazione. Verosimilmente si sono sorprese di tanto onore.
Anche per questo meritano la nostra fiducia e il nostro sostegno.
Ma le difficoltà cominciano ora. Le remore e i distinguo, subdolamente accompagnati dalle battute sopra le righe, saranno in un crescendo che tenderanno a sovrastare e appannare la novità.
Perché comunque questa è una novità vera. Possono andare numerose nel Consiglio Regionale della Sardegna. È certo che queste donne affronteranno per esempio la drammatica condizione della scuola e dell’istruzione in Sardegna. Un settore che necessita di attenzione e impegno nel tempo lungo per rimuovere le cause di quella dispersione scolastica che colloca la nostra regione negli ultimissimi posti dell’Europa. Perchè, come va dicendo il candidato presidente del centro sinistra, l’istruzione, la conoscenza, la ricerca sono il patrimonio più concreto e di valore di ogni popolo.
Di questi problemi si parla troppo poco. Però molte candidate hanno riservato spazi ed energie per queste tematiche che sentono particolarmente. E dopo la elezione c’è la fase della gestione della propria presenza nelle istituzioni; il rapporto con il proprio elettorato e il proprio territorio; la politica di genere.
È accaduto spesso (come ha detto un grande: P. P. Pasolini) che “facilmente le persone possono scomparire nelle istituzioni”. Scomparire nel senso che i valori e gli interessi di cui si è portatori vengono compressi dai meccanismi istituzionali, non riconosciuti, marginalizzati e resi ininfluenti rispetto alle scelte per esempio di genere. È frequente che le donne “lascino” perché si sentono inadeguate, inadatte a quelle forme. Certamente tutto ciò non è inevitabile; ne è sempre necessariamente accaduto.
Apporti efficaci e di qualità potranno nascere se le elette, in sede di Consiglio regionale sapranno costruire nuove forme di collegamento e di espressione per proporre soluzioni anche autonome dei problemi.
Nuove forme che possono dare significanza alle elette e avvalorare la rappresentanza di genere. Nuove forme che contemplino l’idea della dualità. Questa può essere la strada per superare il gap fra elettorato femminile attivo e passivo ed evitare di scomparire nelle istituzioni o meglio, progettare la loro riforma in modo che nessuno sia destinato a scomparire con esse.
NUMERO /2
Anno 2004, n. 2
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