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Passione politica e nuove elezioni
 
“Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite”
[da “Lezioni americane” di Italo Calvino pag. 13]

Il rischio, quando ci si riferisce a concetti di ampio campo semantico come “passione” e “politica”, è quello di operare generalizzazioni superficiali o vertiginose astrazioni, di non contestualizzare storicamente i termini e di non verificare le modificazioni del concetto.
Nulla infatti può essere definito in modo assoluto e immutabile. Siamo tutti, dentro un destino mutevole, alla ricerca di un senso del nostro stare e fare; trasformiamo di continuo esigenze e desideri, sentimenti e passioni nei confronti della vita e del mondo che ci circonda.
Anche la passione politica appartiene alla sfera della mutevolezza: è anch’esso un fattore storicamente e socialmente determinato, che si modifica in relazione al modificarsi delle situazioni contingenti e delle correnti di pensiero e filosofiche.
Se, infatti, nelle “Maximes” La Rochefoucauld attribuisce la mancanza di passione ad una debolezza della stessa più che ad una forza di dominio da parte dell’individuo, Kant rigetta ogni esaltazione della passione in virtù del superiore dominio della ragione e dell’etica, ma di nuovo Hegel sostiene che “niente di grande è stato compiuto, né può essere compiuto, senza passione” e che la sua assenza è il segno di una società ipocrita e quasi prossima alla morte, così pure Nietzsche che vedeva nella paura della passione un sintomo di debolezza e di malattia della società.
Oggi, raffreddate le passioni politiche ed ideologiche, le regole democratiche partecipano ad una sorta di gioco misto in cui le parti non sono neppure in rapporto di contrapposizione conflittuale reciproca, ma si muovono con circospezione tra linee mobilissime di demarcazione labile, e nella dialettica politica, per convincere della bontà della loro posizione, non sostengono con forza uomini, idee, obiettivi e progetti, ma negoziano, argomentano, trattano, seducono, rendendoli appetibili, di volta in volta, sulla base o di slogan e parole d’ordine o di particolari superficiali e ininfluenti piuttosto che su fattori fondamentali e portanti.
Aumentano, infatti, sempre più gli artifici d’inganno e l’apparenza, quasi in proporzione diretta all’incapacità propositiva o risolutiva dei problemi, ed aumenta la spettacolarizzazione quanto più è debole la capacità di sedimentare condivisioni ed entusiasmi.
La mancanza di passione politica, allora, il disimpegno e la deresponsabilizzazione non possono essere considerati insiti nella natura umana, o frutto dei tempi, né derive ineluttabili della storia dell’umanità, a meno che non si voglia, o anzi convenga, pensare che gli uomini sono solo “popolo bue” che preferisce l’inerzia all’azione e necessita di orientamento e guida ferma e autoritaria piuttosto che di coinvolgimento e responsabilità. Al contrario, tutti, se è loro consentita la possibilità di intervenire, contribuire, dare risposte, di incidere nelle scelte e nella direzione degli eventi, sono pronti ad impegnarsi con passione per la soluzione dei problemi e per il miglioramento della vita.
Questi ultimi mesi di dibattiti politici un po’ in tutte le sedi, la partecipazione popolare e il rinnovato interesse nei confronti delle prossime elezioni regionali ne sono un’evidente dimostrazione. La disaffezione alla politica, la mancanza di impegno e passione sono il risultato di un momento storico, quello attuale, di un metodo di operare, di un sistema sociale che organizza e “vuole” le persone passive, disimpegnate, deresponsabilizzate, ubbidienti ad un unico imperativo “il consumo”.
Non appena sembra intravedersi, invece, la possibilità di un cambiamento di rotta, il desiderio di partecipazione ricompare, la speranza di ritrovare una direzione comune si riaccende e siamo di nuovo pronti a spenderci per un’idea e un progetto.
È ora responsabilità forte di chi il 13 giugno verrà eletto a rappresentarci e a governare la Sardegna non mortificare ancora una volta le aspettative, utilizzare quelli che il poeta Pope definiva la bussola della ragione e il vento della passione per cercare di raggiungere nuovi e migliori approdi che restituiscano credibilità e ripristinino fiducia nell’azione politica.
L’unico rimedio al funzionamento della democrazia e alla governabilità è riposto nella certezza per tutti delle regole e dei criteri da applicare (oggettivi e non discriminanti), nel ripristino di rigorosi principi di onestà e di equità nel governo della cosa pubblica, nel superamento di quel perpetuo mercanteggiare in un insopportabile groviglio di infinite negoziazioni e baratti, derivanti dal tacito (?) contratto politico del “do ut des”.
Si dimostrerà insomma che la rotta è davvero cambiata solo se si sarà capaci di privilegiare il senso della comunità rispetto a quello individuale, se non ci si lascerà attrarre dalla sirena della possibilità del facile arricchimento personale, del potenziamento del proprio utile a discapito dello spirito di servizio pubblico che, sempre, unico e solo, deve ispirare i comportamenti e fondare idee e progetti dei “servitori dello stato”.
L’augurio è che il nuovo entusiasmo politico che pare respirarsi contenga in sé la forza e i semi di quel segreto della leggerezza di cui parla Calvino, per liberare la nostra regione dalla pesantezza che finora le ha impedito di saltare avanti e volare alto.
NUMERO /2
Anno 2004, n. 2
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