Dalla bufera per esserci, ora i candidati, fortunati, sprizzano serenità e candore nelle varie liste maculate e nelle gigantografie. Qualcuno si tira fuori persino dal gregge, per apparire.
Non c’è che dire: ottimi i progressi nella cura dell’immagine personale! La scesa in campo di certe persone ha fatto scuola, un po’ a tutti.
Speriamo sia una buona annata, nella qualità. I riti sono sempre gli stessi.
Gli stessi, i nocchieri-casta addetti, per consuetudine, a tessere le solite tele improbabili della politica regionale. Speriamo che dall’interno di quell’apparente e tenue segno di novità, scaturiscano diverse motivazioni del contendere, nuovi ruoli da svolgere e soprattutto nuove sensibilità.
La Sardegna tutta non può più sopportare una classe politica che non sia all’altezza del compito. Bisogna uscire quanto prima dalle pastoie di una transizione che si è caratterizzata sempre più statica, relegando la nostra isola agli ultimi posti nelle graduatorie di merito.
Complessivamente nella nostra tormentata storia autonomistica, e non solo, è mancata una seria progettualità che facesse affidamento più sulle potenzialità locali che sui favori esterni.
Insomma non abbiamo, forse anche con piena soddisfazione dei maestri, imparato a camminare da soli. Siamo rimasti gli eterni zoppi in attesa di stampelle.
Oggi, con quel che sta accadendo, infermità e debolezze sono tutte nostre. A noi e solo a noi tocca porre rimedio. Ecco perché la Sardegna ha estrema necessità di una classe politica speciale che sappia interpretare le priorità, trasferendole in progetti di attuazione.
Sottolineo un solo problema, a cui a parole tutti hanno sempre riconosciuto aspetti strategici da sine qua non, ma sempre mortificati poi nelle liste di spesa: la scuola.
Per un certo periodo l’emblema di questo settore veniva rappresentato dai massmedia con una sedia vuota. Quella dell’assessore regionale alla pubblica istruzione. Per non andare lontano è noto a tutti come per oltre dieci anni non si sia fatto nulla a vari livelli politici per indirizzare tutto il processo di razionalizzazione della rete scolastica, che i nostri territori hanno subìto passivamente dai continui decreti ministeriali.
Ma ciò che non si può più accettare è il fatto che a ogni fine anno scolastico gli esiti formativi continuino a essere dei veri e propri bollettini di guerra. Migliaia di giovani abbandonano la scuola, senza portare a termine gli studi, i cosiddetti “persi di vista”. Questo è avvenuto e avviene nell’indifferenza generale di tutti.
Le operazioni di decentramento del governo, mosse più da incapacità politica di trovare soluzioni che dalla volontà di individuare possibili linee di funzionalità, continuano ad esporre la scuola sarda a maggiori rischi, lasciandola ancora una volta orfana di una serie di strumenti non più dovuti ma che ogni regione dovrà darsi per predisporre sistemi formativi a dimensione territoriale.
Chi andrà a governare sappia che non può più permettersi assenze e silenzi. Il rischio è un ulteriore degrado della qualità della scuola. Siamo già, su questo aspetto, gli ultimi.
Per cui l’auspicio è che l’intero nuovo Consiglio regionale e la Giunta, in una unità d’intenti, acquisiscano un ruolo propulsivo, aprendo tavoli di confronto con gli Enti Locali, per aiutarli ad uscire dal torpore dei marciapiedi e delle strade poderali e ponendo la questione, anche con credibili e congrui interventi finanziari, come la madre delle priorità per uscire dalle paludi di una scuola cieca e sorda, che ci ha frenato negativamente nei processi dell’Autonomia e della Rinascita.