Non so che abbia spinto altri a questa decisione, so che cosa ha spinto me.
Mi ha spinto un senso di responsabilità che sento per il momento che stiamo vivendo, per le cose che vedo accadere. Mi sono messo a disposizione, così come mi è stato chiesto più volte da persone che, come me, avvertono la necessità di un netto cambio di rotta e che sentono la necessità di un rinnovamento della politica e della riaffermazione dell’impegno politico quale impegno esclusivo per il bene comune.
La nostra regione sta attraversando un momento epocale, come accadde alla fine degli anni ’50, quando si doveva decidere che modello e che tipo di sviluppo immaginare per la Sardegna.
Questo è certamente un tempo di scelte decisive per noi e per la nostra Isola, tuttavia i gruppi regionali di governo appaiono più che altro occupati nella gestione quotidiana del potere, senza una visione generale, un progetto capace di immaginare la Sardegna del futuro che vorremmo lasciare ai nostri figli.
La Sardegna deve necessariamente ripensare il suo ruolo in un momento in cui una serie nuova di fenomeni si affacciano contemporaneamente all’orizzonte. L’allargamento dell’Unione Europea, la fine degli aiuti comunitari, i fenomeni della globalizzazione culturale e di mercato, le grandi innovazioni della tecnologia delle comunicazioni e delle scienze della vita, la crescente pressione sull’ambiente, se subiti passivamente, rappresentano un pericolo grave per la Sardegna.
Se opportunamente guidati, invece, possono diventare una grande occasione di crescita comune, di autoaffermazione all’interno di un panorama più vasto, di inserimento in un sistema economico e sociale che vada al di là dei semplici confini territoriali o istituzionali. Si tratta di un’occasione di crescita come la Sardegna non ha mai avuto finora e che non può essere mancata.
La Sardegna ha bisogno di un programma che parta da una presa di coscienza dei suoi uomini e delle sue risorse, dalla piena consapevolezza della nostra identità e di quella a cui aspiriamo per il nostro futuro.
Occorre ripartire da quello che abbiamo e batterci per quello che ci manca, tenendo presente prima di tutto la nostra identità di persone libere, autonome e intelligenti. C’è bisogno di un progetto comune, capace di rilanciare l’isola, fondato su alcuni valori condivisi: identità, ambiente e innovazione.
Identità. La nostra cultura e le nostre specificità sono la nostra ricchezza. Il contributo ed il valore che la Sardegna può portare nel mondo contemporaneo non è la sua omologazione ma la sua diversità. La nostra agricoltura, l’artigianato, il lavoro delle nostre imprese, persino il turismo saranno inutili in un mondo in cui i Sardi avranno smarrito la propria identità e i nostri prodotti diventano uguali a quelli degli altri. L’affermazione dell’identità non è solo necessaria per la crescita sociale e civile della Sardegna. Essa può diventare la nostra risorsa per il futuro.
Ambiente. Salvaguardare il patrimonio naturale dell’isola ha anche una rilevanza economica, oltre che morale. Abbiamo il dovere di non dilapidare un bene che deve essere anche la ricchezza delle generazioni future. Il turismo non può più essere scambiato con la speculazione edilizia che garantisce solo vantaggi di brevissimo periodo e per poche persone. Occorre ripensare il turismo nell’ottica di un sistema regionale che concepisca l’utilizzo della risorsa ambientale come un investimento a lungo termine a beneficio l’intera comunità. Un vero sviluppo turistico deve necessariamente coinvolgere lo sviluppo degli altri settori economici quali l’agroindustria e l’artigianato e deve svolgere un ruolo importante per lo sviluppo delle zone dell’interno. Occorre riqualificare le strutture prima di continuare a consumare il territorio, creare un turismo che abbia un’anima riconoscibile, pretendere un turismo che promuova le produzioni dell’intera isola.
Innovazione e formazione. Le persone sono la ricchezza principale. Puntare sull’innovazione e sul rafforzamento dell’istruzione, della formazione culturale e professionale, non significa solamente adeguarsi alle necessità del vivere contemporaneo, ma significa rendere più competitivo il tessuto sociale e produttivo. Occorre investire in conoscenza e nei nostri giovani. Sono necessari provvedimenti radicali che possono sembrare non immediati ma che - sappiamo - durano nel tempo e ci rendono più forti in un mercato dove la cultura e le competenze acquisite contano ormai più dei confini territoriali.
Ho davanti a me l’immagine di una Sardegna riconoscibile all’esterno, forte, consapevole del proprio passato e delle possibilità che le offre il futuro, consapevole che il suo futuro dipende unicamente da noi. Consapevole soprattutto che il valore fondamentale del vivere comunitario è la solidarietà, cioè affrontare e risolvere le difficoltà e i bisogni, l’incapacità, la solitudine e la precarietà dei più deboli, come problemi che riguardano la comunità nel suo insieme e che reclamano l’impegno e la responsabilità di tutti. Mi piacerebbe che la Sardegna rimanesse un luogo bellissimo per chi la visita e per chi la abita.
Mi piacerebbe che ciascuno di noi si sentisse consapevole dei propri diritti ma anche dei propri doveri, orgoglioso di poter contribuire alla crescita economica e sociale della nostra regione.
La politica serve a questo: governare la Sardegna riaffermandone la dignità e l’autonomia, darle un ruolo nell’economia dell’Europa e del Mediterraneo, promuovere una crescita libera e stabile per tutti i sardi, lasciare ai nostri figli una Sardegna più bella, più ricca e più consapevole di quella che noi abbiamo conosciuto.
Ce la faremo se la politica, quindi la comunità, riceverà il contributo appassionato e disinteressato di tutti noi, convinti che non contano i favori, gli amici, i clienti, la rielezione, ma un milione e mezzo di persone.