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La Democrazia comincia a due
 
La candidatura di R. Soru ha avuto il grande merito di provocare una scossa all’imperturbabile panorama politico.
A dire il vero gli apparati di partito, questa estate, hanno impiegato un po’ di tempo a reagire. Vabbè la calura, ma si è avuta l’impressione che a non parlarne si aspettasse che la cosa morisse lì. Una sorta di fastidioso accidente che ha scombinato i tempi del sonnolento manovratore non ancora deciso ad occuparsi di elezioni, programmi e candidature. Invece tanti interventi appassionati di cittadini, amministratori, intellettuali hanno sospinto e forse imposto una presa di posizione all’interlocutore di riferimento.
Oggi, dopo tanti distinguo e precisazioni il confronto è finalmente avviato sui binari costruttivi di una opportunità significativa per la Sardegna.
Tutti (nel centro sinistra) ci sentiamo rincuorati e speranzosi di poter partecipare ad una stagione utile e positiva per i sardi; ben felici di cominciare ad uscire da quel tunnel di grigiume e di sclerosi che ormai da anni stavamo attraversando senza intravedere alcuna possibilità di cambiamento.
Dunque ripartire si può. Le condizioni indispensabili e intrinsecamente legate fra loro mi paiono due: la prima, che il leader sia capace di attrarre consensi dentro e fuori la coalizione facendo appello e riferimento ai valori dell’etica della politica e mettendo un chiaro distinguo fra sé e i sostenitori del bricolage della politica. La seconda, più complessa e dolorosa, che i partiti rapidamente ed energicamente si liberino dai meccanismi che perpetuano le oligarchie dirigenziali, vero freno a qualunque cambiamento. Perché prestissimo devono darne segno tangibile, a cominciare dalle candidature delle prossime regionali. E prima di tutto sulla composizione delle liste fra maschi e femmine.
Chiedere di essere nelle liste, anche “pochino”, non apre prospettive, non lancia messaggi nuovi; conferma il tradizionale ordine di valori.
Per decenni sono state sperimentate le tappe intermedie, il realismo minimalista, l’opportunità di una transizione praticata con cautela che doveva portare nel tempo (quanto tempo?) a liste paritarie.
Oggi, cinquant’anni dopo, siamo ancora qui, al 10% di rappresentanza che corrisponde allo 0,07% di candidature. Il percorso non indica tanto gradualità nel progredire quanto una tendenza alla sparizione. Tutto ciò non accade né all’improvviso né casualmente: è uno degli esiti, oltremodo negativo, di quella condizione della politica che connota il nostro panorama regionale e di cui si è detto avanti.
Molto rudemente credo che tante sono le elettrici, tante debbano essere le potenziali rappresentanti. Sono gli elettori a determinare le donne e gli uomini che nelle sedi istituzionali ci rappresenteranno. D’altra parte lo schema della rappresentatività è universalmente applicato per i sottoinsiemi delle categorie sociali e di lavoro e delle zone territoriali.
E allora perché si transige in modo così smaccato sulla principale differenza? La ragione non è né difficile, né complessa, né alta. Semplicemente gli aspiranti ai posti sono tanti, in grandissima parte uomini da sempre iscritti a dirigere qualcosa; le decisione sulle candidature sono governate da organismi maschili e dunque il meccanismo e bell’e oliato.
Si rispetta la democrazia formale e complimenti per il risultato.
È affare di potere, qualunque siano i sapienti argomenti addotti per giustificarlo.
Con poca fantasia si può sospettare che a parti invertite, le cose potrebbero essere specularmene identiche. Forse si, forse no. Ma qui siamo nel campo del paranormale.
Non ci saranno, come non ci sono mai state, battaglie campali per le donne in lista all’interno dei partiti perché, se non si modifica il contesto, l’esito è negativamente scontato. O ci si convince tutti che il problema è di natura democratica (qualcuno diceva che “la democrazia comincia a due”) ed è fondamentale anche per la sopravvivenza dei partiti, oppure le cose continueranno a perpetuarsi così come oggi fino allo sfacelo totale.
Nessuno però credo debba illudersi che il consenso è assicurato comunque, e neppure che ci si possa presentare con qualche sparuto fiore all’occhiello.
Personalmente ho maturato da lungo tempo la determinazione di votare solo liste dove sono presenti Uomini e donne in misura “adeguata” e lì ho cercato la mia/il mio rappresentante da votare. Tutte le volte che ciò non è accaduto, sono stata costretta a non votare. Sempre con preoccupazione e malessere si rinuncia ad esercitare il diritto di voto ma anche lo spauracchio (e il ricatto) della vittoria dell’avversario ha esaurito la sua presa.
Questo atteggiamento appartiene ormai a molte donne e forse conviene farci i conti.
Le proposte in merito alla rappresentanza, presentate di recente dalla consigliera Ivana Dettori sono state sottoscritte tempestivamente e massicciamente da tante donne, a riprova che il problema è nella pelle e nell’anima. Al probabile leader della coalizione di centro sinistra, R. Soru, chiediamo che tenga nel giusto conto la presenza delle donne e ne faccia segno di discontinuità rispetto al passato. Sicuramente gli varrà l’impegno di tante intelligenze, la fantasia di tante collaboratrici, il sostegno di migliaia di elettrici.
NUMERO /3
Anno 2003, n. 3
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