Risolvere problemi può essere più piacevole; sollevarli invece è più fruttuoso e certo più difficile. Pertanto, in questi momenti difficili della politica regionale sarda, che si avita sempre di più su se stessa, creando insicurezza e nervosismo nei cittadini, a me sembra che noi, uomini della strada, più che a dare soluzioni ai problemi - non ne abbiamo né la competenza né il potere - siamo chiamati a tentare di sollevarne, a farli emergere ed indicarli a chi le soluzioni può dare. Indicarli con forza. Anche disturbando la quiete pubblica o per lo meno seminando inquietudini.
Come sacerdote, pur estraneo alla politica, mi sono sempre interessato della cosa pubblica, sia sul settimanale “L’Ortobene”, che ho diretto per tanti anni, come anche con interventi sui due quotidiani sardi.
Spesso, forse, sarò apparso un sognatore ingenuo, uno che sogna ad occhi aperti una società sarda diversa o anche una chiesa diversa. Va ricordato, comunque, che le persone ingenue non necessariamente sono degli sprovveduti, ma persone che amano la schiettezza, che escono allo scoperto, disarmate, incuranti delle chiacchiere e dei giudizi altrui. Persone che non si lasciano arruolare nella schiera dei turiferari o dei menestrelli di palazzo… Come tale, perciò, vorrei intervenire anche qui ed entrare nei problemi scottanti delle zone interne dell’isola, quasi in punta di piedi.
Il Nuorese, le zone interne… Non c’è che da ripetersi. Anni fa, rivolgendomi su un quotidiano ad un politico gli scrivevo, citando una frase famosa del Qoelet: «“C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. E questo è il tempo di parlare a voce alta, per dire ai politici sardi che “la rabbia dei poveri” sta per esplodere nel Nuorese e in tutta la Sardegna. Perché si sentono traditi da questa classe politica lautamente pagata ma non all’altezza dei tempi tremendamente difficili che stiamo attraversando. Una classe politica rissosa e inconcludente».
Da allora, purtroppo, le cose non sono cambiate, se mai sono cambiate in peggio. I politici si sono chiusi nel palazzo a litigare e poco si accorgono del malessere che c’è attorno. Vale ancora oggi quanto dichiarò uno di loro anni or sono in una intervista: «Perché il centro sinistra ha perso le elezioni? Forse perché ci siamo resi conto in ritardo che eravamo troppo politici e poco società, troppo dentro il palazzo e poco sulla strada».
Vale poco però battersi il petto in ritardo, quando la gente di loro non sa che farsene. Oggi, per esempio, in tutto il Nuorese e oltre, è in atto la grave crisi dei pastori, che hanno occupato i municipi in molti centri della provincia per dare visibilità alla loro protesta, ma loro, i politici, sono ancora una volta assenti. Come se si trattasse di una questione che non li riguardi.
Ancora più grave è la situazione dell’ordine pubblico. La violenza imperversa quasi dappertutto, anche se attualmente si concentra specialmente nel Nuorese (soprattutto nell’Ogliastra) e nel Goceano con appendici nel Marghine e dintorni. Da tutte queste zone, è stato scritto, arriva non un campanello, ma una sirena d’allarme. Non si tratta infatti più di omicidi solitari, ma di vere stragi, di «delitti doppi». In meno di un anno sono stati sei questi delitti in coppia, tre nei primi dieci mesi del 2003, altrettanti lo scorso anno. Uccidono in coppia per non lasciare testimoni.
Come ha dichiarato la criminologa Cristina Cabras, «dal versante criminologico è evidente che esiste la pianificazione del delitto in modo freddo e articolato. Difficilmente i duplici delitti sono d’impeto. Ciò può avvenire in famiglia, con i delitti emotivi. Quelli che stanno avvenendo nell’isola invece hanno una razionalità delittuosa, non c’è l’impeto, ma il calcolo».
Come uscirne? La politica può fare qualcosa? Pensiamo di sì. Andando alla radice del malessere. Necessario però che i politici ritornino tra la gente. Che camminino nelle nostre strade.
Intendo fare questo appello soprattutto a quei politici che si ispirano alla dottrina della Chiesa. Quanto sono lontani i tempi di Giorgio La Pira, il quale ripeteva che per fare politica bisogna ripartire sempre dal territorio e dai luoghi dove si vive e si soffre. “Le attese della povera gente” era il titolo di un suo libro che in quel periodo era diventato come un vademecum per tanti giovani che si avviavano sui sentieri spesso scivolosi della politica.
Non so se ne esistano ancora, di giovani culturalmente preparati, pieni di passione, coraggiosi, volitivi, pronti ad affrontare qualsiasi difficoltà per una nuova politica che sia diversa da quella di oggi. Io non conosco Renato Soru: me ne parlarono anni fa, quando ancora iniziava la sua avventura telematica, alcuni sacerdoti del suo paese e ne dicevano un gran bene. Se allora questo uomo, famoso a livello internazionale, «vuole davvero cambiare in maniera radicale le cose e cambiare il modo di fare politica», non capisco come non gli si aprano le porte: supposto che L’Ulivo voglia essere ancora protagonista nella politica regionale sarda.
E soprattutto se nelle prossime elezioni regionali vuole vincere.
