Forse è davvero opportuno riflettere un po' di più su questa considerazione visto che l’umanità mi pare abbia imboccato una direttrice di marcia che porta diretta al trionfo dell'individualismo.
Ognuno eleva muri e fortezze a difesa della propria identità, del proprio tornaconto, del proprio diritto, del proprio piacere e si costruisce teorie che avallino e confermino la giustezza del proprio operato, rivelando, in realtà, un esasperato narcisismo che porta con sì, non soddisfazione e serenità, ma solo ansia ed ossessione a prevalere sempre e comunque. Ma come si è giunti a ciò? Forse che la liberazione per cui tanto ci si è battuti ha questa responsabilità? Forse che i sistemi educativi che hanno improntato i nostri comportamenti negli ultimi decenni possono essere imputati di ciò? No! Non credo proprio! Alla base di questa mentalità di questa generazione così ossessivamente preoccupata della propria gratificazione personale, del proprio piacere e benessere, di questa "Me .generation" come è stata definita, coniando il termine sul precedente "Beat generation", non credo siano solo le nuove teorie libertarie e pedagogiche. Può darsi che anche in queste qualche eccesso in realtà ci sia stato, ma non le ritengo certo le uniche responsabili, pur se da più parti imputate. Credo invece in grosse responsabilità sociali e culturali di quest'epoca, in logiche economiche e di potere, che stanno conducendo verso una civiltà(?) dominata da una fatalità cieca, meccanica e distruttiva. L'imperativo dominante è: produrre sempre di più! E questo avviene con uno sperpero spaventoso di risorse naturali e umane al fine di salvare quel processo circolare di mercato che, invece se non si modificherà, sarà inevitabilmente distrutto dai propri eccessi e dalle proprie contraddizioni stesse. E in questa realtà l’uomo vive la sua condizione illudendosi di avere una ipereccedenza di possibilità, illudendosi di essere un semidio perché allontana la sofferenza, procrastina la vecchiaia e la morte, perché supera ogni senso del limite. Invece è oppresso da frustrazioni derivanti dai bisogni indotti che devono essere continuamente soddisfatti ed in seguito restituiti e poi nuovamente soddisfatti, in un assurdo carosello di sensazioni, piaceri, nuovi stimoli, che portano inevitabilmente all'assenza del godimento e ad una sorta di anestesia del sentire, di tedio e malinconia nei confronti della vita stessa.
II tramonto delle ideologie, il superamento di valori etici universali, lo spostamento dell'educazione dal senso del dovere ed il culto del sacrificio ad una opposta concezione del tutto dovuto, del piacere ad ogni costo, hanno spostato il baricentro di riflessione sociale dai bisogni e diritti di classi e masse alle esigenze e richieste dell'individuo.
Tutto è concentrato insomma, per esigenze di ordine economico non certo spirituale, sulla ricerca del soddisfacimento di piaceri più o meno veri, sull'invenzione di nuovi lussi per il tempo libero, sulla ipertrofia del desiderio. l’equazione che ne deriva è aberrante: Bene=Piacere; Piacere=Ricchezza; Ricchezza=Bene. Siamo evidentemente al più grossolano edonismo, alla più pura egolatria! Non credo, certo, che si debba tornare al passato, al culto del piacere negato e quindi sublimato, al gioco imposto dai padri sulla necessità del dovere a tutti i costi, del sacrificio e della sofferenza esperiti per poter crescere, del riso e del divertimento vissuti come colpa o peccato. Penso però che questo veloce consumo di sensazioni e piaceri, questa euforia del fare, del muoversi, del vedere, del provare il più possibile, porti invece ad una reale impotenza a raggiungere quegli obiettivi, che dovrebbero essere di tutti, di autorealizzazione e di crescita collettiva. Diceva Marshall Mac Luhan che bisogna cercare di entrare nel futuro guardando lo specchietto retrovisore. Infatti le radici della morale, o di una nuova spiritualità, non sono da ritrovare nell'antico o da ricercare solo nel nuovo, perché, sempre, il processo di demonizzazione o deificazione di una parte o dell’altra porta ad una entità dimezzata, ad una verità falsificata o, comunque, ad uno squilibrio nella valutazione di ciò che è Giusto o Ingiusto, Bene o Male. Ma, senza chiarezza di ciò, che cosa si deve trasmettere alle nuove generazioni?
Se i valori che vengono più frequentemente e comunemente presentati sono quelli della forza, della competitività, dell’aggressività contro quelli della democrazia (vera e sentita, non solo proclamata), dell'uguaglianza (nelle opportunità) e del rispetto degli altri, come si può sperare in un miglioramento dell'intero sistema etico che sposti il suo perno di rotazione dell’io al noi?
Insomma, se prevale il senso di individualità sul senso di comunità, non potremo mai essere motivati a lavorare per risolvere i grandi problemi (ambiente, solidarietà, ricerca di valori comuni, coesistenza di differenze sociali - etniche culturali etc...).
Sarà quindi assolutamente necessario fissare dei limiti al potere degli uomini su altri uomini e sull’ambiente naturale (patrimonio non solo di queste, ma anche delle future generazioni) ed educare ad una nuova mentalità che superi gli angusti spazi dei bisogni e dei piaceri personali per un'etica della collettività. Sarà necessario, in conclusione, riconquistare il senso di appartenenza ad una comunità vasta (l’umanità, il mondo, la natura) per la quale costruire un futuro migliore e verità in cui credere e per essi operare concretamente.
Bisognerà abbandonare la prevaricazione e la prepotenza determinate da una logica di affermazione esclusiva del se' e delle proprie esigenze per riconoscersi in principi ed ideali di respiro più ampio; smettere insomma di praticare vite lontane, incomunicanti, separate, che abbiano come referenzialità, legittimazione e riconoscimento solo se stesse, di piaceri più o meno veri, sull'invenzione di nuovi lussi per il tempo libero, sulla ipertrofia del desiderio. l’equazione che ne deriva è aberrante: Bene=Piacere; Piacere=Ricchezza; Ricchezza=Bene. Siamo evidentemente al più grossolano edonismo, alla più pura egolatria! Non credo, certo, che si debba tornare al passato, al culto del piacere negato e quindi sublimato, al gioco imposto dai padri sulla necessità del dovere a tutti i costi, del sacrificio e della sofferenza esperiti per poter crescere, del riso e del divertimento vissuti come colpa o peccato. Penso però che questo veloce consumo di sensazioni e piaceri, questa euforia del fare, del muoversi, del vedere, del provare il più possibile, porti invece ad una reale impotenza a raggiungere quegli obiettivi, che dovrebbero essere di tutti, di autorealizzazione e di crescita collettiva. Diceva Marshall Mac Luhan che bisogna cercare di entrare nel futuro guardando lo specchietto retrovisore. Infatti le radici della morale, o di una nuova spiritualità, non sono da ritrovare nell'antico o da ricercare solo nel nuovo, perché, sempre, il processo di demonizzazione o deificazione di una parte o dell’altra porta ad una entità dimezzata, ad una verità falsificata o, comunque, ad uno squilibrio nella valutazione di ciò che è Giusto o Ingiusto, Bene o Male. Ma, senza chiarezza di ciò, che cosa si deve trasmettere alle nuove generazioni?
Se i valori che vengono più frequentemente e comunemente presentati sono quelli della forza, della competitività, dell’aggressività contro quelli della democrazia (vera e sentita, non solo proclamata), dell'uguaglianza (nelle opportunità) e del rispetto degli altri, come si può sperare in un miglioramento dell'intero sistema etico che sposti il suo perno di rotazione dell’io al noi?
Insomma, se prevale il senso di individualità sul senso di comunità, non potremo mai essere motivati a lavorare per risolvere i grandi problemi (ambiente, solidarietà, ricerca di valori comuni, coesistenza di differenze sociali - etniche culturali etc...).
Sarà quindi assolutamente necessario fissare dei limiti al potere degli uomini su altri uomini e sull’ambiente naturale (patrimonio non solo di queste, ma anche delle future generazioni) ed educare ad una nuova mentalità che superi gli angusti spazi dei bisogni e dei piaceri personali per un'etica della collettività. Sarà necessario, in conclusione, riconquistare il senso di appartenenza ad una comunità vasta (l’umanità, il mondo, la natura) per la quale costruire un futuro migliore e verità in cui credere e per essi operare concretamente.
Bisognerà abbandonare la prevaricazione e la prepotenza determinate da una logica di affermazione esclusiva del se' e delle proprie esigenze per riconoscersi in principi ed ideali di respiro più ampio; smettere insomma di praticare vite lontane, incomunicanti, separate, che abbiano come referenzialità, legittimazione e riconoscimento solo se stesse.