Si scatenò allora un vero e proprio “circo Barnum mediatico”, una vicenda che fece sprofondare il dibattito pubblico in una vorticosa lotta tra i sostenitori del professore e i suoi detrattori (la maggior parte del mondo scientifico). Mesi e mesi di titoloni sui giornali, copertine delle più importanti riviste, trasmissioni televisive trasformatesi presto in arene, dove si confrontavano medici e politici, starlette televisive e giornalisti; insomma la TV e la stampa costruirono uno spettacolo senza il minimo senso critico, e influenzarono i poveri malati e le loro famiglie, speculando sulle loro sofferenze, alimentando la diffusione di facili illusioni in grado di sconfiggere terribili mali, e generando dubbi pericolosi contro la medicina e il mondo della sanità, specialmente quella pubblica.
Manifestazioni di piazza, (spesso fomentate da forze politiche che ora gridano al sovversivismo giacobino dei girotondi), sit-in davanti agli ospedali e alle preture, petizioni di associazioni di cittadini, furti e vendita di contrabbando della somatostatina. E tutti i riflettori sulla faccia da nonno gentile di questo professore in cui molti vedevano l’arcangelo profligatore che avrebbe distrutto il paludato mondo dei professoroni e la disgustosa tirannia delle case farmaceutiche, accusate di voler speculare sul cancro.
E tutto questo nonostante la stragrande maggioranza del mondo accademico e della scienza medica avesse subito evidenziato come più che una cura alternativa si dovesse parlare di una cura sussidiaria umanitaria (e in effetti più che di efficace terapia, nei pazienti che vollero sperimentarla sembrò quasi sempre generare un “effetto placebo” in grado, al massimo, di rendere meno dolorosa la tragedia del cancro).
Ma anche, e lo si deve ricordare, l’imbarazzo della casa farmaceutica che aveva sintetizzato e messo in commercio la somatostatina per altri usi, e che si guardò bene dal cavalcare l’onda del nuovo miracoloso farmaco (se fosse stata veramente una cura così efficace, la casa farmaceutica non ne avrebbe subito approfittato, visto il probabile e stratosferico ritorno economico?).
Ma non c’era solo questo; c’era il medico dal volto umano che sapeva ascoltare il suo paziente, che dimostrava il lato umano della scienza che l’opinione pubblica crede di non trovare nei medici, anche perché spesso li giudica antipatici e scostanti, poco capaci e disattenti; del resto, il nostro è il paese in cui si è convinti che conoscere un medico dentro un ospedale o una clinica aiuti a veder curata prima la propria patologia.
Una vicenda veramente paradossale, quella di cinque anni fa, in cui troppi, molti vollero essere protagonisti: pretori d’assalto che decisero di obbligare le Regioni a somministrare il farmaco, suscitando per questo una risposta dell’allora presidente della Repubblica Scalfaro; partiti e governatori di importanti regioni che non aspettavano altro che cavalcare i sentimenti di attesa della gente verso la cura, e che arrivarono persino ad invitare il figlio del professore a parlare al loro congresso nazionale.
Forse poche altre volte si dimostrò a quale livello fosse arrivato l’inesistenza di una cultura scientifica nel nostro paese, in cui un oscuro professore di periferia poteva sfidare e dileggiare buona parte dei suoi colleghi medici oncologi (arrivò a definirli “colpevoli di omicidi colposi quotidiani”), nella più assoluta indifferenza della comunità scientifica internazionale e di quella americana in particolare (sarà un caso, ma molti dei soldoni che durante l’ultima guerra all’Iraq insistevano sull’antiamericanismo ideologico di molti pacifisti erano gli stessi che idolatravano Di Bella anche contro “i famosi ricercatori americani che spendono milioni di dollari nella ricerca”).
Di Bella, invece, dai suoi studi quasi casalinghi, era riuscito a diventare il più grande scienziato sulla terra, e rispecchiava quasi il carattere furbesco dell’italiano che riesce nel modo più facile là dove nulla possono soldi e imponenti strutture. In realtà, a ben vedere, il professore era forse il meno colpevole della vicenda, anche perché sicuramente egli aveva realmente creduto nella sua cura; caso diverso per i media e gli improvvisati megafoni che alimentarono tutta la vicenda, e che si spensero (o meglio distolsero via via la loro voce verso altre vicende più succose) quando le sperimentazioni decise dal Ministero della Sanità (retto allora da Rosy Bindi, che gestì la faccenda in maniera equilibrata e capace) dettero esiti negativi e il caso si sgonfiò, cadendo nel dimenticatoio.
Insomma, anche sotto i ponti di questo caso paradossale è dovuta passare la sanità italiana (in un paese che soltanto dal 1958, con la legge n.246 del 13 marzo, istituì un Ministero della sanità e che vent’anni dopo vide nascere il Sistema Sanitario Nazionale con la legge n.833 del 23 dicembre 1978).
Oggi altre malattie misteriose come la SARS si stagliano minacciose all’orizzonte a minacciare la nostra salute, ma anche su di esse sappiamo ben poco, o meglio soltanto quello che la televisione e i giornali ci vogliono far sapere (si pensi, ad esempio, alla diffidenza verso tutto ciò che ha origine “cinese”).
Peccato che dar retta al potere mediatico, a volte, possa provocare conseguenze tragiche.